Un esame al microscopio

di
H. G. Wells

tempo di lettura: 11 minuti


Fuori del laboratorio una nebbia umida e grigia avvolgeva ogni cosa. All’interno un caldo piacevole, la luce dei becchi a gas, uno per ogni tavola da studio; e, sparse qua e là sopra le tavole, ampolle di vetro contenenti pezzi di molluschi, pesci, rane e mille altri campioni di animali per lo studio di anatomia. Alle pareti: molte tavole di zoologia, carte murali rappresentanti specie infinite di animali e di sezioni anatomiche. Molte grandi lavagne, portanti ancora le traccie dell’ultima lezione, erano disposte qua e là nel laboratorio; il quale era in quel momento completamente vuoto, se si eccettua l’assistente che, seduto nella sala di preparazione anatomica, sonnecchiava tranquillamente. Dalla porta socchiusa si udì il suono dell’orologio dell’oratorio che segnava le undici. L’assistente si scosse, si alzò e si avviò lentamente verso la sala delle esperienze. Appena uscito, parecchi allievi entrarono rumorosamente nel laboratorio e incominciarono a ragionare e a discutere ad alta voce intorno all’ultima lezione.

Si erano riuniti in gruppo sulla soglia della porta, ed in quella riunione assai eterogenea vi erano allievi di tutti i collegi di Londra e dintorni. Vi erano alunni di Oxford, di Cambridge e del Collegio delle Scienze, introdotto da poco in America. Quest’ultimo collegio gode fama di grande scienza ed istruzione, poichè i suoi allievi possono frequentarlo senza limite di età, e la scolaresca è molto più profonda in istruzione di quella delle Università di Scozia.

La classe contava allora ventun allievi. Alcuni di essi erano rimasti nella sala delle esperienze per fare obbiezioni al professore o per copiare, prima che fossero cancellati dalle lavagne, alcuni diagrammi, oppure per esaminare alcuni modelli sui quali era stata fatta la lezione.

Dei nove allievi che erano entrati nel laboratorio, tre erano signorine. Una di esse, piccola, bionda, cogli occhiali, vestita di grigio, stava alla finestra guardando la nebbia; le altre due, piuttosto belloccie, esaminavano alcune ampolle con entro delle parti di animali. Degli uomini, uno si staccò dal gruppo principale per recarsi al suo posto. Costui era Wedderburn, il figlio dello specialista per le malattie degli occhi. Era un giovanotto sui vent’anni, vestito elegantemente, dal viso regolare e simpatico. Wedderburn aveva per vicino di banco un certo Hill, giovane di pari età, dal viso pallido, dagli occhi grigi e dai capelli di colore indeterminato. Aveva i tratti del viso assai irregolari e pronunciati, e quando parlava alzava la voce più del necessario. Costui, colle mani sprofondate nelle tasche, stava discutendo in quel momento con un altro allievo – un giovanetto biondo – sul tema dei vertebrati. A poco a poco la discussione si era fatta assai vivace, e quasi tutti gli allievi vi partecipavano.

— La scienza, – diceva Hill colla sua voce stentorea che dominava tutti, – la scienza è la conoscenza sistematica! Le idee che non entrano nel sistema, debbono necessariamente essere idee perdute.

Veramente egli non era certo se quanto diceva era un’osservazione giusta od una cosa senza fondamento alcuno.

— Quello che non arrivo a capire, – diceva l’altro, – è se voi siate o no materialista.

— Vi è qualcosa all’infuori della materia! – replicò Hill, – e questo qualcosa è la disillusione!

— Finalmente abbiamo il nostro Vangelo, – rispose lo studente biondo. – Tutto è disillusione, non è vero? Tutte le nostre aspirazioni per innalzarci al disopra dei cani! Tutto il nostro lavoro!… Il vostro socialismo, per esempio!

— Perchè vi affannate tanto all’interesse della vostra razza? Perchè vi pigliate tanta cura ad imprestare questo o quel libro che contiene tante cose all’infuori della materia?…

— Ecco le signorine!… – interruppe Hill voltandosi bruscamente.

Due signorine si erano infatti avvicinate al gruppo che così animatamente discuteva. Una di esse, dagli occhi grandi e neri, si era posta di fronte a Hill dall’altra parte della tavola e stava attentamente ascoltando la discussione, osservando ora Hill, ora il suo interlocutore. Un attento osservatore avrebbe subito arguito che per Hill la presenza di quella signorina era cagione di un non lieve turbamento. Ben se ne accorse quest’ultima, e ne fu assai lieta.

— Io non vedo la ragione, – riprese a dire Hill, – per la quale un uomo debba vivere al pari di un bruto, semplicemente perchè non conosce nulla all’infuori della materia o perchè non può aspettarsi di vivere oltre i cent’anni!

— Non può forse un uomo vivere secondo la ragione, soltanto per la ragione?

In quel punto entrò nel laboratorio l’assistente portando sopra un grande vassoio molti porcellini d’India uccisi di fresco. La discussione morì ad un tratto ed ogni allievo si recò al proprio posto. L’assistente depose sopra ogni tavola una coppia di porcellini, e gli studenti incominciarono a sezionare le loro vittime.

Hill era già anch’egli al suo posto, e stava tirando fuori dalla tasca la scatola degli istrumenti anatomici, quando la fanciulla dagli occhi neri fece un passo verso di lui, e appoggiandosi sulla tavola, gli disse sommessamente:

— Avete ricevuto il vostro libro, signor Hill?

— Oh! sì, grazie; vi piacque?

— Veramente debbo farvi qualche osservazione a tal riguardo.

— Ne sarò lieto, – rispose Hill; – ma vi piacque?

— È un bellissimo libro, – rispose la fanciulla, – però vi è qualcosa che non arrivo a capire….

E questo breve dialogo fu interrotto dall’assistente che con voce stridula chiedeva il silenzio alla scolaresca.

La lezione incominciava, e la fanciulla corse rapidamente al proprio posto, mentre Hill tirò fuori dal cassetto un libriccino di note per prendere appunti. Poichè le lezioni sono per gli studenti il vero testo. A nulla servono i libri, anzi è molto meglio ignorarli completamente. Gli appunti delle lezioni, ecco il libro per lo studente!

Hill era figlio di un ciabattino di Landport. Aveva avuto la fortuna di guadagnare una borsa di studio. Venne a Londra in una pensione ad una ghinea alla settimana, e si persuase che quella modesta somma era sufficiente per soddisfare le proprie esigenze. Era un giovane vigoroso, amante della scuola e desideroso quanto mai d’imparare. Aveva incominciato a leggere libri a sette anni, e d’allora in poi aveva letto ogni specie di libri buoni e cattivi. Del mondo non conosceva che l’isola di Portsea, e tutta la sua esperienza si riduceva a ciò che aveva imparato nella bottega del padre, dove aveva lavorato giornalmente dopo aver fatto le scuole elementari. Aveva una grande facilità di parola, e questa facilità la spiegò completamente in collegio, parlando, è vero, a torto ed a ragione, ma nonostante ciò aveva un grande desiderio di imparare ed era scrupoloso fino all’eccesso nell’adempimento del proprio dovere. E queste qualità, data la sua bassa condizione e la sua educazione incompleta, lo rendevano assai meritorio.

Hill aveva per rivale di studio quel tale Wedderburn, il figlio dello specialista per le malattie degli occhi, e per quanto avesse cercato di superarlo, fino allora non vi era mai riuscito. Naturalmente Hill era rimasto profondamente impressionato, e senza provare invidia per il compagno, desiderava ardentemente superarlo e riuscire negli esami prima di lui.

«Wedderburn l’ha ereditata l’intelligenza, – pensava fra sè Hill, – egli è figlio dello specialista, mentre io sono figlio di un ciabattino!»

Ma se vogliamo essere sinceri, questa rivalità fra i due giovani aveva uno scopo fino allora sconosciuto. La fanciulla dagli occhi neri, la signorina Haysmann, per chiamarla col suo nome, era la vera causa di questa rivalità.

Ognuno di essi voleva essere il primo della classe, non tanto per soddisfazione personale, quanto per comparire degno dell’ammirazione della signorina Haysmann. Essa fino allora non aveva addimostrato nessuna preferenza; ma la ferrea volontà di Hill, il suo profondo desiderio di imparare e la scrupolosa osservanza, del proprio dovere, l’avevano portata senza volere verso il figlio del ciabattino. E ben se ne era accorto costui. Egli vedeva che oramai ella aveva una preferenza per lui, e questa preferenza la contraccambiava con timide attenzioni, ed era giunto perfino a portarle un mazzo di viole, nascosto gelosamente nelle sue profonde tasche. La fanciulla aveva accettato con viva gioia quel gentile pensiero ed aveva fatto voti in cuor suo che Hill potesse superare negli esami il rivale Wedderburn.

Venne finalmente il giorno dell’esame di botanica, ed il professore, uomo oltremodo coscienzioso, aveva fatto disporre tutte le tavole in un lungo e stretto laboratorio in modo che nessun allievo potesse vedere o copiare il lavoro del compagno. L’assistente era seduto in modo da poter vigilare tutti gli esaminandi.

L’esame consisteva nell’osservazione al microscopio di un piccolo vetrino con sopra una particella di pianta. Che pianta fosse, a quale specie o categoria appartenesse, quali fossero le sue qualità e le sue specialità, tutto ciò doveva l’allievo scrivere in una dettagliata relazione. Ma il vetrino non dovevasi assolutamente toccare, pena la esclusione dall’esame e la bocciatura inesorabile. Ogni studente doveva, per turno, andare al tavolo dove era posto il microscopio, osservare senza toccare il vetrino, quindi recarsi al proprio posto e scrivere quanto aveva capito ed osservato.

Sul vetrino, nella posizione in cui era stato messo dal professore, era assai difficile riconoscere a qual genere appartenesse la particella; ma sarebbe bastato una minima scossa per poter determinarne facilmente la natura. Quando venne il turno di Hill, questi si pose a sedere dinanzi al tavolo del microscopio, girò lo specchietto per avere una luce buona, ma, sia volontariamente, sia per disavvedutezza, toccò il vetrino. Si ricordò allora della proibizione, e quasi macchinalmente lo rimise al posto di prima rimanendo atterrito e paralizzato della propria azione. Poco dopo voltò lentamente la testa e guardò attorno a sè. Il professore era fuori della classe, l’assistente stava leggendo un libro, e gli esaminandi erano intenti al loro lavoro. Egli sapeva benissimo ciò che vi era nel microscopio. Era una *lenticola*, una preparazione speciale caratteristica del sambuco. Guardò i compagni, e, combinazione, vide Wedderburn che lo osservava con uno sguardo assai strano. Quasi tremando, Hill si recò al posto per fare la sua relazione in iscritto. E la sua mente incominciò a turbarsi. Doveva egli scrivere quanto aveva visto? o doveva fingere di ignorare quanto vi era nel microscopio? In quest’ultimo caso Wedderburn sarebbe riuscito il primo! Come mai avrebbe potuto dire che aveva riconosciuto la cosa senza toccarla? Era probabile che anche Wedderburn non sarebbe riuscito a riconoscerla. E se anche Wedderburn toccava il vetro? Hill guardò l’ora. Aveva quindici minuti ancora per decidere. Egli doveva a qualunque costo vincere Wedderburn, e pensava che quel movimento quasi accidentale era, dopo tutto, una cosa provvidenziale, un aiuto del cielo!…

— Cinque minuti ancora! – gridò l’assistente.

Hill scrisse rapidamente la sua relazione, fece uno schizzo a matita della cosa osservata al microscopio, firmò e si alzò dal proprio posto.

Quando apparve la lista dei promossi in botanica, i nomi di Hill e di Wedderburn mancavano. Eppure Hill sapeva benissimo che nessuno lo aveva potuto vedere quando aveva mosso il vetrino! Cosa mai era successo? Chi dunque aveva potuto scoprire l’inganno? E come mai Wedderburn non figurava neppur lui nella lista dei promossi? Aveva dunque anch’egli mosso il vetrino? E la signorina Haysmann che cosa mai avrebbe detto? Egli era dunque disonorato, perduto!…
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

— Ciò è strano assai! È straordinario! – disse il professore Bindon a Hill, dopo che questi avevagli confessato l’accaduto.

E la collera del professore era in quel momento assai giustificata perchè anche lui era stato gabbato.

— Io non riesco a capire come abbiate fatto, – continuò a dire, – voi siete un tipo di studente che nessuno al mondo potrebbe sognare. Voi confessate e pretendete giustificarvi! Non intendo una simile giustificazione! Come e perchè avete truffato in tal modo?!

— Io non ho truffato! – rispose Hill.

— Ma se l’avete confessato or ora voi stesso!

— Volevo solamente spiegarmi.

— Insomma avete o non avete rimosso il vetrino?

— Le accerto che il movimento fu involontario!

— Io non sono un metafisico, sono un uomo di scienza pratica. Voi mi dite che avete mosso il vetro, ebbene lo avete fatto; se questo non si chiama truffare!

— Se avessi truffato, – rispose Hill con voce risentita, – non sarei venuto a raccontarvelo!

— Certo che il vostro sentimento, la vostra confessione vi onorano; ma il fatto originale non è perciò alterato od attenuato.

— È vero! – mormorò Hill.

— Ed ora voi siete la causa di un monte di noie! La lista dei promossi deve essere per forza modificata.

— Avete ragione.

— Certamente! e non so davvero con quale coscienza io vi possa promuovere.

— Non promuovermi? Rimandarmi?! – esclamò dolorosamente Hill.

— Questa è la regola di tutti gli esami. Dove si andrebbe allora! Che cosa volete dunque? Dovete subire la conseguenza della vostra azione!

— Certo, – disse Hill, – voi avete ragione. Io speravo che m’avreste tolto solamente il punto di merito in botanica.

— Impossibile, – disse Bindon, – ciò vi lascerebbe la classifica subito dopo Wedderburn. Togliere solo il punto in botanica?! Impossibile! Il regolamento parla chiaro!

— Ma la mia confessione è spontanea!

— Il regolamento non parla del modo in cui la cosa viene alla luce. Il regolamento provvede e niente più!

— Ma questo è la mia rovina! Se sono rimandato non posso più ripetere la classe.

— Dovevate pensarci prima!

— Ma signore, pensate alle mie condizioni!

— Non posso pensare a nulla! I professori sono macchine. I regolamenti ci vietano di raccomandare gli studenti, io sono una macchina; voi m’avete messo in moto, ed io agisco.

— Voi siete assai crudele!

— Può darsi!

— Se devo essere rimandato in questo esame, tanto vale che me ne vada a casa.

— Questo è ben pensato.
La voce del professore Bindon si raddolciva un po’, egli riconosceva di essere stato un po’ troppo severo, e, pur di non contraddirsi, era disposto a migliorare la posizione di Hill.

— Come privato, come uomo, – riprese a dire Bindon, – io penso che la vostra confessione mitiga la colpa; ma avete messo la macchina in moto ed essa deve agire. Ne sono però dolentissimo.

Un’onda di emozione impediva a Hill di rispondere. A un tratto vide nella propria mente il suo povero ciabattino, vide la signorina Haysmann ed esclamò:

— Mio Dio! come sono stato sciocco!

— Spero che sarà una lezione per voi! – disse Bindon.

— Ebbene, – disse Hill, – andrò a casa mia; ma prima vi prego di accordarmi ventiquattro ore per poter prendere una decisione.

E così dicendo salutò il professore e se ne andò.
Il giorno dopo, il posto di Hill era vuoto.
La fanciulla bionda dagli occhiali, vestita di grigio, che era sempre la prima ad essere informata di tutto, entrò nel laboratorio, e vedendo Wedderburn e la signorina Haysmann che parlavano insieme, s’affrettò a recar loro la terribile notizia.

— Avete sentito? – diss’ella.

— Che cosa? – risposero contemporaneamente Wedderburn e la signorina Haysmann.

— Vi è stata una truffa, negli esami!

— Una truffa? – esclamò Wedderburn arrossendo. – Come mai?

— Il vetro!

— Fu mosso?! Mai più!

— È stato mosso! Ve lo accerto!

— Che sciocchezza! Via, non è possibile! – rispose Wedderburn sempre rosso in viso. – Come potete saperlo?

— È stato il signor Hill!

— Hill?! – domandò stupefatta la signorina Haysmann.

— È impossibile, – disse Wedderburn alquanto rassicurato, – il puro, l’immacolato Hill non ha fatto ciò! Non può averlo fatto!

— Io non lo credo!! – disse a sua volta la signorina Haysmann. – Come mai potete saper ciò?

— Io non so altro che Hill andò dal professore Bindon, e gli confessò tutto!

— Per Dio! – esclamò Wedderburn, – guardate un po’, quel popolare! Io sono sempre stato nemico di questi filantropi di professione!

— Ne siete proprio certa? – domandò la signorina Haysmann, affannosamente.

— Certissima! È orribile, non è vero? Ma vedete un po’ che cosa possiamo aspettarci da un figlio di un ciabattino!

— Io non ci credo! – disse la signorina Haysmann diventando rossa in viso.
— Io non ci credo! – disse la signorina Haysmann diventando rossa in viso.

— Io non ci credo! – disse la signorina Haysmann diventando rossa in viso, – non ci credo! Ci crederò solamente quando egli verrà da me e mi confesserà tutto! Allora forse ci crederò!

E voltandosi bruscamente se ne andò.

— Questo non toglie che Hill ha proprio mosso il vetro! – disse la signorina dagli occhiali a Wedderburn.

Ma questi non le rispose, la guardò stranamente, ed uscì dal laboratorio.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Un esame al microscopio
AUTORE: Wells, Herbert George

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Novelle straordinarie / H. G. Wells ; [illustrazioni di Celso Ondano]. - Milano : Fratelli Treves, 1905. - 211 p., [10] c. di tav. : ill. ; 27 cm.

SOGGETTO:
FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)
FIC028040 FICTION / Fantascienza / Brevi Racconti