L’entusiasta punito.
di
Adolfo Albertazzi
tempo di lettura: 6 minuti
Per l’abuso che ne fecero i poeti, chi ammira più i palpiti e i raggi delle stelle? Ma l’anima di Carlo Dònnola ancora aveva rapimenti a un fulgido cielo. Nemmeno gl’innamorati oggidì s’intendono nella bramosia dell’argento lunare e preferiscono la povertà delle tenebre; ma Carlo Dònnola beveva il latte della luna con tal gioia che le pupille gli s’inumidivano come a uno spirituale liquore s’inumidiscono le pupille d’un ebro. E se in noi fu esausta dall’artificio l’ammirazione per i fiori, tanto che d’una rosa fresca diciamo «sembra di seta o di cera», a Dònnola una viva rosa carnicina sembrava tuttavia di «carne»; e contemplata e annusata a lungo una bella rosa pallida, egli elevava il naso elevando gli occhi, come a una visione, e «Dolce signora – esclamava mestamente – io v’amo!»
Con ciò non si afferma che Carlo fosse ancora vergine alle impressioni della natura; bensì che era in lui una nativa, particolare attitudine a sorprendere il bello in tutte le cose, in tutta la vita; ad avvertire quel che gli altri spesso, mortificati dal brutto, non avvertono e che egli con sincero entusiasmo e con un sibilo iniziale rivelava per mezzo degli aggettivi, spiccioli o a coppie, «stupendo! sovrano! – superbo! squisito! – supremo! sovrumano! – straordinario! sublime!»
Neanche perciò si afferma ch’egli fosse un poeta; giacchè si sa, e Teofilo Gautier lo dice, che i poeti vedono il bello dove non è: «Les poètes prennent habituellement d’assez sales guenipes pour maîtresses»: Carlo Dònnola invece vedeva il bello dov’era. Così mentre altri alle esposizioni artistiche fuggiva dalle sale di scultura, egli s’arrestava d’improvviso dinanzi a qualche grazioso ninnolo statuario, il quale all’occhio comune era impercettibile fra tanti orrori; o ristando dinanzi a ciò per cui inorridivano gli altri, egli solo, súbito, indicava o la minima parte o la linea lodevole.
Quante volte nelle tele sciagurate di colore e di disegno non vantava giustamente l’intenzione del pittore? E, non a torto, quando in cospetto a un nuovo edificio tutti biasimavano l’architettura moderna, egli notava: – Che bel camino! – Beato lui! A una sinfonia d’imitazione wagneriana cadeva ogni possa anche nel più classicista ascoltatore e critico; ma Dònnola riteneva, per zufolarle dopo, quelle poche note che erano state come una fugace spera di sole tra una nebbia folta o in una roboante tempesta.
Beato lui! Nei versi e nelle prose di qualche magnifico scrittore moderno molti si smarrivano a cercare pensiero e sentimento; ma egli, pronto, afferrava aggettivi e li ripeteva all’altrui meraviglia.
— Sì; bell’aggettivo – confessavano. – E l’idea?
E lui:
— Il verso è per l’aggettivo, e non per l’idea. Simbolismo!
Carlo Dònnola era dunque un uomo d’ingegno, sebbene in fama di stupido. L’uomo d’ingegno, veramente, è infelice, perchè non meno ammira il bello di quel che s’offenda del brutto; invece Carlo viveva felice pascendosi soltanto di bellezza. Quando però venne il dì che lo vidi soffrire, allora io non dubitai più oltre che la sua fama di stupido era ingiusta.
Si erra pure a dir volubile quell’ammiratore della bellezza femminile che vedendo oggi una più bella donna, non dispregia per essa la donna lodata o amata ieri. Carlo non procedeva nemmeno a confronti: progrediva nell’entusiasmo, perchè la sua fortuna ogni giorno gli recava innanzi creature in tutto o in parte più mirabili. Gli amici se ne affliggevano, invidiosi. – Excelsior! – dicevano ironicamente. – Ma trovata che abbia l’eccelsa, la perfetta, lo vedremo precipitare! –
Nossignori. Carlo Dònnola vide l’eccelsa: Teresa Gurli; la sposò e continuò a salire. Infatti la conoscenza della perfezione non si acquista che a gradi; esercizio e pratica bisognano alle indagini e alla percezione del bello. D’altra parte, il bello e il bene, secondo i filosofi, sono una cosa stessa, e chi ama l’uno ama l’altro; quindi nelle donne ammirate, desiderate e amate Carlo non aveva mai conosciuto se non i saggi che delle loro grazie la legge morale (cioè il bene entro certi limiti) concede alle donne di porgere al mondo, a tutti: il resto è o dovrebbe essere per il solo eletto, per il marito. E divenuto per la prima volta marito, Carlo ebbe imprevedute rivelazioni, innumerevoli meraviglie, estetiche scoperte, portentose gioie, straordinarie squisite stupende supreme sublimi esclamazioni.
Io strinsi amicizia con lui appunto in quei giorni che il matrimonio lo traeva all’estasi. Oramai, come insufficienti, dimenticava gli aggettivi dall’iniziale sibilante; e non ripeteva più, come esigua, l’esclamazione «divina» riserbata fino allora per lode sintetica a qualche esemplare del «femminino eterno»; bensì elevava al cielo, senza dir nulla, gli occhi sprizzanti una letizia sovrumana. Tale, quale un uomo antico a cui una dea apparisse senza spaventarlo. Tale, rovesciava in me le confidenze che gli alleviavano la felicità soverchia.
— Teresa – mi disse una volta – è sterile. Pensa: nessuna deformazione, nessun danno per la sua bellezza!
— La corporale bellezza di Teresa – un’altra volta mi accertava – è nulla a paragone dell’anima sua. Se tu sentissi l’anima sua!
E io, da amico sincero, da amico che eccitava l’imaginativa a comprendere così prezioso tesoro, per poco non gli dicevo:
— Deh! fammela sentire!
Or bene, quest’uomo nato a bearsi della vita e degno, degnissimo della felicità; quest’uomo….
Conviene ripeterlo: Carlo amava anche la virtù: che è la bellezza dell’animo non caduca, non fragile alle offese dei malanni, non deperibile alla diuturna ingiuria del tempo; che è il balsamo conservatore dell’amore coniugale, la maglia di salute per le anime sensibili a quelle intemperie le quali conturbano lo spirito moderno, e penetrano e soffiano tra le domestiche pareti, e raffreddano il sentimento in guisa che la ragione scusi poi l’«incompatibilità di carattere», la «separazione», il divorzio, il vizio, l’a….dulterio! Ah quando le malattie non isciupassero troppo presto in Teresa il formoso corpo per cui Dònnola era assorto a gustarne l’anima, a poco a poco, senz’accorgersene, egli assisterebbe all’opera distruggitrice, lenta e assidua, degli anni: scolorate, anzi, le belle forme; pacati i sensi; sfiorita la giovinezza, più libera risplenderebbe l’intima virtù che agli occhi almeno del suo Carlo renderebbe Teresa giovanilmente amabile sino alla vecchiaia.
Ebbene, quest’uomo io lo rividi non un anno dopo il matrimonio e non lo riconobbi subito.
— Che hai? Cos’hai fatto, Carlo?
Portava abiti alla moda, ma con l’abbandono di un lion che ritorni verde da una bisca; avrei potuto scommettere che quel giorno non s’era mutato, lui!, di camicia; e i baffi, erti una volta ad arco, gli spiovevano simili ai baffi di un cinese.
Rispose:
— Mah!… – E alzò il capo in una vana scossa dal peso enorme che l’abbatteva.
— Tua moglie…. è ammalata?
— No no. – Disse «no no» a mezza voce, triste, negando insieme e non negando. Sembrava più confermare che negare.
— Forse – io insistetti per pietà, mentre già sorridevo per conforto – forse è incinta?
— No no. – Negava e non negava. E m’attristai anch’io credendo d’indovinare, finalmente.
— Un…. aborto?
— No no – ; come dianzi.
Allora con rapida memoria io, che avevo il dovere di confortarlo, riandai quanti malanni possono colpire una donna; con rapido esame li paragonavo a quella disperazione abbandonata e quasi muta; nè a tanta afflizione trovai convenir altra sventura che una che non era da esprimere se non con una perifrasi misericorde.
— Scusami, Carlo, se insisto…; ma a un amico come me…. Di’ dunque: l’isterismo…. fa certi scherzi…, passeggeri però; di cui si guarisce….
No, Teresa non era impazzita. Eppure, egli non negava del tutto neppur questo!
— Ti dirò poi – Dònnola m’interruppe, stendendomi la mano.
Oh!…
Oh Dio! Senza chiedergli più nulla gli strinsi la mano, gli dissi: – Coraggio – ; gli dissi con uno sguardo che avevo compreso tutto!… Sua moglie lo tradiva.
Lo tradiva! Ma quantunque io leggessi molti romanzi francesi e italo-francesi, quantunque frequentassi il teatro drammatico, non sapevo persuadermi che quella donna avesse tradito l’amico mio prima d’un anno dalle nozze. A poco a poco, dubitai d’aver errato nella mia interpretazione e ricordai che nel lasciarmi Carlo mi aveva quasi detto con gli occhi: «Tradimento, sì; ma che tradimento intendi?»
Forse era un’infedeltà di nuovo genere. Poi riflettei su quel suo negare e non negare a ogni mia precedente dimanda….
Forse Teresa?… E mi convincevo così, adagio adagio, d’una colpa e d’una sciagura mostruosa a cui fossero parti integrali il morbo, la figliazione, l’aborto, la demenza, il tradimento, la turpitudine; sebbene non potessi chiaramente definire qual cosa mai l’indegna moglie avesse fatta. Quando….
….Ah sì, povero Carlo!… Non m’ingannavo più! Che colpa! che sciagura! che orrore! quando ricevetti:
Petali e corolle
versi
di
Teresa Gurli Dònnola.
Fine.
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TITOLO: L’entusiasta punito
AUTORE: Adolfo Albertazzi
NOTE: Il testo è tratto da una copia in formato immagine presente sul sito Internet Archive (http://www.archive.org/). Realizzato in collaborazione con il Project Gutenberg (http://www.gutenberg.org/) tramite Distributed proofreaders (http://www.pgdp.net/).
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
TRATTO DA: Novelle umoristiche : / di Adolfo Albertazzi – Milano : F.lli Treves, 1914 – 314, 8 p. ; 20 cm.
SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)