alpha impactSant’Antimo (NA), palestra della Scuola «Nicola Romeo», 28 dicembre 2014. Sono passate da poco le otto e un centinaio di persone – moltissimi giovani, accorsi anche da altri paesi – sta aspettando l’inizio del concerto di rap napoletano che culminerà con le performance di Enzo Dong e Ivan Granatino. Qui incontriamo gli Alpha Impact (canale YouTube: https://www.youtube.com/user/AlphaImpactOfficial), formazione napoletana emergente, quartiere Vomero, composta da Davide Capone (“Dandi”, come il personaggio di «Romanzo criminale»), Giuliano Fornasari («Spillo MC») e Fabio Capasso («Asso»), in attesa di incidere il primo disco. Giovanissimi, classe ’95, e già tante cose da dire, tanti tabù da scuotere, tante storie da raccontare. Ne parliamo con Spillo MC e Dandi.

Da cosa nasce il nome?
Da una casualità: cercavamo un nome che desse un’impressione forte, un «impatto», appunto; allo stesso tempo volevamo che manifestasse internazionalità, da cui la scelta dell’inglese. «Alpha Impact» (il cui logo è un meteorite) fa pensare al «primo impatto», con tutta la voglia che abbiamo di colpire con la nostra musica il mondo del rap. In un nostro pezzo cantiamo: «Alpha Impact / Cosa vorrà dire mai / Impatto iniziale / Olfatto animale / Scatto massimale mai».

Una crew napoletana dal nome inglese che canta in italiano. Quale anima si nasconde dietro quest’aspetto multiforme?
La musica per noi è mettere insieme più cose, anche diverse. Più stili musicali, più lingue, più linguaggi, dall’inglese globale dei marchi che ci inseguono dovunque (Gmail, iPhone, ecc.) a quello della strada in cui camminiamo, o perfino della filosofia. Parte tutto da qui: più cerchiamo di parlare della nostra città, più ci rendiamo conto che è impossibile farlo senza restituirne i colori, la vivacità, la ricchezza. Più cerchiamo di essere fedeli al «locale», più veniamo proiettati sul piano globale.

Domanda di rito: viene prima la musica, o il testo?
Per questa domanda ci vuole una risposta «di rito» (che però è quella vera): a volte è un certo beat che ti ispira a comporre un testo; altre volte hai in mente delle parole, delle rime, delle immagini che ti spingono a cantare con un determinato ritmo. È chiaro che spesso è la spinta a parlare di un argomento, a sfogarsi, a tirar fuori la rabbia o semplicemente il dissenso nei confronti di qualcosa, la molla che scatta per prima. Ci sarebbe poi un terzo modo, più raro, che è quello di creare un pezzo improvvisandolo magari su un giro armonico con la chitarra, su spunto del nostro DJ, Luca Leonbruno. Ma poi la musica è spontaneità. Chi vuole scoprire cosa succede […] è invitato a partecipare alle nostre prove.

Quante canzoni avete scritto al momento?
Tantissime, diverse decine. Suoniamo insieme ormai da quattro anni, abbiamo scritto pezzi sulla nostra città, come dicevamo, sugli stati d’animo, sugli anni che passano. E poi c’è l’autocelebrazione, aspetto che nel rap è quasi d’obbligo: esaltare se stessi, la propria bravura nel rappare, anche improvvisando, fino alla denigrazione degli altri. Un po’ come nella pubblicità comparativa, che in Italia non va molto ma che negli Stati Uniti – la patria del rap – è un’abitudine. Tecnicamente si chiama dissing: dileggio anche fino all’offesa dell’avversario (musicale), ma mai fine a se stesso, sempre con lo scopo dell’autocelebrazione.

Un assaggio prima del concerto?
(Dandi e Spillo MC si alternano nel cantare a tempo): «È come oltraggiarmi sai faccio sul serio / perché tra gli inganni questo è il mio rimedio / gli affari le pare lo sfogo lo sclero / sono Schopenauer e qui cade il velo. / Alpha impact ti saltano i timpani se vedi il più forte fra linkami / non siamo alla pari ma impari valanghe di rime ti ripari. / Siamo ciò che nasce dopo il bing bang / siamo ciò che cresce come cime / siamo ciò che ne esce dagli extraterrestri in perfetta fusione con le scimmie».

Avete fondato questa crew a quindici anni. Come nasce il fascino per questo tipo di musica?
Il rap è un tipo di musica che – a differenza di tutti gli altri – ti invita subito a partecipare in prima persona. Ascoltare e rappare con parole tue è quasi un unico movimento. Se hai qualcosa dentro, che magari volevi tirar fuori e non sapevi come […] con il rap è impossibile tenerla rinchiusa. Viene subito fuori. Il rap in altri termini è più un richiamo che una scelta.

Cosa volete dire ai vostri fan?
Vi vogliamo bene e, se vi piacciono le nostre canzoni, continuate a supportarci. Saremo di nuovo sul palco, per tutta la notte, al BlueNight di Napoli, a San Martino, il 24 gennaio prossimo.

Per chiudere: il rap in cinque parole.
Pratica, allenamento, costanza, fratellanza, ispirazione e, sì, anche spiritualità.

Sono sei.
Ma non è colpa nostra: è il rap che è sempre one step ahead.

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Paolo Calabrò
Laureato in scienze dell'informazione e in filosofia, gestisco il sito ufficiale in italiano del filosofo francese Maurice Bellet. Ho collaborato con l'Opera Omnia in italiano di Raimon Panikkar. Sono redattore della rivista online «Filosofia e nuovi sentieri» e membro dell'associazione di scrittori «NapoliNoir». Ho pubblicato in volume i saggi: – Scienza e paranormale nel pensiero di Rupert Sheldrake (Progedit, 2020); – Ivan Illich. Il mondo a misura d'uomo (Pazzini, 2018); – La verità cammina con noi. Introduzione alla filosofia e alla scienza dell'umano di Maurice Bellet (Il Prato, 2014); – Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le scienze moderne (Diabasis, 2011) e 5 libri di narrativa noir: – Troppa verità (2021), romanzo noir di Bertoni editore (2021); – L'albergo o del delitto perfetto (2020), sulla manipolazione affettiva e la violenza di genere, edito da Iacobelli; – L'abiezione (2018) e L'intransigenza (2015), romanzi della collana "I gialli del Dio perverso", edita da Il Prato, ispirati alla teologia di Maurice Bellet; – C'è un sole che si muore (Il Prato, 2016), antologia di racconti gialli e noir ambientati a Napoli (e dintorni), curata insieme a Diana Lama.