Opera d’esordio del ventiseienne Roggero sono questi nove brevi racconti, di piacevole lettura, che testimoniano della iniziale ricerca della strada di percorsi narrativi personali e originali. Percorsi che caratterizzeranno l’attività letteraria di questo autore, il quale, come scrisse Teresah, “ha la grande fortuna di essere discusso”.
Ed è vero perché, sfogliando i giornali letterari dell’epoca, si riscontra come la critica lo avesse inquadrato come scrittore interessante proprio fin da questa sua opera di esordio. Fuori dalle correnti letterarie ufficiali, Roggero riesce a restare sincero e originale, pur mantenendo i suoi temi nei binari dell’osservazione dei sentimenti e delle emozioni classiche dell’amore, concentrandosi in genere sui più semplici e gli emarginati. Seguiamo quindi i primi passi di una corista, la latitanza di un assassino “per onore” e poi, via via, sofferenze e cadute di illusioni con sullo sfondo una campagna che trasmette sempre una sensazione di pace e serenità.
I difetti sono tuttavia evidenti, da una eccessiva retorica che pesa sull’efficacia di certe pagine, al compiacimento che accompagna certi termini ripetuti e che pesano sulla scorrevolezza della prosa con la loro monotonia. Difetti che si andranno poi attenuando nelle opere successive di questo autore.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del primo racconto:
Eran quasi due ore che Valentina attendeva nel piccolo corridoio buio ed umido, dall’aria greve di fumo di tabacco e di cose vecchie, stretta nel suo scialletto scuro, seduta in un angolo, sopra una vecchia panca che il continuo sfregamento dei tanti che vi si erano seduti avea coperto di una leggera patina grassa e lucida. Il portinaio del teatro, un omaccione basso ed adiposo, dopo avere scambiato qualche parola con la ragazza, visto che non diceva più nulla, se n’era andato a fumare la sua pipa sulla porta, contemplando l’acquerugiola che da tre giorni cadeva lenta ed inesorabile nella via. E Valentina era rimasta sola in quell’umido e triste corridoio senza luce, che serviva di «passaggio particolare,» come diceva la scritta mezzo scolorita sopra la porta, agli artisti ed al personale del teatro; quasi perduta nel suo cantuccio, nascosta nel buio, un po’ sbalordita, presa da un vago desiderio di chiudere gli occhi in un sonno che non finisse mai in quell’angolo così buio e così triste. Intorno a lei tutto taceva nella luce scialba e scolorita del triste mattino invernale. Dalla via veniva, sottile ed insistente, il rumore dell’acquerugiola inesorabile; il grido di un monello allegro e il passo uguale e frettoloso dei passanti ben chiusi ne’ loro mantelli. Ogni tratto una carrozza che trascorreva di corsa, facendo tintinnare tutti i vetri, empiva la via per un momento di schiocchi allegri di frusta e del rumore di ruote scorrenti; poi tutto ricadeva nel silenzio uggioso e triste. Di quando in quando uno degli addetti al teatro, dopo essersi fermato un momento sulla porta a barattare qualche scherzo col portinaio, passava davanti alla ragazza, indifferente, stropicciando le scarpe umide della fanghiglia della strada sulla segatura sparsa sul pavimento, e spariva dietro alla porta, fondo al corridoio. Valentina cercava di spingere lo sguardo dietro a quella porta che ogni qualvolta si apriva metteva nel corridoio una corrente umida ed un gran senso di tristezza per la luce giallastra e senza vita che dietro ad essa lasciava intravedere.
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