Zadig, ou la destinée fu pubblicato per la prima volta nel 1747 a Londra col titolo Memnon, histoire orientale; l’anno successivo prese il titolo Zadig e fu pubblicato a Nancy. La sua redazione definitiva, dopo aver subito rimaneggiamenti di stile e aggiunta di episodi fu pubblicata nel 1756.

È ambientato a Babilonia con successivi spostamenti in vari paesi del medio oriente. Zadig è un giovane bello e ricco e si attenderebbe dalla vita una corrispondente felicità, passa invece da una una sfortuna all’altra, costretto a fronteggiare una realtà spesso molto pericolosa. Difende con le armi la donna amata e questa lo abbandona e sposa un altro; il suo tentativo di avvicinarsi alla scienza lo vede perseguitato dalla giustizia. Riesce comunque a diventare primo ministro ma l’amore non dichiarato tra lui e la regina lo costringe a fuggire precipitosamente per non incorrere nella vendetta del re. La fuga è un susseguirsi di peripezie, dalla schiavitù in Egitto, alla prigionia presso i briganti. Torna a Babilonia dove una sorta di rivoluzione in corso vuole eleggere un nuovo sovrano. Supera la prova per diventare re ma non può provare la propria identità perché il più stupido e vanesio dei suoi rivali gli sottrae l’armatura. Il destino sembra sempre punire i buoni e premiare i cattivi. L’angelo Jesrad sotto sembianze di eremita gli fornisce quindi la comprensione e con una serie di esempi apparentemente inspiegabili illustra il disegno teleologico complessivo che governa il mondo ma che resta incomprensibile all’individuo. Non resta, per raggiungere la felicità, che sottomettersi alla provvidenza. Zadig torna quindi a Babilonia e superate le ultime prove diviene re e sposa la regina.

Ironia e umorismo sono sparse a piene mani in questo racconto filosofico – il primo di Voltaire – ed è con queste armi che realtà e immaginazione possono efficacemente fondersi dando vita a una narrazione riuscita ed efficace.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Al tempo del re Moabdar viveva a Babilonia un giovane chiamato Zadig, il quale aveva sortito, nascendo, un’ottima indole, rinvigorita poi anche più mediante l’educazione.
Benchè fosse giovine e ricco, egli sapeva tenere in freno le sue passioni; non ostentava nulla; non pretendeva d’aver sempre ragione e aveva gran tolleranza per le debolezze umane. Tutti si stupivano ch’egli, con tanto spirito, non si facesse mai beffe di quelle idee così vaghe, così monche e disordinate, di quelle azzardose maldicenze, di quelle ignoranti risoluzioni e buffonate volgari, di quell’inutile rumorio di parole, insomma, che in Babilonia appellavano conversazione. Egli aveva imparato nel primo libro di Zoroastro, che l’amor proprio è un pallone gonfio di vento da cui, a fargli un forellino, scaturiscono molte tempeste. Zadig, sopra tutto, non menava mai vanto di disprezzare le donne e di dominarle. Era generoso e non temeva affatto di render servigio agl’ingrati, conforme il grande precetto di Zoroastro: “Quando mangi, dà da mangiare anche ai cani, sia pur che ti mordano”.
Egli era saggio quanto è possibile esserlo; poichè cercava di trascorrer la vita coi saggi.
Ammaestrato nelle scienze dagli antichi Caldei, non era digiuno dei principi fisici della natura allora conosciuti; della metafisica, poi, ne sapeva quel che ognuno ne ha saputo in tutti i tempi, vale a dire pochissimo.

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