Leggere opere concepite per esser recitate, viste ed ascoltate, può risultare limitativo. È plausible credere che l’essenza di quelle opere finisca perduta nella confusione dell’immaginazione. In parte è vero, è innegabile che assistere alla realizzazione di un’opera teatrale è imparagonabile alla semplice lettura della medesima. Ma quando si tratta di un lavoro risalente al diciannovesimo secolo, certamente meno famoso e replicato di Romeo e Giulietta o dell’Amleto shakespeariani, ma altrettanto imperdibile, allora forse può avere senso almeno cominciare a conoscerlo attraverso il suo testo stampato. Esattamente ciò che si consiglia di fare con il celebre, non per questo ben conosciuto, Cyrano de Bergerac di Rostand.
Messo in scena per la prima volta alla fine del 1897 a Parigi, Cyrano conosce una grande fortuna fin dal debutto, rivisitato in forma di musical, di opera lirica, di film e quanto altro, arriva ai giorni nostri carico dei significati attribuitigli dallo stesso autore e di quelli acquisiti durante oltre cent’anni di vita. In questa parola è racchiusa la fortuna dell’opera: Cirano di Bergerac è vivo, quasi a ribellarsi alla fine drammaturgica che Rostand decise per il suo personaggio, ha ancora qualcosa da dire nel nuovo millennio.
Prova ne sono le innumerevoli rielaborazioni citate e quelle di altro genere che hanno ispirato finanche queste stesse righe. La grandezza della cultura spesso giace proprio nella capacità reticolare che le è insita: la letteratura ispira il cinema, la musica ispira la letteratura, la letteratura ispira il teatro, il cinema ispira la musica e così via finché una tragedia teatrale non finisce per ispirare un cantautore folk. Da un incontro di questo genere può derivare […] nulla, oppure lo stimolo per conoscere un personaggio interessante come Cyrano de Bergerac dalle parole di colui che ne rese famose le gesta.
Una decina di anni fa uno dei più stimati cantautori italiani prese ispirazione, nonché alcuni passi, dal dramma di Rostand per una sua canzone (in realtà scritta a più mani). Si tratta di Cirano di Francesco Guccini, attualizzato attraverso le vesti di uno spadaccino-poeta romantico e idealista che combatte «col naso e con la spada» le ipocrisie del suo (ovvero il nostro) tempo, le ingiustizie, la politica corrotta e l’avidità che soffoca gli ideali. La forza di alcune meravigliose invenzioni letterarie sta proprio nella loro capacità di resistere al tempo, esattamente come i valori che cantavano attraverso i propri eroi in tempi ormai remoti. Sono opere in grado di mantenere sempre la propria verità, tanto da poter attraversare decenni e culture diverse, fino ad arrivare alle centinaia di giovani (rigorosamente) seduti sotto il palco di un cantautore emiliano con un ultra quarantennale carriera alle spalle. Un viaggio che ha dell’incredibile.
Si parlava di invenzioni letterarie, occorre però specificare che l’opera di Rostand è dedicata ad un uomo realmente vissuto nel diciassettesimo secolo (1619-1655), Savinien de Cyrano, un colto cadetto delle Guardie francesi, la cui fama (principalmente locale) si costruì attraverso imprese (si ignora in quanta parte vere e in quanta leggendarie) come quella di aver messo in fuga da solo cento uomini armati alla porta di Nesle. Rostand dunque non fece altro che romanzare e mettere in versi l’avventurosa vita di Savinien de Cyrano, più noto come Cyrano de Bergerac da quando decise di aggiungere al suo nome quello di un feudo che il padre aveva ereditato quando Savinien aveva circa vent’anni.
Certo l’abile drammaturgo francese fece innamorare il suo personaggio della propria cugina Maddalena Robin detta Rossana, portando le avventure del cadetto di Guascogna dall’avere qualche possibilità di successo letterario, alla certezza dell’acclamazione da parte del pubblico pagante. La storia di Cyrano è appassionante e attuale in maniera sorprendente: un uomo esteticamente sgradevole, ma dotato di raro acume, di sofisticata cultura e di enorme coraggio si innamora di una bellissima donna e ne conquista l’inconsapevole amore grazie alla propria destrezza oratoria. Rossana infatti amerà la bellezza di Cristiano, un cadetto della stessa compagnia di Cyrano, e contemporaneamente, ma senza saperlo, l’anima romantica e raffinata del caro cugino, il quale le parlerà sempre tramite la bella, ma rude figura di Cristiano, perché convinto che lei non potrebbe amarlo brutto come è. In realtà, se la storia fosse sintetizzabile in questi poveri termini, è difficile credere che sarebbe giunta al 2007 con l’enfasi di cui è ancora portatrice.
«Venite pure avanti voi con il naso corto, signori imbellettati io più non vi sopporto, infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio, perché con questa spada vi uccido quando voglio».
I primi versi del noto brano di Guccini sembrano molto più funzionali sotto l’aspetto della sintesi. È nell’idealismo e nel coraggio di questo personaggio che è racchiusa la fortuna e l’eternità della sua storia,
«Venite pure avanti poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati, buffoni che campate di versi senza forza, avrete soldi e gloria ma non avete scorza; godetevi il successo, godete finché dura, ché il pubblico è ammaestrato, e non vi fa paura…»
nella spregiudicatezza con cui affronta, nel teatro descritto da Rostand nel primo atto, un’intera folla contrariata a causa dell’interruzione dello spettacolo compiuta da Cyrano per la scandalosa recitazione dell’attore principale;
«Non me ne frega niente, se anch’io sono sbagliato, spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato; coi furbi e i prepotenti, da sempre mi balocco, e al fin della licenza, io non perdono e tocco»
è nel suo incorruttibile idealismo che lo porta a intraprendere sempre la strada più impervia e a combattere in costante minoranza numerica contro i corrotti,
« […] tornate a casa nani, levatevi davanti, per la mia rabbia enorme, mi servono giganti […]»
e nell’enorme energia che impiega per portare avanti i propri valori, nell’ardore con cui li difende.
Infine la fortuna di questo personaggio è nello struggente romanticismo del suo amore per Rossana:
«Io tocco i miei nemici col naso e con la spada, ma in questa vita oggi non trovo più la strada,
non voglio rassegnarmi ad essere cattivo, tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo […] Non ridere, ti prego, di queste mie parole, io sono solo un’ombra e tu, Rossana, il sole; ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora, ed io non mi nascondo sotto la tua dimora, perché ormai lo sento, non ho sofferto invano,
se mi ami come sono, per sempre tuo,
per sempre tuo,
per sempre tuo, Cirano».
La modernità di questo dramma francese vive nell’idealismo e nella passione di Cyrano e le parole del brano di Guccini sono riuscite a traghettarlo nel nuovo millennio arricchendolo di moderni significati, senza per altro scalfirne quelli più lontani. Se ce ne fosse bisogno, prova della fedeltà del brano alla storia di Rostand sono le varie citazioni semi-letterali che riporta fra i versi:
«giusto alla fin della licenza io tocco» che Cyrano dice al Visconte battuto in duello, dopo la promessa di colpirlo solo alla fine di otto versi improvvisati ad ogni proprio attacco. Oppure «Ho dieci cuori; ho venti braccia; non può bastarmi sconfiggere dei nani! … Mi occorron dei giganti!».
Cyrano de Bergerac è un romantico personaggio sospeso tra storia e leggenda, la cui breve esistenza non è riportata nelle antologie di letteratura, sebbene sia stato scrittore, né nei libri di storia, nonostante le sue imprese a dir poco eroiche. Ha cavalcato attraverso i secoli e la memoria degli uomini fino ad arrivare in uno spazio privo di materia chiamato cyber, sarebbe un vero peccato ora fermare la sua corsa.