Sabrina Campolongo, Unessential Dublin. Ex voto pagano
(2010, Edizioni Historica, pp. 48, € 3,50, ISBN 978-88-96656-10-5)

Estate. Tempo di vacanze. Quale miglior consiglio di lettura di un petit cahier di viaggio di Historica? La piccola casa editrice di Cesena, capitanata dal più giovane editore d’Europa (Francesco Giubilei, diventato da poco maggiorenne) propone questa collana di libricini accattivanti per il formato – sembrano dei taccuini, con delle copertine-cartolina – e per il concept che li caratterizza: agili nel contenuto in pagine e ridotti nel prezzo. Delle letture da viaggio e per il viaggio, insomma, e questo quaderno fresco di stampa di Sabrina Campolongo (Balene bianche, Di Salvo, 2007; Il cerchio imperfetto, Edizioni Creativa, 2008; Il muro dell’apparenza, Historica, 2008) non fa eccezione: lo si può sbocconcellare come un antipasto aspettando la cena, sorseggiare come una bibita fresca sotto l’ombrellone o durante una corsa in treno (come nel mio caso).

Il titolo è curioso; le guide sono solitamente essential, utilitaristiche nel fornire indicazioni spicciole, concrete: dove alloggiare, dove mangiare, cosa vedere. Non aspettatevi niente di questo in Unessential Dublin; le annotazioni dell’autrice muovono in direzioni assolutamente divergenti. E’ un libello di pancia prima che un prodotto dell’intelletto, un itinerario emotivo, un tributo a una città, Dublino, affollata di persone, colori odori sapori e perché no, anche di fantasmi, di suggestioni artistiche e letterarie.
«Io credo che nelle città non ci si vada per trovare quel che sappiamo esserci, ma, al contrario, per cercare quello di cui non sappiamo ancora di avere bisogno (…)»

Dublino, con quella luce «troppo forte e troppo chiara», coi suoi cieli mobili, è per Campolongo una città-paese, che non ha segreti, «impegnata a vivere, a bruciare correre ridere bere». Lo sguardo registra, la penna fissa con rapidità le impressioni sulla carta: sono pensieri che potrebbero essere stati nostri, che Sabrina ferma per noi; sono domande, «Potrei viverci su questa monorotaia e, se sì, per quanto?»; sono delicati incontri (due giovani maschietti che si baciano alle tre di notte, ad un incrocio, la naturale bellezza di un gesto d’amore prima del commiato); degustazioni, «questa bevanda scura, dolce sulla lingua e amara nel ricordo»; sono visioni al pub, come l’incrociare Bernard Shaw, seduto a bere birra rossa con Hemingway; sono canzoni, come Over the rainbow, cantata da un musicista con la sua chitarra in Grafton Street. A Dublino c’è qualcosa di inesplicabile che vibra nell’aria, al quale sembra riduttivo, per Campolongo, dare il nome di poesia. I quesiti rimangono sospesi, un attimo d’indecisione di troppo e il musicista gentile, col suo cane «sorridente», si è già dileguato con la sua musica.

Riferimenti a Joyce e Wilde, numi tutelari, non destano particolari sorprese. Intrigante è piuttosto l’incontro casuale con Munch e le sue stampe, esposte alla National Gallery. «L’angoscia, la nevrosi non è contagiosa quando è piegata all’arte. Non è solo perché sono a Dublino, e sento di essere al sicuro, qui, nella mia città conforto (…)». E Bacon, come no, la visita dello studio dell’artista alla Hugh Lane Gallery è un atto di devozione, un vero «ex voto pagano» – come recita il sottotitolo del libro. Lascerà una traccia indelebile, uno struggimento quasi carnale: «Come l’alcova di un bordello, lo specchio gli serviva a guardarsi mentre faceva l’amore con la tela, sono sicura.» Dublino ieri e oggi, meta sempre attuale, città di giovani che non sentono il bisogno di ostentare ciò che già possiedono: libertà e giovinezza, che altro? Città di dolci addii che si trasmutano in arrivederci, in quanto «alcuni amori ti depredano, non ti sottraggono niente, alcuni amori sono invece un risarcimento e quello per Dublino è un amore di questo tipo».