Il lavoro del giorno di Natale. Leggenda brettone.

di
Francesco Torraca

tempo di lettura: 8 minuti


C’era una volta un contadino, che era rimasto vedovo con parecchi figliuoli, ancora troppo piccini perché si potessero guadagnare il pane che mangiavano. Egli era poverissimo e non sapeva come fare, per mantenere onestamente la famigliuola.
Una sera se ne stava sulla porta pensieroso, triste e inquieto, perché in casa non c’era più pane, e i figli avevano fame e piangevano. Era uno stringimento di cuore, a sentirli.
In quel momento passò un signore forestiero, che gli domandò:
— Perché mai siete così triste ed inquieto, il mio brav’uomo?
— Ahimè! signore, non è senza ragione. I miei figli ed io stiamo per morire di fame, e non c’è una sola briciola di pane in casa; e intanto io non ho da lavorare. Non so che farmi; certamente ci bisognerà morire, se Dio non viene in nostro aiuto.
— Se volete lavorare per me, io vi pagherò bene, riprese lo straniero.
— Lavorare! o ma è quello che io dimando, mio Dio.
— Ebbene! domani mattina andate a tagliare i giunchi sulla landa e, al tramonto, io verrò a pagarvi.
— Domani è la festa di Natale, uno dei giorni più santi dell’anno, ed io non voglio lavorare in un giorno come quello: ma doman l’altro e tutti i giorni successivi, se voi volete, eccetto le domeniche…
— Se voi dite così, addio. A quel che vedo, la vostra miseria non è tanto grande quanto volevate darmi a intendere che fosse.
— Ma sì, Dio mio, sono nella più grande miseria.
— Allora, fate quello che io vi dico; se no, crepate di fame, voi e i vostri figli.
In quel momento il disgraziato sentì i pianti e le grida de’ figliuoli:
— Babbo! pane! pane!!…
E, col cuore spezzato e la testa sconvolta, disse:
— Ebbene! Ebbene, farò ciò che voi mi dite, lo farò per i miei poveri figli. Dio avrà pietà di me e mi perdonerà.
— Sta bene; lavorate domani e, al tramonto, io verrò a pagarvi.
E il signore sconosciuto partì.
Il giorno dopo, il pover’uomo si levò per tempo e disse le sue orazioni secondo il solito; poi prese la falce e andò alla landa, ed eccolo a tagliare i giunchi. Lavorò coscienziosamente tutto il giorno e tagliò molti giunchi. Quando il sole si coricò, egli era assai stanco. Allora si sedé sopra una pietra a fumare la pipa, aspettando la paga. Ma, aspetta, aspetta, quello ch’egli aspettava non venne.
— Sono veramente disgraziato, disse. Ho passato tutta la giornata a lavorare, senza mangiare, e ora, certo, non sarò pagato. Il peggio è, che ho lavorato il giorno di Natale, il santo giorno in cui nacque il nostro Salvatore Gesù Cristo! E i miei poveri figli che non avranno da mangiare nemmeno stasera!
Il suo cuore era pieno di dolore e di desolazione, ed egli si mise a piangere a calde lagrime.
In quel momento vide venire alla sua volta un altro sconosciuto; ma il primo aveva una faccia dura e cattiva, e questi pareva dolce e benigno. Lo sconosciuto si accostò a Giovanni e gli domandò:
— Che avete il mio brav’uomo? perché vi affliggete così?
— Ahimè! signore, io sono molto infelice! Un signore che non conoscevo venne a trovarmi, ieri, alla mia capanna, e mi disse che se volevo passare la giornata d’oggi a tagliare i giunchi su questa landa, egli mi avrebbe pagato bene. A casa non c’è più pane, i miei figli muoiono di fame. Che fare? Ho accettato, ma con dispiacere, perché questa è una santa giornata. Ho lavorato, voi lo vedete, ho molto lavorato: ma il forestiero che aveva promesso venirmi a pagare qui all’ora del tramonto, ancora non si vede!
— Non verrà, povero te. Ma di’, perché lavorare il giorno del santo Natale?
— Ahimè! ho avuto torto, lo confesso; ma i miei poveri figli stanno per morire di fame, a casa, e io volevo guadagnare un po’ di pane per loro.
— Vi dispiace sinceramente, di aver lavorato il giorno di Natale?
— Sì, mio Dio, mi dispiace sinceramente!
— Ebbene, ve la pagherò io la vostra giornata, Tornate a casa: quando sarete giunto, domandate quello che vorrete; da mangiare, da bere, abiti, denaro, insomma tutto quello di cui avete bisogno, e riceverete subito subito ogni cosa. Ma date la limosina ai poveri, e non ne respingete mai nessuno.
— Tante grazie, mio buon signore; Dio vi benedica. E Giovanni se ne torna a casa consolato. I figli erano sulla soglia ad aspettarlo. Non appena lo videro gli corsero incontro gridando:
— Del pane, babbo! del pane!
— Sì, miei poveri figli, — disse loro Giovanni, — lo avrete di qui a poco.
Entrò nella capanna e, scoprendosi il capo e facendosi il segno della croce, disse:
— Col permesso di Dio, domando del pane e un poco di lardo per i miei poveri fanciulli e per me, che moriamo di fame.
E subito comparve sulla tavola, non si sa come, pane bianco e lardo. Ed eccoli a mangiare allegramente, perché ce n’era assai del pane bianco e del lardo fumante.
Dopo quel giorno, Giovanni comperò abiti nuovi per sé e per i suoi figliuoletti; si fece fabbricare una bella casa, comperò terre, divenne uno de’ più ricchi signori del paese, perché gli bastava desiderare qualunque cosa e subito l’aveva. Tutti erano maravigliati del cambiamento: qualcuno diceva che Giovanni aveva trovato un tesoro. Egli faceva buona accoglienza a tutti i poverelli, e dava loro cibi e vestiti. Pure, con l’andar del tempo, dimenticò l’antica sua condizione; il cuore gli si guastò.

Un giorno dava un gran pranzo: aveva invitato tutti i ricchi dei dintorni e i pezzi grossi del suo comune. La mattina raccomandò ai servitori di non lasciar entrare nessun mendico, nemmeno nel cortile del palazzo (egli possedeva ora un palazzo) perché quel giorno non si faceva limosina. Due servitori, armati di bastoni, si misero innanzi al portone, per impedire che entrasse chi non era stato invitato. Ma, al momento che s’andava a tavola, arrivò nel cortile, non si sa come né da qual parte, un vecchio mendico, tutto cenci e piaghe. Quando i due servitori che guardavano l’entrata se ne avvidero, gli corsero addosso, minacciandolo co’ bastoni.
— Come siete entrato qui? — gli domandarono. Uscite, subito!
Al tempo stesso alzarono i bastoni per picchiarlo.
— Fate la limosina al poveretto, per amor di Dio! — gridava il mendico con voce lamentevole.
— Oggi non si dà niente, — fu la risposta. — Venite domani e avrete qualche cosa. Andiamo! uscite subito!
Ma il mendico resisteva; non voleva uscire e, alzando la voce per farsi sentire nella sala del convito:
— In nome di Dio nostro Salvatore, morto in croce per noi, generosi signori, signori caritatevoli, buttate un pezzo di pane a un povero disgraziato, che muore di fame!…
Il signore, cioè Giovanni, lo udì e, lasciata la sala, venne, rosso di collera, e gridò ai servi:
— Non vi ho raccomandato di non lasciare entrare nessun mendico? Cacciate via questo cencioso! Sciogliete i cani!
I cani furono sciolti, ma non fecero nessun male al mendico, il quale, del resto, se ne andò a lento passo. Giovanni tornò alla sala del convito.

Poco dopo, mentre gl’invitati discorrevano e ridevano allegramente, una bella carrozza tutta dorata, tirata da quattro magnifici cavalli, entrò nel cortile con grande strepito. E nella carrozza c’era un re o almeno un principe, tutto coperto d’oro e di pietre preziose. Un servitore corse dal padrone e gli disse:
— Venite, signore, venite presto a ricevere un re, o un principe, che è entrato nel cortile, con una splendida carrozza.
Tutti si alzarono da tavola a sentir questo, perché il servitore, turbato, aveva parlato ad alta voce. Tutti corsero alle finestre. L’uno domandava all’altro:
— Chi può essere questo bel principe?
Nessuno lo conosceva.
Giovanni si accostò alla carrozza col cappello in mano e, inchinandosi fino a terra, pregò il principe che avesse la bontà di scendere e gli facesse l’onore di entrare.
— Grazie! — rispose asciutto il principe; — io non scenderò né entrerò in casa vostra. Io sono già venuto qui, non è molto, da mendico, e voi mi avete ricevuto male; mi avete anche fatto aizzare i cani addosso. Ora che mi presento con gli abiti e con la pompa di un principe, ora voi venite a ricevermi col cappello in mano, a pregarmi di farvi l’onore d’entrare in casa vostra. Ma prima accompagnatemi qui vicino, perché ho da dirvi una cosa.

E il principe menò Giovanni alla landa, dove questi tagliava i giunchi il giorno del Natale. Giunto che fu, gli disse:
— Giovanni, avete dunque dimenticato in quale stato vi incontrai, proprio qui?
Giovanni si gittò inginocchioni e chiese perdono con voce supplichevole, a mani giunte.
— Mi avevate promesso di far buona accoglienza a tutti gl’infelici, che si presentassero alla porta della vostra casa. Ma vi siete mostrato duro e spietato per il povero, gli avete finanche aizzato i cani addosso. Ahimè! la prosperità vi ha fatto dimenticare troppo presto la vostra condizione di prima! Ora tornerete ad essere come vi trovai qui, il giorno che sapete. Pure, se vi pentirete da vero, se farete dura penitenza, potrete ancora ottenere il perdono!
Lo sconosciuto scomparve. E Giovanni si trovò sulla landa, povero come prima; anche la sua bella casa e tutte le sue ricchezze scomparvero. Solo gli rimaneva una misera capanna, coi muri di creta, aperta a tutti i venti.
Il mendico cencioso e il bel principe erano una stessa persona. Erano il buon Dio!

Fine.


Liber Liber

Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamo realizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione integrale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, video e tanto altro: https://www.liberliber.it/.

Fai una donazione

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri. Fai una donazione: https://www.liberliber.it/online/aiuta/.


QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Il lavoro del giorno di Natale. Leggenda brettone.
AUTORE: Francesco Torraca
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: Giornale per i bambini / diretto da Ferdinando Martini ; [poi] da C. Collodi. – Roma : [Tipografia del Senato], 1881-1883.
SOGGETTO: JUV038000 FICTION PER RAGAZZI / Brevi Racconti