Il mio padrino

di
Grazia Deledda

tempo di lettura: 4 minuti


L’uomo più buono del mondo ch’io ho conosciuto era il mio padrino: e non poteva essere che tale, se era l’amico intimo di mio padre.
Mio padre non usciva, si può dire, fuori di casa, eppure conosceva, o meglio era conosciuto, da una infinità di gente; amici di paesi lontani venivano a trovarlo e gli volevano bene. Molti, veramente, cercavano più che altro il suo aiuto, ma alcuni si contentavano della sua sola compagnia. Egli non cercava nessuno: amava però e aiutava tutti quelli che cercavano di lui.

Questo mio padrino veniva a trovarlo da un paese allora lontano, perché le linee automobilistiche ancora non tagliavano la dura solitudine delle terre di Sardegna.
Veniva a cavallo, pacificamente, ma pareva avesse volato, tanto il suo viso era fresco; sulla barba molle e candida gli rimaneva il riflesso delle bianche nuvole vagabonde sopra il monte Gonare, e negli occhi la placidezza della luna nuova.
Al suo arrivo mia madre diceva alla serva:
— Accendi tutti i fornelli.
E i fornelli venivano accesi come per le feste solenni. Mio padre conduceva il suo amico in cantina, donde risalivano ridendo come bambini.
Dopo la cena rimanevano loro due soli a tavola, con la bottiglia che s’inchinava ora verso l’uno ora verso l’altro salutandoli, poi si rialzava e pareva ascoltasse i loro discorsi interrompendoli di nuovo coi suoi inchini quando accennavano a diventare melanconici.
Anche le cose più tristi dovevano essere raccontate con allegria serena, quella notte: i due amici si prestavano a vicenda le loro angustie e cercavano di non restituirsele perché ognuno di loro le dimenticasse.
Il canto del gallo metteva punto e basta ai loro racconti. E anche la bottiglia non s’inchinava più perché non aveva più forza né volontà: era vuota.

Una di quelle notti la serva andò a chiamare la mia piccola nonna: entrambe salirono nella camera di mia madre e poco dopo la serva ritornò giù dov’erano i due amici. Disse:
— Padrone, la padrona vi manda a dire che ha comprato una bambina, adesso, pochi minuti or sono.
— Perché non hai avvertito? – rimproverò mio padre.
— Perché la padrona non ha voluto disturbare la loro compagnia.
Mio padre andò su a vedere: una bambina appena fasciata stava dentro un canestro accanto al caminetto acceso: pareva davvero comprata da poco al mercato.
L’amico domandò il permesso di vederla anche lui: e mio padre disse:
— Ecco una bella occasione per diventar compari.
— Benissimo; e come la chiameremo?
— La chiameremo Grazia.
È così l’ospite diventò mio padrino.

Io sentivo raccontar da lui quest’avvenimento molti anni dopo.
Durante l’infanzia non mi sono molto curata del mio padrino; le sue visite mi interessavano solo per il fatto ch’egli portava bei regali di frutta e di dolci.
Una volta mi portò un piccolo muflone: e tutta l’aria vasta della montagna e l’irrequietudine misteriosa dei boschi entrò in casa con la graziosa bestia, ch’era ancora allo stato selvatico ma timida e buona di bontà naturale.
Tutti gli altri animali addomesticati che popolavano quell’arca di Noè che era il nostro cortile, respirarono nell’odore del muflone l’aria natìa delle macchie e dei covacci fra le rupi; lo circondarono quindi come per salutarlo: esso però aveva paura anche delle lepri, e d’un balzo fu sopra la legnaia come in cima ad un monte.
E ci volle la pazienza e l’agilità del padrino per farlo ridiscendere in pianura.

Fu quella volta ch’egli raccontò, mentre si stava a tavola, una sua avventura di viaggio.
— La mia visita, compare e comare, questa volta non aveva il solo scopo di vedervi e salutarvi: mi sono mosso di casa perché da alcuni giorni un gran mal di denti mi torturava: tutti i rimedi ho provato, sciacqui, impacchi, roba calda e roba fredda, preghiere, scongiuri: invano; soffrivo tanto che per la prima volta ho peccato contro la volontà del Signore: ho desiderato di morire. Finalmente mia moglie dice: va a Nuoro; là ci deve essere un dentista. Ed io parto; di solito mi piace viaggiare, vedere lo stato delle campagne, sentire il canto degli uccelli. Questa volta non vedo nulla, non sento nulla, tanto è il dolore: cammino come attraverso una nebbia. Ed ecco d’un tratto, sotto il Monte Gonare, vedo sbucare, come appunto dalla nebbia, tre brutti cristiani, così brutti che sembrano i Giudei che hanno ammazzato Gesù. Ed anche me vogliono ammazzare, se non consegno loro subito i denari e quanto ho con me. Vogliono anche il cavallo. Prendete, prendete pure, fratelli cari, e Dio vi assista. Allora mi fanno smontare e mi spogliano come Cristo: e rimango solo col muflone che s’era prudentemente nascosto. Rimango solo e spoglio; ma cos’è, cosa non è? Il mondo mi sembra mutato; vedo i prati in fiore, sento l’allodola, e mi pare di aver incontrato, non i tre malandrini, ma San Francesco in persona. Ebbene, è il mal di denti che è cessato: l’emozione me l’aveva strappato di bocca meglio del dentista. E siano benedetti dunque i tre valentuomini.
Egli parlava sul serio: con la sua barbetta bianca e il placido viso sembrava lui San Francesco in persona.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il mio padrino
AUTORE: Grazia Deledda

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: "Novelle", di Grazia Deledda ; a cura di Giovanna Cerina ; Volume 5; Bibliotheca Sarda n. 11; Ilisso Edizioni; Nuoro, 1996

SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)