Dramma del 1874, che riassume la vita del militare e politico ateniese in concomitanza con i fatti principali della storia di Atene e della Grecia al tempo della guerra del Peloponneso.

Dall’incipit del libro:

Caro Yorick figlio di Yorick,
Difendono i ministri i loro spropositi, difendono i filosofi le loro utopie, difendono le mamme i loro mostricini, possono ben difendere gli artisti i loro lavori, fossero anche aborti delle Muse.
E poiché sono venuto nella idea di rispondere alle critiche da varie parti piovute sul mio povero Alcibiade; e bisognava pur trovare qualcuno a cui parlare per tutti – come a suocera veneranda, perchè le nuore pudiche della critica intendano, – ho pensato che quest’uno potevate benissimo essere voi.
Ciò per parecchie ragioni: delle quali salto subito subito, di piè pari, la prima – perchè dovrei discorrere della bacchetta di direttore che voi tenete da tempo con diritto incontestabile nell’orchestra, un po’ scordata, della critica giornalistica italiana. Ora qui da un lato sdrucciolerei ne’ complimenti, e in fatto di complimenti, io mi dichiaro confratello degli orsi delle caverne di Berna e del Pessimista dell’Arte Drammatica di Milano; dall’altro forse nelle scortesie, e nel lodare il direttore non vorrei offendere i violini di spalla.
Un’altra ragione riguarda me. – E questa lasciatemela pigliar dalla lunga.
La vita dell’arte, come quella della politica, non è stata per me tutta rose. In politica ho avuto addosso i nemici di partito; in arte – oh in arte, assai di peggio: ho avuto addosso i critici imparziali. Voi non immaginate che spaventosa parola sia questa per i poveri autori. In arte, si sa, è valuta intesa, non ci sono, non ci possono essere partiti, nè simpatie od antipatie partigiane: la legge di Solone che voleva i cittadini partigiani per forza, pena l’infamia, nella repubblica delle lettere, si sa, non ha corso; qui, non si parla, non si scrive, non si giudica che per semplice, solo, purissimo amore dell’arte.

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