I guardiani

di
Grazia Deledda

tempo di lettura: 8 minuti


Il vecchio salinarolo Tromba aveva ereditato da sua figlia Orsola un sacco: per di più era un sacco di carta, spessa e solida, sì da sembrare stoffa, di un colore neutro, fra il grigio e il giallo, ma sempre carta. Dentro, però, profumata di canfora e naftalina c’era una pelliccia quasi nuova, di martora, di un certo valore.
— Cosa ho da farmene io, di questa bestia? — egli diceva, senza tirar fuori la pelliccia, che era ben fornita del suo attaccapanni brevettato, in modo che bastava collocarla nel guardaroba e star sicuri della sua incolumità. L’affare è che Tromba non aveva guardaroba: solo una cassapanca, già stata, col corredo di lenzuola grandi e grosse come vele, e una coperta di lana di capra, la sola dote della sua prima moglie. La seconda, che aveva fatto scappare di casa la figliastra Orsola, la quale, bisogna dirlo, aspettava la prima occasione per pigliare il volo, di dote possedeva esclusivamente la lingua lunga e le mani vivaci. Adesso le tre donne erano morte, sia pace all’anima loro, e il vecchio viveva anch’esso in pace, nella sua casetta nel borgo dei salinaroli. Durante la bella stagione lavorava, anche lui a cottimo come gli altri suoi compagni, nelle saline poco distanti: d’inverno si beveva in tanto buon Sangiovese i guadagni estivi: una bicicletta, un cagnolino bassotto bastardo, chiamato Trombin in omaggio al padrone, una cornacchia nera, con gli occhi celesti, formavano la sua famiglia: e mai famiglia era andata più d’accordo di così: veramente qualche volta la Checca, la bella cornacchia, autoritaria e dispettosa, per semplice gelosia rubava il cibo al cane e lo nascondeva; e durante la notte dormiva appollaiata sul manubrio della bicicletta, spruzzandola di schizzi che parevano di calce. Eppure la più ben voluta era lei; la vera padrona della casa era lei: più del tremebondo Trombin badava lei alla roba del vecchio, che del resto era ben poca, ed egli poteva lasciare aperta la sua dimora, tanto i ragazzi e i grandi, anche, conoscevano le furiose e sanguinose beccate dell’inesorabile guardiana. Del resto tutti nel borgo le volevano bene, la chiamavano passando nella strada, ed essa rispondeva, con gracchi benevoli o cattivi, conforme capiva se i suoi amici erano veri o falsi. A sua volta, specialmente se il vecchio era fuori di casa, essa chiamava il cane, con una strana voce gutturale, e la bestia accorreva al richiamo come a quello di un energico padrone.
Durante il cattivo tempo il salinarolo non andava al lavoro: e quell’anno la stagione era davvero disgraziata, per lui e per tutti: pioveva sempre; la raccolta del sale scarseggiava quindi, e si prevedeva un inverno di carestia: carestia di vino, più che di pane, poiché al pane quotidiano il padre nostro che è nei cieli provvede sempre. Ma per il vecchio Tromba il pane passava in seconda linea: egli aveva bisogno assoluto del Sangiovese, anche non di prima qualità, e l’inverno gli faceva paura. Potevi risparmiare un poco, l’anno scorso, vecchio sibarita; i guadagni erano stati cospicui, addirittura incredibili, poiché la stagione calda non cessava mai; tutti finiti nelle tasche dell’oste della piazza, che serviva anche gli americani che svernavano nel Grande Albergo della Marina.
Quest’anno, dunque, piove: e sono, a giorni, piogge torrenziali che del fosso lungo la strada del borgo fanno un fiume tumultuoso: ed è una fortuna, questo fosso, per i salinaroli, altrimenti le loro catapecchie verrebbero allagate e schiantate. Il vecchio chiudeva la porticina e accendeva il fuoco: ma tali erano i suoi sospiri che la fiamma ne tremava, e la Checca, quasi per confortarlo, gli saltava sull’omero e gli beccava lievemente i peli della nuca.
— Lasciami in pace, figlia di Dio; come si farà quest’inverno? Non avrò da darvi neppure da mangiare, a meno che non si vada a chiedere l’elemosina in piazza.
Quello che egli voleva in piazza, sotto i portici dell’osteria, lo sapeva ben lui: e la Checca, che lo sapeva anche lei, gli beccava più forte i peli della nuca.
Ma quando si trattò del sacco, l’orizzonte si schiarì come in un bel tramonto di estate. Il vecchio sapeva, per averlo sentito dire, che quelle robe da signora costano: e sua figlia Orsola, disgraziata, se non era stata una signora, le robe da signora le aveva usate: probabilmente, anzi, si era perduta per quelle: sia pace all’anima sua.
Egli chiamò quindi una sua vicina di casa, stata anche lei in città, e che adesso andava a fare qualche servizio nell’albergo della Marina, per chiederle se trovava da vendere la pelliccia: le avrebbe dato una percentuale.
La pelliccia, collocata lunga distesa ancora dentro il sacco, nella cassapanca nera, fu tirata fuori, per la prima volta, con cautela religiosa; e la donna la scosse, la portò accanto alla porticina per meglio esaminarla. Una scena curiosa avvenne allora. Il cane si mise ad abbaiare come non lo aveva fatto mai; e la Checca, scesa a precipizio dal manubrio della bicicletta, dapprima si gonfiò e volle investire la donna, poi, veduta meglio la pelliccia, si nascose spaventata sotto il giaciglio del padrone. Rise questi, con la sua bocca sdentata, e rise la donna, sebbene avesse una faccia seria e preoccupata, poi esaminò e palpò la fodera di raso fulvo della pelliccia, e passò la mano ruvida sul pelo dai riflessi dorati, assicurandosi che non fosse tarlato. Il vecchio rideva ancora, facendo amichevoli cenni al cane.
— La credono una bestia viva — disse; — ohi, Trombin, di quelle che tu non hai mai cacciato.
Pensierosa, la donna rimise la pelliccia nel sacco e il sacco dentro la cassa. Sì certo, qualche signora dell’albergo avrebbe potuto comprarla, o anche la moglie del dottore; ma trattandosi di roba usata c’era poco da guadagnare.
— Su per giù, quanto?
— Un migliaio di lire.
— Figlia di un cane, — pensò Tromba, — se dici così vuol dire che ne vale almeno duemila — ma fece mentalmente i suoi conti, e gli risultò che anche con mille lire poteva lottare e aver vittoria contro il crudo inverno, suo personale nemico.

Attese, però: i primi freddi potevano aumentare il valore della pelliccia, ed egli intanto si mise in giro in cerca di compratori. Tempo ne aveva; poiché era tempo sempre umido e buio, e già i salinaroli sedevano melanconici e irritati nell’osteria del borgo e litigavano fra di loro o bastonavano le mogli e le belle figlie civette. Lui solo, Tromba, era tranquillo e animato di speranza: poiché tutti oramai sapevano della sua eredità, lo sbeffeggiavano, bonariamente, e gli domandavano denari in prestito: egli scuoteva la testa; andava in giro coi calzoni di fustagno ancora rimboccati sulle gambe ricoperte come da una scaglia di sale, e si recava a confabulare con l’oste della piazza, che, sapendo bene dove i soldi sarebbero andati a finire, si occupava anche lui della vendita della pelliccia. Nulla però si concludeva; e anche il vecchio si immelanconiva.

— Va a finire che me la metto io, quella roba, per scaldarmi: non poteva lasciarmi piuttosto un po’ di quattrini quella benedetta creatura di Dio? Sia pace all’anima sua, però.
No, egli non le serbava rancore; né di essere fuggita, né di aver fatto la vita che aveva fatto, e neppure della strana eredità: egli voleva bene a tutti, morti e vivi; e non si arrabbiò eccessivamente quando una notte, rientrando a casa più sereno e ottimista del solito (l’oste della piazza gli faceva credito), trovò il cane sveglio e ringhiante, e la Checca gonfia, vigile anch’essa; ma invece che al suo solito posto passeggiava furiosa sopra il coperchio della cassa, beccandone il legno e gracchiando come quando aveva fame. Il vecchio indovinò la sua disgrazia: fece saltare la cornacchia sul suo braccio e sollevò il coperchio: il sacco c’era, ma floscio, vuoto.
Gli avevano rubato la pelliccia: ebbene, sia fatta la volontà di Dio. Era di origini impure, destinata a finire come la farina del diavolo. Ed egli sedette accanto al fuoco, e parlò col cane e la cornacchia, come con due buoni amici: e le bestie gli rispondevano, a modo loro, con brividi di rabbia il cane, che gli morsicava e tirava l’orlo dei calzoni, quasi volesse trascinarlo a ritrovare il ladro; con lievi gorgoglianti gracchi di protesta e quasi d’angoscia la sensibile Checca: finché tutti e tre si calmarono, ripresero i loro posti, e il vecchio, sotto la coperta di lana di capra della prima sua sposa, sbadigliò e recitò una filza di avemaria, per i morti e per i vivi; sì, una persino per il ladro, va tu pure con Dio, poiché solo a Dio spetta giudicarti e punirti.
Ed ecco, la mattina dopo, viene la vicina di casa, quella che già conosceva la pelliccia: viene come i delinquenti che, spinti da una forza misteriosa, tornano sul luogo del loro delitto: ma appena s’è affacciata alla porta il cane le si avventa addosso come un cinghiale, e la Checca si precipita di volo dalla cassa ormai inutilmente vigilata e le becca le gambe in modo che il sangue macchia le calze della malcapitata.
— Figlia di un cane, sei stata tu — urla il vecchio, chiudendo la porta e sollevando il bastone. La ladra mugolava, correndo da un angolo all’altro della stanzetta, inseguita dai tre giustizieri: finché confessò, atterrita:
— Sì, l’ho presa per farla vedere alla moglie di un forestiero: oggi vi porterò i soldi.


Fine.


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TITOLO: I guardiani
AUTORE: Grazia Deleddda

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: {Novelle} 6 / Grazia Deledda - Nuoro : Ilisso, \ 1996 - 278 p. - 18 cm. - Bibliotheca Sarda. Fa parte di: Novelle / Grazia Deledda ; a cura di Giovanna Cerina

SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)