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(voce di SopraPensiero)
Grazie ai volontari del Progetto Griffo è online (disponibile per il download gratuito) l’ePub La crisi italiana di Paolo Sylos Labini.
Il testo è stato gentilmente fornito dalla casa editrice Laterza, con il consenso dell’Autore.
Uno dei maggiori economisti contemporanei analizza le cause della crisi economico-politica italiana alla fine del secolo scorso. Nei primi due capitoli esprime alcune riflessioni sulle origini della crisi della società italiana e la crisi del marxismo.
Affronta poi le questioni riguardanti la situazione politico-finanziaria con l’avvento del primo governo Berlusconi ed infine suggerisce le modalità politico-economiche per ovviare ai gravi problemi individuando i settori critici d’intervento: spesa pubblica, disoccupazione, Mezzogiorno, scuola e ricerca. A distanza di quasi vent’anni molte delle idee espresse dall’autore sono ancora attuali ed i problemi, purtroppo, ancora irrisolti.
Sinossi a cura di Rosario Di Mauro
In questi anni, la sinistra ha scoperto di essere sola: distante dalla sua base tradizionale, che pure la condiziona e la frena (e magari la abbandona al momento del voto), appannata nelle sue capacità propositive, largamente priva di quel potere di aggregazione del consenso e di quell’egemonia intellettuale di cui aveva goduto per decenni. «What is left?» si chiedeva un paio d’anni fa un convegno della sinistra europea, giocando sul doppio significato di quest’espressione che indica a un tempo «Che cos’è la sinistra?» e «Che cosa è rimasto?». Se è difficile formulare un interrogativo più appropriato, è pressoché impossibile trovare, in qualsiasi parte del mondo, una risposta adeguata.
Non si esce da questa crisi con qualche artificio elettorale oppure inventando, per dir così, un candidato ‘deus ex machina’, per quanto degno, da opporre a Berlusconi. Occorre invece una sorta di purificatrice «discesa agli Inferi», come quella cui erano chiamati gli eroi omerici e virgiliani prima di compiere grandi imprese, una rivisitazione delle radici. È indispensabile prendere le proprie misure di fronte a un mondo che cambia.
Per la sinistra, un simile, dolorosissimo processo di riscoperta implica fare i conti con Marx, un tempo divinizzato, oggi quasi dimenticato. Paolo Sylos Labini, uno tra i maggiori economisti italiani, non marxista ma un tempo «ben disposto» verso Marx, appartiene all’esiguo novero di coloro che hanno avuto il coraggio di affrontare una simile, difficile avventura. Sylos Labini, infatti, è stato uno dei pochissimi allievi italiani di Joseph Schumpeter. Grazie anche a questa esperienza, il suo liberalsocialismo, che per altri versi si rifà soprattutto a Salvemini, si connota per la rara padronanza di strumenti concettuali tipici sia della sponda marxiana sia di quella liberista del profondo fossato ideologico che ha solcato, fino a sfigurarlo, il nostro panorama intellettuale.
Sylos Labini collega esplicitamente la rivisitazione critica delle posizioni della sinistra alla possibilità di soluzioni della crisi italiana, di cui la crisi della sinistra è ‘magna pars’. A quest’analisi e ad alcune vie per la soluzione è dedicato un suo breve ma densissimo saggio dal titolo «La crisi italiana», pubblicato da Laterza nella collana «Il nocciolo».
I conti di Sylos Labini con Marx sono iniziati con un noto articolo su «Il Ponte» del 1991 che ha innescato una vivacissima polemica. Sylos Labini non demonizza Marx e gli riconosce la paternità di «tesi analiticamente feconde» che riguardano soprattutto i metodi di analisi basati sull’esistenza di classi sociali, sulla ciclicità del capitalismo e l’importanza delle innovazioni. Lo attacca duramente, però, da una direzione insolita, ben diversa e ben più efficace di quelle tradizionali: lo chiama in causa per l’uso strumentale della morale, che emerge dalle lettere più confidenziali e riservate del filosofo tedesco, per il suo sfacciato invito ai comunisti a essere disonesti, per l’esplicita raccomandazione – accolta fin troppo alla lettera dai rivoluzionari bolscevichi – a non avere pietà dei vinti.
È comprensibile, su questa base, la reazione terrorizzata delle borghesie che condusse al fascismo e che ancor oggi influenza i comportamenti elettorali; essa è da attribuirsi, almeno parzialmente, al marxismo, nei confronti del quale il Pds non ha operato un taglio netto, a differenza dei socialdemocratici di tutta Europa.
Solo l’opera di «purificazione» legittimerà la sinistra a fare proposte credibili per il futuro e per questo futuro, i conti con Marx sono un preliminare necessario per affrontare i conti dello stato. Di fronte alla gravità della crisi finanziaria, individuata come banco di prova su cui si deve misurare chiunque intenda proporre seriamente un progetto politico, non si può non ammettere l’insostenibilità della spesa sociale ai suoi livelli e nelle sue forme attuali.
La via d’uscita abbozzata da Sylos Labini mira a rendere più vigoroso lo stato sociale, soprattutto per i meno abbienti, ma al tempo stesso dovrebbe comportare minori spese e instaurare un circolo virtuoso che colleghi occupazione, Mezzogiorno, scuola e ricerca. Questa proposta è molto originale e merita una considerazione molto attenta; per una politica dell’occupazione, Sylos Labini assegna un ruolo secondario alla riduzione di orario e ai lavori di interesse sociale, prediletti da una parte della sinistra, e punta decisamente in una direzione insolita verso la quale la sinistra ha spesso manifestato una grande diffidenza: la creazione di nuove imprese, soprattutto piccole, in grado, con le nuove tecnologie elettroniche; di fornire una produzione efficiente.
L’azione pubblica per conseguenza muta: si fa suscitatrice di occasioni di sviluppo, crea economie esterne, consente l’aumento dell’istruzione dei lavoratori, stimola la ricerca, sostiene condizioni tollerabili di vita civile, a cominciare dall’Italia del Sud. Nel lungo cammino che la sinistra dovrà fare nei prossimi anni, questo è un ottimo punto di partenza.
Recensione di M. Deaglio, L’Indice 1995, n. 4.
Dall’incipit del libro:
Quella che stiamo vivendo è una crisi grave e sconcertante. Molti pensavano che l’Italia stava uscendo da un periodo oscuro, dominato da numerosi sintomi di degenerazione, fra cui una dilagante corruzione, per entrare in tempi brevi in una fase di miglioramento politico e sociale.
Finora di questo miglioramento non c’è alcuna indicazione, anzi, pare che sia in atto un grave peggioramento: aumenta giorno per giorno il numero di coloro che si vanno convincendo che siamo caduti dalla padella nella brace (con diversi elementi positivi a favore della padella).
Lo svolgimento ha preso avvio poco meno di tre anni fa dalle inchieste aperte da alcuni giudici di Milano sulle così dette tangenti – che sarebbe più corretto definire secanti, come mi faceva notare un amico matematico -; le inchieste, oramai passate alla storia col nome di Tangentopoli, sono tuttora in corso.
Per cercare di comprendere quel che sta accadendo in un modo non superficiale dobbiamo cercare di andare oltre gli eventi contingenti e di considerare la crisi in atto adottando una prospettiva più ampia. A questo scopo possiamo prendere le mosse dalla concezione di Adamo Smith, il quale, prima di essere un economista, era un filosofo.