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Mea, dopo la morte del suo consorte Polito e la conseguente fine di un matrimonio nel quale ha messo al mondo un nugolo di figli tutti premorti, benché ormai in età piuttosto matura, briga per risposarsi con un uomo più giovane, e programma con grande zelo (ma lavorando soprattutto con l’immaginazione) le sue nuove nozze; alla fine viene a sapere che il fidanzato si sta sposando con un’altra, e il disinganno le costerà caro.
Curioso poemetto maturato nell’ambiente della cultura popolare dell’appennino pistoiese, e redatto in un altrettanto curioso dialetto “di confine” che lo rende un documento di notevole importanza etnografica e linguistica, è in realtà l’attento rimaneggiamento letterario di una tradizione locale dovuto alla versatile vena poetica di un sacerdote che nel XVIII secolo trascorse quasi tutta la vita su quelle montagne.
Sinossi a cura di Giovanni Mennella
Dall’incipit del libro:
Allor che il Sol della gran madre il seno
Ritorna a fecondar col caldo raggio,
E rider fa, di fiori e d’erbe ameno,
Il fin d’aprile e il cominciar di maggio,
La vecchia Mea dell’Appennin tirreno,
Che di rimaritarsi avea coraggio,
Sul nuovo sposalizio e sulla dote,
Brontolava, filando, in queste note.
’Mia dirci lui! deccomi qui, son resta
Inuzzurri accosì com’un pileo
Senza ’l mi’ uom, ch’i’ l’ho qui sempre ’n testa
Dal gran ben, gentimía, ch’i’ li voleo;
Perchè per la primante, ch’èje questa,
M’è diviso che fusse un archileo,
Lonzo, brenzaruglione, e covacendere;
Ma po’ del galantuom n’ava da vendere.
Scarica gratis: La Mea di Polito di Jacopo Lori.