Il lupo mannaro
di
Luigi Capuana
tempo di lettura: 11 minuti
C’era una volta un Re e una Regina che non avevan figliuoli e pregavano i santi, giorno e notte, per ottenerne almeno uno. Intanto consultavano anche i dottori di Corte.
— Maestà, fate questo.
— Maestà, fate quello.
E pillole di qua, e beveroni di là; ma il sospirato figliuolo non arrivava a spuntare.
Una bella giornata ch’era freddino, la Regina s’era messa davanti il palazzo reale per riscaldarsi al sole. Passa una vecchiarella:
— Fate la carità!
Quella per la noia di cavar le mani di tasca rispose:
— Non ho nulla.
La vecchiarella andò via brontolando.
— Che cosa ha brontolato? – domandò la Regina.
— Maestà, ha detto che un giorno avrete bisogno di lei.
La Regina le fece correre una persona dietro, per richiamarla; ma la vecchiarella aveva svoltato cantonata ed era sparita.
Otto giorni dopo, si presentava un forestiero, chiedeva di parlare in segreto col Re:
— Maestà, ho il rimedio per guarir la Regina. Ma prima facciamo i patti.
— Oh, bravo! Facciamo i patti.
— Se nascerà un maschio, lo terrete per voi.
— E se una femmina?
— Se una femmina quando avrà compiti i sette anni, dovrete condurla in cima a quella montagna e abbandonarla lassù: non ne saprete più nuova.
— Consulterò la Regina.
— Vuol dire che non ne farete nulla.
Stretto fra l’uscio e il muro, il Re accettò. Il forestiero cavò di tasca una boccettina, che gli spariva fra le dita e disse:
— Ecco il rimedio. Questa notte, appena la Regina sarà addormentata, Vostra Maestà glielo versi tutto intero in un orecchio. Basterà.
Infatti, dopo nove mesi, la Regina partorì e fece una bella bambina. A questa notizia il Re diede in uno scoppio di pianto:
— Povera figliolina, che mala sorte! Che mala sorte!
La Regina lo seppe:
— Maestà, perché avete pianto: Povera figliolina, che mala sorte?
— Non ne fate caso.
La Reginotta cresceva più bella del sole: il Re e la Regina n’erano matti. Quando entrò nei sette anni, il povero padre non sapeva darsi pace, pensando che presto doveva condurla in cima a quella montagna, abbandonarla lassù e non averne più nuove! Ma il patto era questo: bisognava osservarlo.
Il giorno che la Reginotta compì i sette anni, il Re disse alla Regina:
— Vo in campagna colla bimba; torneremo verso sera.
Cammina, cammina, giunsero a piè della montagna e cominciarono a salire. La Reginotta non potea arrampicarsi, e il Re se la tolse in collo.
— Babbo, che andiamo a fare lassù? Torniamo indietro.
Il Re non rispondeva, e si bevea le lagrime che gli rigavano la faccia.
— Babbo, che andiamo a fare lassù? Torniamo indietro.
Il Re non rispondeva, e si bevea le lagrime che gli rigavano la faccia.
— Babbo, che siam venuti a fare quassù? Torniamo indietro.
— Siediti qui; aspetta un momento.
E l’abbandonò alla sua sorte.
Vedendolo tornar solo, la Regina cominciò a urlare:
— E la figliuola? E la figliuola?
— Calò giù un’aquila, l’afferrò cogli artigli e la portò via.
— Ah, figliuola mia! Non è vero!
— Le sbucò addosso un animale feroce e andò a divorarsela nel bosco.
— Ah, figliolina mia! Non è vero!
— Faceva chiasso in riva al fiume e la corrente la travolse.
— Non è vero! Non è vero!
Allora il Re le raccontò per filo e per segno ogni cosa.
E la Regina partì, come una pazza, per ritrovar la figliuola.
Salita in cima alla montagna, cercò, chiamò tre giorni e tre notti, ma non scoperse neppure un segnale; e tornò, desolata, al palazzo.
Eran passati sette anni. Della bimba non s’era più saputo nuova. Un giorno la Regina si affaccia al terrazzino e vede giù nella via quella vecchiarella tanto ricercata:
— Buona donna, buona donna, montate su.
— Maestà, oggi ho fretta; verrò domani.
La Regina rimase male. E il giorno dopo stette tutta la mattinata ad aspettarla al terrazzino. Come la vide passare:
— Buona donna, buona donna, montate su.
— Maestà, oggi ho fretta; verrò domani.
Il giorno dopo, la Regina, per far meglio, andò ad aspettarla innanzi il portone.
— Maestà, oggi ho fretta; verrò domani.
Ma la Regina la prese per una mano e non la lasciò andar via; e per le scale le domandò perdono di quella volta che non le aveva fatto l’elemosina.
— Buona donna, buona donna, fatemi ritrovar la mia figliuola!
— Maestà, che ne so io? Sono una povera femminuccia.
— Buona donna, buona donna, fatemi ritrovar la mia figliuola!
— Maestà, male nuove. La Reginotta è alle mani d’un Lupo Mannaro, quello stesso che diè il rimedio e fece il patto col Re. Fra un mese le domanderà: mi vuoi per marito? Se lei risponde di no, quello ne farà due bocconi. Bisogna avvertirla.
— E il Lupo Mannaro dov’abita?
— Maestà, sotto terra. Si scende tre giorni e tre notti, senza mangiare, né bere, né riposare, e al terzo giorno s’arriva. Prendete un coltellino, un gomitolo di refe e un pugno di grano, e venite con me. La Regina prese tutto quello che la vecchiarella avea ordinato, e partì insieme con lei.
Giunsero ad una buca, che ci si passava appena. La vecchiarella attaccò un capo del refe a una piantina e disse:
— Chi semina raccolga,
Chi ti attacca, quei ti sciolga.
Ed entrarono. Scendi, scendi, scendi, la Regina già si sentiva le ginocchia tutte rotte.
— Vecchiarella, riposiamo un tantino!
— Maestà, è impossibile.
Scendi, scendi, scendi, la Regina non si reggeva più dalla fame.
— Vecchiarella, prendiamo un boccone, mi sento svenire!
— Maestà, non è possibile.
Scendi, scendi, scendi, la Regina affogava di sete.
— Vecchiarella, per carità, un gocciolo di acqua!
— Maestà, non è possibile.
E sbucarono in una pianura. Il gomitolo del refe terminò. La vecchiarella attaccò quell’altro capo ad una pianticina, e disse:
— Chi semina raccolga,
Chi ti attacca, quei ti sciolga.
Cominciarono ad inoltrarsi. Ad ogni passo la Regina dovea lasciar cadere in terra un chicco di grano e la vecchiarella diceva:
— Grano, grano di Dio,
Com’io ti semino, vo’ mieterti io.
Il grano nasceva e cresceva subito, colle spighe mature che penzolavano.
— Maestà, ora piantate in terra il coltellino e sputate tre volte; siamo arrivati.
La Regina piantò il coltellino e sputò tre volte; e la vecchiarella disse:
— Coltellino, coltellino di Dio,
Com’io ti pianto, vo’ strapparti io.
Lasciamo costoro e torniamo alla Reginotta.
Vistasi sola sola in cima alla montagna, s’era messa a piangere e a strillare; poi, povera bimba, s’era addormentata. Si svegliò in un gran palazzo; ma per quelle stanze e quei stanzoni non vedeva anima viva. Gira, rigira, era già stanca.
— Reginotta, sedete, sedete!
Le sedie parlavano.
Si sedette, e dopo un pezzettino, cominciò a sentirsi appetito. Comparve una tavola apparecchiata, colle pietanze fumanti.
— Reginotta, mangiate, mangiate!
La tavola parlava.
Mangiò, bevve, e poco dopo le vennero le cascaggini.
— Reginotta, dormite, dormite!
Il letto parlava. Era uno stupore. Così tutti i giorni. Non le mancava nulla, ma s’annoiava a star lì senza vedere un viso di cristiano. Spesso piangeva, pensando al babbo e alla mamma; ed una volta si mise a chiamarli ad alta voce, tra i singhiozzi:
— Babbo mio! Mamma mia! Con che cuore mi lasciate qui, mammina mia!
Ma una vociona le gridò:
— Sta’ zitta! Sta’ zitta!
Ranicchiossi in un canto, e non ebbe animo di più fiatare.
Passato un anno, un bel giorno si sentì domandare:
— Vuoi vedermi?
E non era quella vociona. Rispose:
— Volentieri.
Ed ecco gli usci si spalancano da loro stessi, e di fondo alla fila delle stanze viene avanti un cosino alto un cubito, vestito d’una stoffa a trama d’oro, con un berrettino rosso e una bella piuma più alta di lui.
— Buon giorno.
— Buon giorno. Oh, bimbo mio, come sei bello!
E lo prese in braccio e cominciò a baciarlo, a carezzarlo, a farlo saltare in aria come una bambola.
— Mi vuoi per marito? Mi vuoi?
La Reginotta rideva:
— Ti voglio, ti voglio.
E un altro salto per aria, prendendolo fra le mani.
— Come ti chiami?
— Gomitetto.
— Che fai qui?
— Sono il padrone.
— Allora lasciami andare! Lasciami tornare a casa mia!
— No, no! Dobbiamo sposarci.
— Per ora bada a crescere!
Gomitetto se l’ebbe a male ed andò via. E per un anno non si fece vivo. La Reginotta s’annoiava a star lì senza vedere un viso cristiano. Ogni giorno chiamava:
— Gomitetto! Gomitetto!
Ma Gomitetto non rispondeva. Un bel giorno le domandò di nuovo:
— Vuoi vedermi?
— Volentieri.
In un anno dovea esser cresciuto un pochino: ma gli usci si spalancarono, e le venne innanzi sempre lo stesso cosino alto un gomito, vestito di stoffa a trama d’oro, col berrettino rosso sormontato da quella bella piuma più alta di lui.
— Buon giorno.
— Buon giorno.
La Reginotta, nel vederlo lo stesso, rimase sorpresa. Lo prese in collo e cominciò a baciarlo, a carezzarlo, a farlo saltare in aria come una bambola.
— Mi vuoi per marito? Mi vuoi?
La Reginotta rideva:
— Ti voglio! Ti voglio! Ma per ora bada a crescere.
E qui un capitombolo per aria, prendendolo fra le mani. Gomitetto se l’ebbe a male e andò via.
Ogni anno così; ed eran passati sette anni. Intanto la Reginotta s’era fatta una ragazza, che ci volevan quattro paia d’occhi per guardarla. Una notte non potendo prender sonno, pensava al babbo e alla mamma:
— Chi sa se più si ricordano di me? Forse mi credono morta!
E piangeva sui guanciali; quand’ecco sente buttar dei sassolini all’imposta della finestra.
Chi poteva essere, a quell’ora?
Si fece coraggio, saltò giù dal letto, aperse adagino adagino l’impòsta, e domandò:
— Chi siete? Che cosa volete?
— Son io, figliuola mia; siam venute per te!
Dall’allegrezza stava per saltar dalla finestra.
— Ascolta, figliuola – disse la Regina sotto voce. – Quel Gomitetto è il Lupo Mannaro. Ti s’è mostrato a quel modo per non farti paura. Ma ora che sei grande, fra qualche giorno t’apparirà col suo vero aspetto. Figliuola mia, non atterrirti. E se ti domanda: Mi vuoi per marito? rispondi di sì; altrimenti sarai morta; ne farà due bocconi. La prossima notte a quest’ora ci rivedremo.
La mattina, la Reginotta udì la solita voce:
— Vuoi vedermi?
— Volentieri.
Si spalancarono gli usci, ma, invece di Gomitetto, venne avanti il Lupo Mannaro alto, grosso, peloso, con certi occhiacci e certe zanne, che Dio ne scampi ogni creatura! La Reginotta si sentì mancare.
— Mi vuoi per marito? Ti feci fare apposta per me.
Lei tremava come una foglia.
— Mi vuoi per marito?
Più la Reginotta sentiva quella vociaccia, e più tremava e si smarriva.
— Mi vuoi per marito?
Voleva rispondergli: sì! Ma le scappò detto:
— Oh, no! no!
— Allora vien qui!
E l’afferrò colle granfie per ingoiarsela.
— Mangiami almeno domani! Te lo chieggo per grazia!
Il Lupo Mannaro stette un momentino incerto, e poi rispose:
— Ti sia concesso! Sarai mangiata domani.
La notte, all’ora fissata, lei s’affacciò alla finestra:
— Ah, mammina mia! Mi scappò detto di no; sarò mangiata domani.
— Fatevi coraggio! – disse la vecchiarella.
E picchiò forte al portone.
— Chi è? Chi cercate?
All’urlo del Lupo Mannaro tutto il palazzo tremava.
Son coltellino,
Son piantato nella terra dura,
Per difender la creatura.
Contro questa malìa, il Lupo Mannaro non poteva nulla. E la mattina, all’alba, venne fuori; e come vide il coltellino, si mordeva le mani:
— Se trovo chi l’ha piantato, ne faccio un boccone!
Cercò, frugò attorno, ma non trovò nessuno. All’ultimo chiamò la Reginotta:
— Vien qua, strappami di terra questo coltellino: non ti mangerò più.
La Reginotta gli credette, e strappò il coltellino.
— Ed ora vien qui!
E l’afferrò colle granfie per ingoiarsela.
— Mangiami almeno domani! Te lo chieggo per grazia.
Il Lupo Mannaro stette un momentino incerto, e poi rispose:
— Ti sia concesso.
La notte, la Reginotta s’affacciò alla finestra:
— Ah, mammina mia! Mi disse: strappa di terra questo coltellino, ed io glielo strappai. Domani sarò mangiata!
— Fatevi coraggio!
E la vecchiarella picchiò forte al portone.
— Chi è? Chi cercate?
All’urlo del Lupo Mannaro, tutto il palazzo tremava.
Son frumentino,
Son seminato nella terra scura,
Per difender la creatura.
Contro questa malìa, il Lupo Mannaro non poteva nulla. E la mattina all’alba, venne fuori; e come vide il seminato colle spighe penzoloni, si mordeva le mani:
— Se trovo chi lo seminò, ne faccio un boccone.
Cercò, frugò intorno, ma non trovò nessuno. E la mattina dopo disse alla Reginotta:
— Vieni qua: mietimi questo frumento; non ti mangerò più.
La Reginotta gli credette, e si mise all’opera. Per lei non c’era malìa, e in una giornata poté facilmente terminare di mieterlo.
— Ed ora vien qui!
— Mangiami almeno domani! Te lo chieggo per grazia.
Quegli stette un momentino incerto, e poi rispose:
— Ti sia concesso, per l’ultima volta.
La notte, la Reginotta s’affacciò alla finestra:
— Ah, mammina mia! Mi disse: mieti questo frumento ed io glielo mietei. Domani sarò mangiata.
— Fatevi coraggio!
E la vecchiarella picchiò forte al portone.
— Chi è? – urlò il Lupo Mannaro.
Son refe fino
Son attaccato alla pianta matura,
Per difender la creatura.
Contro questa malìa, il Lupo Mannaro non poteva nulla. E la mattina all’alba venne fuori, e come vide il capo del refe legato alla pianticina, si mordeva le mani:
— Vien qua; scioglimi questo refe dai due capi: non ti mangerò più.
La Reginotta era stata indettata dalla vecchiarella.
Non doveva fermarsi un passo, né mangiare, né bere, ma aggomitolare, aggomitolare e andare avanti. Sciolse quel capo, e lei avanti, aggomitolando, il Lupo Mannaro dietro.
— Ripòsati, ripòsati!
— Quando sarò stanca, mi riposerò.
Lei avanti aggomitolando, e il Lupo Mannaro dietro.
— Prendi un boccone, prendi un boccone!
— Quando avrò fame mangerò.
Lei avanti aggomitolando, e il Lupo Mannaro dietro.
— Bevi un gocciolino d’acqua, un gocciolino!
— Quando avrò sete, berrò.
Eran già arrivati alla buca d’uscita. Come il Lupo Mannaro s’accorse che l’altro capo del refe era attaccato alla pianticina di fuori, cominciò a mordersi rabbiosamente le mani. E vista la vecchiarella, diventò bianco come un panno lavato.
— Ah! La nemica mia! Son morto! Son morto!
La Regina e la Reginotta si voltarono e, invece della vecchiarella, videro una bellissima signora, che pareva la stella del mattino. Era la Regina delle Fate. Figuriamoci che allegrezza!
La Regina delle Fate prendeva intanto dei sassi, e li metteva l’uno sull’altro davanti la buca.
— Sassi, sassi di Dio,
Io vi muro e vo’ smurarvi io!
Murata la buca, la Regina delle Fate sparì.
E quella brutta bestiaccia crepò di fame lì dentro.
La Regina e la Reginotta tornarono sane e salve al palazzo; e un anno dopo la Reginotta sposò il Re di Portogallo.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Il lupo mannaro
AUTORE: Luigi Capuana
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: "Tutte le fiabe" Newton Compton editori s.r.l., Roma, 1992 Grandi Tascabili Economici 172
SOGGETTO: JUV012030 FICTION PER RAGAZZI / Fiabe e Folclore / Generale