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(voce di SopraPensiero)ALDO CAZZULLO, Possa il mio sangue servire. Uomini e donne della Resistenza, Rizzoli, Milano 2015, pp. 406, € 19,00, EAN: 9788817082327
Ho vissuto la mia giovinezza accanto alla Val d’Ossola e la lotta partigiana era nel DNA di quella terra. Ho molto amato Beppe Fenoglio e considero Il partigiano Johnny uno dei più grandi romanzi del Novecento. Ho ammirato il Capitano Grandi e chi ha raccontato la Russia dal punto di vista di quella medesima compagnia è stato Nuto Revelli, che in Russia iniziò ad odiare i tedeschi e fu poi comandante di una Divisione ‘Giustizia e Libertà’. Era inevitabile che comprassi questo libro […]
Che Aldo Cazzullo, inviato ed editorialista del «Corriere della Sera», porta in libreria un anno dopo il successo del suo libro sulla prima Guerra mondiale (La guerra dei nostri nonni, Rizzoli 2014). Perché quest’anno ricorrono i settant’anni dalla fine della seconda Guerra. L’uso esatto degli anniversari potrebbe far pensare a un’operazione commerciale (e senz’altro Rizzoli ha spinto molto il volume, che infatti ha ampiamente superato le 100.000 copie); ma sarebbe un giudizio ingiusto. La raccolta delle testimonianze, che oggi questo libro riporta, è iniziata molto tempo fa, durante un colloquio proprio con Nuto Revelli: «Sono passati quindici anni, e questo libro ha cominciato a prendere forma allora» (p. 296).
Il volume raccoglie un numero davvero impressionante di storie, di testimonianze, di dati, da un capo all’altro (geografico, sociologico, ideale) dell’Italia. L’autore tiene a dichiarare: «Non ho certo scritto una storia organica della Resistenza; tanto meno una storia ufficiale. Anche perché, in questi anni in cui ho raccolto racconti e documentazione, mi sono convinto che i veri protagonisti della Resistenza non sono – parlandone con rispetto – i Ferruccio Parri o i Luigi Longo, cioè i comandanti politici; e non sono soltanto i partigiani, di varie fedi; il vero protagonista della Resistenza è il popolo anonimo che in diverse forme disse no ai nazifascisti» (p. 348).
Qui la tesi principale del libro e il suo maggior merito. Per decenni la storiografia (e l’agiografia) è stata generalmente molto orientata, tanto da far ritenere che gli unici protagonisti fossero stati solo i partigiani in armi, e le Brigate Garibaldi in particolare; e poco più che in Piemonte e nel nordest. Tutti, penso, abbiamo almeno intuito che così non potesse essere stato. Le storie raccolte da Cazzullo rendono evidente che «la Resistenza non è il patrimonio di una fazione; è un patrimonio della nazione» (p. 18). I primi a resistere furono i soldati di Cefalonia; e gli internati in Germania che non aderirono a Salò; e carabinieri (non pensavo tanti), donne, ebrei (anche in questo caso ne avevo molto sottostimato il numero); e molti uomini e donne di Chiesa. Comunisti, ma anche liberali, monarchici, cattolici […] E – finalmente lo si riconosce – l’esercito italiano di liberazione.
Un mondo tanto multiforme da richiedere equanimità e prudenza. Che mi pare a Cazzullo non manchi. La linea che separa il bene dal male non passa tra gli uomini (né tanto meno tra gli schieramenti), ma all’interno del cuore di ognuno. «Il bene e il male non si dividono mai con la spada», ribadisce Cazzullo (p. 349). Non tutti gli uomini che seguirono il Duce dopo l’8 settembre fecero le stesse cose né condivisero gli stessi ideali; molti forse erano in buona fede e seguirono la propria idea di coerenza. E neppure tutti i partigiani furono animati dagli stessi ideali, né tutti furono eroi. La stessa appartenenza all’una o all’altra formazione resistente, con i loro diversi orientamenti politici, «dipendeva sovente da dove ci si trovava al momento in cui ci si dava alla macchia» (p. 277).
Tra le «pagine nere» della Resistenza (che l’autore cita, convinto che la memoria storica e l’onestà richiedono siano conosciute) si sofferma soprattutto sull’eccidio della «Brigata Osoppo» alle malghe di Porzûs da parte dei garibaldini messisi agli ordini di Tito. Comandante della Osoppo era il capitano degli Alpini Francesco De Gregori (zio dell’omonimo cantautore), che venne fucilato, come anche il diciannovenne Guidalberto Pasolini, fratello di Pier Paolo (Cazzullo riporta una bella lirica del poeta dedicata al fratello).
Oltre a loro, sono tantissimi i militari che parteciparono alla Resistenza e che emergono da queste pagine. Bellissimo il XXI capitolo («La resistenza degli Alpini»), in cui si racconta la battaglia del Sestriere sostenuta dalla «Brigata Val Chisone», formata da alpini della Quarta Armata. «Saranno questi uomini a sostenere l’unica vera battaglia campale della guerra di liberazione, forse l’episodio militarmente più rilevante dell’intera Resistenza italiana» (p. 283).
Tanto impegno, a Cazzullo, deriva forse dalle sue origini (come Nuto Revelli, è del cuneese, e la ‘provincia Granda’ è l’angolo d’Italia dove l’attività partigiana fu più viva e partecipata). Ma l’urgenza che sente è soprattutto un’altra. «Gli italiani si sono autoassolti dal fascismo, e in parte anche dal suo torbido e violento tramonto» (p. 350). E avverte una risorgente ostilità alla Resistenza (intesa solo come «Bandiera rossa»). Tralasciando le frange, trova che molti possano essere i motivi, ma soprattutto quello del sangue. Molti hanno avuto un parente fascista, come è naturale in un regime durato vent’anni. E ammettere che – magari in buona fede – sbagliò, specie quando «si scopre che pure dall’altra parte ci furono persone crudeli che si comportarono male, e che pure dall’altra parte ci furono militanti che volevano edificare una dittatura» (p. 350) è una buona ragione per difendere le ragioni di famiglia prima di quelle della verità.
Allora proprio adesso che – con il trascorrere degli anni e il venir meno dei testimoni – la memoria rischia di svanire i contorni, ha reputato necessario raccontare questi brani di vita.
E non ha fatto male.