Si ringraziano gli autori e la casa editrice Einaudi per aver consentito la pubblicazione con la seguente clausola:

Si consente la riproduzione parziale o totale dell’opera e la sua diffusione per via telematica, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta.
© 2018 by Wu Ming
© 2018 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino.

Mosca, 1927. Che le proprie storie si mescolino alla realtà fino al punto di prendere vita: non è questo il sogno segreto di ogni narratore? È ciò che accade ad Aleksandr Bogdanov, scrittore di fantascienza, ma anche rivoluzionario, scienziato e filosofo. Mentre fervono i preparativi per celebrare il decennale della Rivoluzione d’Ottobre e si avvicina la resa dei conti tra Stalin e i suoi oppositori, l’autore del celebre Stella Rossariceve la visita di un personaggio che sembra uscito direttamente dalle pagine del suo romanzo. È l’occasione per ripercorrere le tappe di un’esistenza vissuta sull’orlo del baratro, tra insurrezioni, esilio e guerre, inseguendo lo spettro di un vecchio compagno perduto lungo la strada. Una ricerca che scuoterà a fondo le convinzioni di una vita.

Sinossi tratta dal sito Internet della Editrice Einaudi.
(https://www.einaudi.it/catalogo-libri/narrativa-italiana/narrativa-italiana-contemporanea/proletkult-wu-ming-9788806236946/)

Dall’incipit del libro:

Il venditore di frutta ancheggiava di fronte al caravanserraglio, reggendo sulla testa un vassoio di pesche e ciliegie. I piatti della bilancia appesa alla spalla tintinnavano come cimbali, agitati dai passi di una danza scomposta. Cantava con voce di contralto in un miscuglio di lingue. Leonid distinse a malapena la pronuncia storpia delle parole russe.
Koba gli aveva spiegato che gli ambulanti di Tiflis non erano semplici fruttivendoli. Oltre a improvvisare ballate sui fatti del giorno, molti lavoravano per la polizia. Osservavano e riferivano. Spifferavano e tradivano per pochi spiccioli.
Oggi avrai davvero una storia interessante da raccontare, pensò Leonid.
Finse ancora di appassionarsi al giornale che teneva sotto il naso. Sfogliò una pagina, scorse i ghirigori di un titolo in georgiano e rialzò la testa. Abo era sempre davanti al cancello dei giardini. Bottiglia in mano, stessa posizione di un minuto prima. Anche gli sbirri che sorvegliavano la piazza erano immobili. Due alla porta del municipio, quattro sotto la caserma. Rassicurato, Leonid seguí l’incedere di due cammelli carichi di tappeti, studiò gli abiti di un pope armeno, controllò il fruttivendolo alle proprie spalle. Il balletto proseguiva senza pubblico.
Leonid stava per ricominciare la trafila – un’altra pagina di giornale, un’altra occhiata di sguincio – quando Abo lasciò cadere a terra la bottiglia di vino. Il vetro andò in frantumi sui ciottoli. Gendarmi e soldati all’ingresso della caserma si girarono di scatto, ma un attimo dopo tornarono a fissare le due ragazze che stavano lí apposta per intrattenerli.
Kamo, nella sua bella uniforme da capitano, prese a far la spola su e giú per la piazza, invitando i passanti a togliersi dai piedi e incalzando i piú riottosi con le braccia spalancate. La benda sull’occhio gli dava un’aria arcigna e marziale.
Sbraitò quattro ordini in russo, come un vero ufficiale, subito imitato dal venditore ambulante, in una pantomima di strilli.
Leonid avanzò verso la strada da cui dovevano arrivare i carri.

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