L’opera, secondo importante saggio storico di Carlo Botta, fu pubblicata nel 1824 a Parigi. Suddivisa in due parti, dallo scoppio della Rivoluzione francese all’incoronazione di Bonaparte e dalla proclamazione del Primo Impero al Congresso di Vienna, traccia un primo bilancio sugli esiti della mancata insurrezione italiana. Ebbe una grande fortuna editoriale e rimase per tutto il 19° secolo uno dei testi di storia più diffusi in Italia.

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Dall’incipit del primo volume:

Proponendomi io di scrivere la storia delle cose succedute in Italia ai tempi nostri, non so quello che gli uomini della presente età saran per dire di me. Conciossiachè mancati col finire del decimo sesto secolo gli eccellenti storici fiorentini, i quali soli forse fra gli storici di tutti i tempi e di tutte le nazioni scrissero senza studio di parti la verità, i tempi andarono sì fattamente peggiorandosi, e l’adulazione in guisa tale distendendosi, che il volere scrivere la storia con sincerità pare opera piuttosto incredibile, che maravigliosa. E non so perch’io m’oda dire tuttavia, che la storia è il lume del tempo, e che insegna bene il fatto loro ai popoli, ed ai principi: imperciocchè, scritta secondo il costume che prevalse, io non so quale altra cosa ella possa insegnare altrui, fuori che a dir le bugie; e qual buona guida nel malagevole cammino della nostra vita siano queste, ognun sel vede, stantechè i negozi umani con la realtà si governano, non con le chimere. E già i più tra coloro ai quali io appalesai questo mio pensiero, mi dissero apertamente o ch’io non oserei, o ch’io non potrei, od all’ultimo ch’io non dovrei mandarlo ad esecuzione. Pure, pare a me, che se l’adulazione si cerca da una parte, che certamente si cerca, molto ancora più si offra dall’altra, e che più ancora siano da accagionarsi di viltà gli scrittori, che di rigore, o di ambizione i principi. Per la qual cosa io, che di maggior libertà nello scrivere non pretendo di godermi di quella, cui Benedetto Varchi, o Francesco Guicciardini ottennero dal duca Cosimo, e Niccolò Machiavelli dal pontefice romano, il quale concesse anco un amplissimo privilegio per la stampa delle sue opere, mi confido che comportare mi si possa: salvochè si voglia credere, od almeno dire, ciò che credeva e diceva colui, che ai nostri dì avrebbe voluto spegnere anco il nome della libertà, cioè che tutto il male (così chiamava egli il desiderio mostrato prima dai principi, poscia dai popoli, di un governo più benigno) procedette dal secolo di Leone X.

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