Questo quinto volume – capitoli da LVIII a LXXX – narra le vicende italiane a partire dal medioevo con le invasioni gote e longobarde. Una parte importante è dedicata alla Chiesa in relazione ai nuovi dominatori, con l’origine della dominazione temporale dei papi, e alla figura e all’azione di Carlo Magno. Nei successivi capitoli vengono analizzate l’irruzione dei Saracini, dei Normanni, il feudalesimo, la cavalleria. Il volume si conclude con un esame delle Repubbliche marittime e delle Crociate.
Dall’incipit del libro:
Ponete una gente, la quale consideri suprema felicità il riposo, e perciò affidi ogni cura a un ente astratto, chiamato il Governo; che all’unità, alla costituzione, al poter centrale, ad altre formole vaghe immoli la vera libertà, nel mentre a questa tributa un’idolatria, ricalcitrante ad ogni superiorità, fino a quella del merito; che professi principj assolutissimi, poi nell’applicazione li stringa in una mediocrità, rivelante il contrasto fra assiomi che si adorano e conseguenze che si ripudiano; e questa gente creda che ad attuar riforme basti il decretarle; chiami civiltà il sottomettere le idee ai fatti positivi e materiali, e la misuri dalla quantità dello scrivere; e perchè essa scrive assai, abbia di sè una stima così profonda, quanto sogliono essere i sentimenti non ragionati, e un conseguente disprezzo per ciò che a lei non somiglia; e pensando che ciò che le sta sott’occhio sia la natura delle cose, non s’immagini una società senza re, nè un re che non faccia tutto: qual gente meno di questa sarà capace d’intendere quel che chiamiamo il medioevo? Di sentimenti, di idee, di ordinamento politico e sociale tanto diverso, qual meraviglia se, nel secolo passato e dalla nazione legislatrice dell’eleganza e veneratrice della monarchia, fu giudicato con tanta, non dirò ingiustizia, ma leggerezza? Un villano onesto ma incolto, col vestire di cinquant’anni addietro, colla cortesia ingenua ed espansiva, col parlare cordialmente chiassoso, ma che ignori le mille importanze del cinguettìo cittadino, non sfogli gazzette, sappia scrivere a malapena, moverà nausea alla squisita e frivola attillatura della buona compagnia, e la ruvida scorza impedirà di apprezzare e nè tampoco scorgere quell’onestà a tutta prova, quell’inalterabile fedeltà alla parola, quell’effettivo amor del paese, quella limpidezza di buon senso, quella disposizione ai sagrifizj, che nel suo villaggio lo fanno il consigliere dei dubbiosi, il conciliatore dei dissidenti, il padre dei poveri.
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