Questo romanzo comparve a puntate nel 1836 (fu anzi uno dei primi feuilleton francesi, dal titolo Règnes de Philippe VI de France et d’Édouard III d’Angleterre) e la prima parte fu riunita in volume nel 1839 sotto il titolo Édouard III. Fu nuovamente pubblicato in volume (completo) nel 1848 con il titolo La Comtesse de Salisbury. Con il titolo La contessa di Salisbury si contano una edizione italiana del 1840 (trad. Ferdinando Grillenzoni), e una del 1856 (trad. Gaspare Aureggio). La traduzione italiana qui digitalizzata, uscita a Napoli dalla stamperia del Fibreno, opera di C.Z. Cafferecci, è del 1857, ed è anche l’unica edizione italiana con questo titolo. Fu originariamente proposta in quattro volumi, qui riuniti in unico file.

La vicenda si snoda su due piani paralleli, come capita spesso nei romanzi di Dumas, il piano strettamente storico, relativo all’inizio della Guerra dei Cent’Anni fra Francia ed Inghilterra, ed il piano romantico sentimentale, in cui si narrano le vicende di Edoardo III re d’Inghilterra e della donna da lui amata, Alice di Granfton, contessa di Salisbury.

Le vicende del romanzo iniziano nel settembre 1338, quando Edoardo, circondato dalla sua corte, è pronto ad impegnarsi in una guerra con Filippo VI di Valois re di Francia, rivendicando il trono francese. Per dirla con le parole di Dumas,

Edoardo, … in sè comprendeva, con un accordo assai in que’ tempi raro, la qualità di uomo di Stato profondo, di guerriero animoso e di cavaliere ardente in amore (cap. 21, parte 1)

E fin dalle prime pagine del romanzo vediamo la sua spietatezza di fronte al terribile racconto che gli fa il cavaliere di Mautravers circa la morte del padre, Edoardo II; la passione che gli ispira la bella Alice, già promessa al conte di Salisbury; e quindi l’avventuroso viaggio in incognito che compie nelle Fiandre in cerca di alleati da scatenare in guerra contro Filippo.

Ma seguendo la sua abilità romanzesca, Dumas alterna episodi storici (addirittura citando il Froissart parola per parola) che si svolgono tra Scozia, Inghilterra, Francia e Fiandre, alle vicende di Edoardo III e della sua corte. Con le parole di Dumas stesso,

Noi siam lo schiavo dell’istoria e non della nostra fantasia. Del resto, quella grand’epoca offre abbastanza interessanti peripezie perchè la nostra immaginazione non sia mai costretta di accorrere in aiuto degli avvenimenti (cap 1, parte 2)

Quindi assistiamo al ballo in cui Alice, danzando con il re, perde la giarrettiera, ed il re la raccoglie pronunciando la famosa frase “Honi soit qui mal y pense”; all’assedio di Calais ed alla battaglia di Crécy; ad innumerevoli racconti di combattimenti cavallereschi, in tornei come in battaglie, ugualmente cruenti, ed a episodi di generosità, oppure di crudeltà verso gli sconfitti, secondo l’umore del sovrano.

Se la fortuna arride al re ed al guerriero, non altrettanto fortunato è Edoardo in amore. Con l’inganno riesce a possedere Alice, ma non ne otterrà mai il cuore, costringendola al suicidio per l’impossibilità di cedere al volere del Re; per questo, Edoardo avrà nel conte di Salisbury, già suo fedele vassallo, un nemico implacabile. Ma il romanzo si conclude, nel 1376, con il perdono che Salisbury, dopo trent’anni di solitudine, porta al re Edoardo sul suo letto di morte.

Sinossi a cura di Gabriella Dodero

Dall’incipit del libro:

Il 25 settembre del 1338, alle ore cinque meno un quarto della sera, la grande sala del palazzo di Westminster era ancora illuminata soltanto da quattro torce, sostenute da viticci infissi ne’ quattro canti delle pareti, e il lor tremulo e incerto lume male bastava a dissipare il buio che già a quell’ora vi si faceva pel diminuirsi delle giornate, tanto sensibile tra il finir della state e il cominciar dell’autunno. Quel lume però era bastante alle genti del castello, che stavano facendo gli apparecchi della cena, e che si scorgevano in fra quel fioco barlume arrabbattarsi per coprire di vivande e di vini più ricercati a quella stagione una lunga tavola a tre piani di diversa altezza, e ciò perchè ciascuno de’ convitati potesse prendere quel posto che si addiceva al suo
nascimento o al suo grado. Allorchè fu fornito l’apparecchiare, il maggiordomo entrò con un far grave per una porta laterale; fece con lento passo un giro per tutta la sala onde assicurarsi che ogni cosa fosse dove si conveniva, poi fermatosi davanti a un valletto, il quale aspettava i suoi ordini presso della maggior porta, gli disse con quella dignità che è propria di un uomo il quale conosca l’importanza del suo ufficio:
— Tutto va bene; cornate l’acqua.

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