Il messaggio di civiltà di Giacomo Leopardi ci può aiutare a restare uniti in momenti come il periodo storico che stiamo vivendo, caratterizzato dalla paura per una malattia che fino a meno di un anno fa appariva a tutti un male curabile, l’influenza, ma che il terribile virus, posto sopra le nostre teste come una spada di Damocle, ha dimostrato che può portare livelli impensati di mortalità. Il poeta di Recanati nei suoi canti civili, ma ancora di più nella sua concezione di una società coesa e fondata sulla collaborazione, ha cercato di insegnare all’uomo a sopportare il dolore e la frustrazione attraverso la fratellanza, vista come partecipazione a un progetto esistenziale comune.
Chiunque si sia avvicinato anche solo superficialmente all’opera di Giacomo Leopardi, avrà compreso come il poeta sia stato messo a dura prova per tutta la vita da incomprensioni e disillusioni che, nel momento in cui si sono manifestate, hanno lasciato in lui una mancanza colmata solo dalla dedizione alla conoscenza. A iniziare dall’insofferenza per il paese nativo e alla condizione di esilio imposta dalle sue nobili origini, che lo allontanava dall’avere rapporti con le persone a lui vicine, con i suoi coetanei e in particolare con Teresa Fattorini, ricordata nella celebre canzone con il nome di Silvia. Insofferenza che lo spinse a cercare di fuggire ancora giovanissimo, fermato da un intransigente conte Monaldo, un padre forse incapace di comprendere fino in fondo la vivacità intellettuale del figlio.
Poi il primo viaggio a Roma, dove poté toccare con mano la bassezza e l’ipocrisia di una società finta, dedita alla corruzione e ai piaceri. Si arriva ai suoi spostamenti in varie città d’Italia, a Milano dove fu collaboratore dell’editore Antonio Fortunato Stella, a Pisa per godere dell’ottimo clima tirrenico e infine a Firenze, dove acclamato dalla comunità intellettuale si innamorò ancora una volta inutilmente, stavolta di Fanny Targioni Tozzetti, assai apprezzata per il suo salotto letterario. L’incapacità di stabilire rapporti con il gentil sesso alimentò la tristezza di Giacomo, amareggiato da un forte risentimento persino contro la natura stessa.
Non a caso nella celeberrima operetta morale “Dialogo della Natura e di un Islandese”, apice della sua teoria sul pessimismo cosmico, la Natura al fine incontrata dal protagonista all’Equatore dopo varie peripezie ha le fattezze di una donna gigantesca, simbolo inconscio dell’irraggiungibilità dell’altro sesso. Significativa, sempre sul rapporto con la donna, è anche la scena del film “Il giovane favoloso”, diretto da Mario Martone e dedicato alla vita di Leopardi, dove Elio Germano nei panni del poeta ce lo mostra a Napoli mentre frequenta un quartiere abitato da prostitute. Nel momento in cui ancora una volta non riesce a godere delle gioie offerte dal corpo femminile, viene deriso e inseguito dagli uomini che abitano la zona malfamata, mentre scappa sorreggendosi sul bastone.
È stato del resto nell’ultimo periodo della vita trascorso nella città partenopea, che Leopardi ha concepito il progetto di una società realmente civile e volta al progresso, mentre infuriava l’epidemia di colera che per molti studiosi lo uccise (per il prof. Gennaro Cesaro a ucciderlo fu invece un’indigestione, sopraggiunta dopo aver mangiato un chilo di confetti). Una forma di fratellanza concepita dalla sua mente lungimirante, ma ancora di più dal suo cuore pronto ad amare malgrado il dolore e le umiliazioni subite. Una società in cui gli esseri umani, che per Leopardi, stando alla teoria del pessimismo cosmico, sono inevitabilmente condannati all’infelicità, sanno affrontare con coraggio le vicende avverse, sanno vivere nel dolore e devono capire che solo nell’essere uniti troveranno la loro piena realizzazione. Devono farsi forza gli uni con gli altri per raggiungere gli strumenti culturali utili ad accettare la disillusione, la vita purtroppo si rivela priva di quella gioia che illumina l’anima del “garzoncello scherzoso”, ancora ignaro del suo futuro.
Si sprecano i messaggi di questa concezione della realtà sociale e culturale nella letteratura leopardiana, a iniziare dalla pagina dello “Zibaldone” dove il giardino, nel suo insieme meraviglioso, è in realtà costituito da esseri viventi vegetali che lottano per la loro sopravvivenza, metafora di un’umanità sofferente, consumata dalla necessità di mantenere insieme una società civile, realmente bella a vedersi. Nel fiore della ginestra Leopardi, invece, identifica un essere vivente che sopravvive alla desolazione, è la speranza di poter resistere alla delusione e all’insoddisfazione; una società civile coltiva il valore rappresentato dalla ginestra, perché tutti i suoi componenti sanno quanto questo bene sia raro.
Essere uniti resta essenziale oggi come in passato. Quando il messaggio letterario cavalca il tempo, per giungere fino a noi come un insegnamento impossibile da disattendere, che può aiutarci a comprendere ogni forma di realtà, chi lo ha espresso ha lasciato un segno indelebile. Come diceva Mario Luzi, il grande autore non è quello con lo stile più elaborato, ma colui che ha saputo dipingere con le parole un’immagine attenta della società in cui è vissuto, interpretandola in profondità. Mentre Niccolò Machiavelli parlava dell’“esperienza del presente e la conoscenza degli antichi”, al fine di sottolineare come in effetti la storia spesso si ripeta e conoscere il passato equivalga a capire il presente, stimolati dalla grandezza del pensiero degli intellettuali.
Così il messaggio di unione e condivisione della sofferenza e della fatica di Leopardi diviene un monito universale, che richiama l’uomo a mettere da parte ogni ipocrisia ed egoismo, per tendere la mano al fratello accanto a lui. Il Covid 19 è un pericolo come lo sono state altre epidemie che hanno afflitto l’uomo, dalle pestilenze del mondo antico e del Medioevo, all’influenza spagnola. Se crediamo nelle nostra capacità di costituire una società civile, fondata sul valore del rispetto, supereremo anche questa prova e magari quando tutto sarà un lontano ricordo, potremo guardare con rinnovata simpatia al poeta di Recanati, conservando in modo ancora più geloso i suoi insegnamenti per porli assieme al pensiero di poeti e scrittori, che a loro volta hanno saputo affrontare il dolore e la frustrazione. Come Emily Dickinson che ha accettato una vita di solitudine con coraggio, Alessandro Manzoni, Giosuè Carducci e Giuseppe Ungaretti che hanno sopportato la perdita delle persone care o, infine, Dino Campana e Alda Merini, che hanno conosciuto la malattia della mente. A tutti loro dobbiamo molto.