Questo secondo volume, diviso in due libri, che proseguono la numerazione del primo volume (qui si trovano quindi il quarto e quinto libro), prende avvio dall’importante tumulto dei Ciompi (1378), la rivolta popolare soprattutto dei lanaioli, che rivendicavano diritti politici e l’istituzione di una loro Arte. Sullo sfondo dei continui dissidi con le città vicine, con Venezia, Genova e con la Milano in cui si è insediata la signoria dei Visconti, si affaccia sulla città la signoria dei Medici. Il libro quarto si chiude appunto sul rientro dall’esilio di Cosimo de’ Medici. Il successivo libro quinto è quasi completamente dedicato alla signoria de’ Medici e termina con la morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492.

Anche in questo secondo tomo della Storia della Repubblica di Firenze sono presenti ampie ed interessanti pagine dedicate alla vita culturale della città. Un capitolo è dedicato alla rinascita degli studi classici e al grande incremento delle belle arti nel periodo a cavallo tra XIV e XV secolo. Un altro capitolo illustra l’avanzamento delle scienze, delle lettere e delle arti nella Firenze medicea nel corso del XV secolo. Anche questo secondo volume è corredato da un’ampia appendice di documenti.

Dall’incipit del libro:

Abbiamo sul fine del precedente Libro, dov’è rimasta la narrazione dei fatti civili, mostrato come le due contrarie parti andassero innanzi ciascuna per sè, fatte all’ultimo più temerarie, e dividessero la Repubblica. Mentre era delitto parlare d’accordi e osservare l’Interdetto, dal canto loro i Capitani della Parte guelfa nei due mesi di settembre e ottobre 1377 più infierivano nelle ammonizioni, le quali ruppero ogni freno quando la parte che voleva la guerra col Papa non valse a reggere nel proposito: da quel tempo fino a luglio 1378 leggo essere state ottantasette le ammonizioni, che spesso colpivano intere famiglie. Aveano trovato i Capitani un cotal modo pel quale venivano a rimanere in ufficio durante un anno, essi o i più stretti aderenti loro; quel fare le borse donde traevansi gli uffici, e poi sovente nemmeno starsene alla sorte, facilitava gli arbitrii: uno era tratto dei Ventiquattro, dai quali secondo la Riforma del 66 dovevano essere approvate le sentenze, e se non piaceva, levarsi una voce tra i preposti allo squittinio: «Io l’ho veduto andare in villa:» la polizza era rimessa dentro; e così via via, finchè non uscisse tale che fosse a grado loro. Guidava la Parte una consorteria di pochi, dei quali i nomi si trovano registrati: Lapo da Castiglionchio, anima e capo di tutta la setta. Avevano anche fatto un Gonfalone con l’antica arme del re Carlo, ed a portarlo un Gonfaloniere che fu Benghi Bondelmonti; ripigliavano le antiche forme che inaugurarono la Repubblica, quasichè volessero tutta ora metterla nella Parte. Le sentenze pronunziavano di notte, o fosse per ischifare tumulti, o ad accrescere il terrore pigliando sembianza di segreto tribunale. Nessuno poteva tenersi sicuro, e non bastava essere guelfo (come dicevano) più di Carlomagno; ai caporali quando passavano, ed ai cagnotti o aguzzetti loro, un trar di berretta più che alla Signoria: gli impauriti cercavano riscattarsi o per moneta o per favore, e facendo parentadi o disfacendoli, per avere scampo a sè stessi o protezione.

Scarica gratis: Storia della repubblica di Firenze. Tomo secondo di Gino Capponi.