In questo breve saggio del 1905, il filosofo Francesco Bonatelli sostiene che ci sia una separazione netta fra gli esseri umani nelle due sole categorie degli atei e dei teisti, intesi rispettivamente come negatori ed affermatori dell’esistenza di un ente con precise proprietà (vivente, spirituale, infinitamente santo…).
Il filosofo risponde all’obiezione che alcuni sono incapaci per natura di assurgere all’idea di Dio e a quella che esistono “posizioni intermedie” (ammettere un ente con solo alcune delle proprietà di Dio, gli scettici e gli agnostici…). Nell’ultimo caso occorre chiedersi se le posizioni sono corrette logicamente.
Per Bonatelli la distinzione di Iacobi tra l’intelletto, che si ferma al sensibile, relativo e finito, e la ragione, che apprende il soprasensibile, assoluto e infinito, rappresenta l’atteggiamento definitivo che il pensante assume riguardo alla questione. Bonatelli infine ritiene atei coloro che fanno coincidere la divisione tra relativo e assoluto con quella tra reale e ideale.
Sinossi a cura di Michele De Russi
Dall’incipit del breve saggio:
La natura ci presenta molti esempi d’una linea fissa di divisione tra due ordini di fatti differenti, per es. lo zero termometrico, sotto una data pressione, tra lo stato solido e lo stato liquido, puta, dell’acqua; il grado 100, tra lo stato liquido e l’aeriforme e cosi via. Un determinato numero di vibrazioni separa, per l’orecchio umano, il silenzio assoluto dal mondo de’ suoni; un grado fisso di temperatura disgiunge l’innocuità d’un esplodente dagli spaventevoli effetti dell’esplosione, e gli esperti nelle scienze matematiche, fisiche, chimiche e biologiche potrebbero, credo, offrirci altri esempi a centinaia. Malgrado l’indeterminatezza dovuta alla nostra ignoranza circa i limiti ultimi della divisibilità della materia, malgrado l’impossibilità di segnare un esatto confine tra il continuo e il discreto, malgrado la relatività inseparabile da moltissime di tali determinazioni, parmi si possa in via generale convenire in questo, che per molti ordini di fatti esiste un limite di tal natura, che ciò che sta di quà e ciò che l’oltrepassa costituiscono quasi due mondi opposti.
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