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Il dottore m‘aveva esiliato lassù: Dovevo restare per un anno intero nell‘alta montagna movendomi quando il tempo lo concedeva e riposare quando lo imponeva. Idea geniale che però non mi fu utile. Il movimento che l‘estate aveva concesso abbondantemente non m‘aveva fatto bene ed il riposo impostomi dalle prime bufere e che dapprima mi parve gradevole, fu subito eccessivo, noioso, snervante.
Era una calda giornata di Luglio. La mattina tanto di buon‘ora era già soffocante. Il signor Perini fece un giro nel deposito prima che alcun operaio vi fosse entrato e quando ne uscì s‘imbatté in Giuseppe Cimutti che, primo fra gli operai, vi entrava.
Nelle mie lunghe peregrinazioni a piedi traverso le campagne del Friuli io ho l‘abitudine d‘accompagnarmi a chi incontro e di provocare le confidenze. Io vengo detto chiacchierone ma pur sembra che la mia parola non sia tale da impedire l‘altrui perché da ogni mia gita riporto a casa comunicazioni importanti che illuminano di vivida luce il paesaggio per cui passo.
Già il presente non si può andar a cercare né sul calendario né sull‘orologio che si guardano solo per stabilire la propria relazione al passato o per avviarci con una parvenza di coscienza al futuro. Io le cose e le persone che mi circondano siamo il vero presente.
La cosa avvenne quest‘anno, nell‘aprile che ci apportava uno dopo l‘altro dei giorni foschi, piovosi, con brevi interruzioni sorprendenti di sprazzi di luce e anche di calore.
Rincasavo di sera in automobile con Augusta dopo una breve gita a Capodistria. Avevo gli occhi stanchi di sole ed ero incline al riposo.
La luce veniva lenta a destare i colori della palude, del canale, della spiaggia verde dell‘isola. L‘enorme piano s‘era illuminato gradatamente tutto nello stesso tempo. Il sole non si vedeva ancora ma la luce che riverberava dal cielo si diffondeva senz‘ostacoli dappertutto nello stesso tempo. Al di là della palude appariva la città con l‘aspetto modesto ch‘essa ha da quella parte…
Un paese lontano dall‘Italia e da Trieste. Roberto ricordava meglio che il paese stesso, la crisi che ce l‘aveva portato. Cioè l‘enorme viaggio. Verona! Un omnibus d‘albergo dalle grandi finestre e anche due specchi adorni che cantavano come il veicolo sobbalzava sull‘acciottolato. Ricordava l‘arrivo e la partenza e non il soggiorno…
In una valle chiusa da colline boschive, sorridente nei colori della primavera, s‘ergevano una accanto all‘altra due grandi case disadorne, pietra e calce. Parevano fatte dalla stessa mano, e anche i giardini chiusi da siepi, posti dinanzi a ciascuna di esse, erano della stessa dimensione e forma. Chi vi abitava non aveva però lo stesso destino.
Erano ritornati a casa alle otto di sera dall‘aver accompagnato alla stazione i due figliuoli ch‘erano partiti per Roma. Il maschio stabilitosi laggiù era venuto a prendere la sorella che la cognata aveva invitata per un lungo soggiorno di tutta la primavera nella capitale. Erano stati dei giorni lieti in compagnia dei due figliuoli in festa per il prossimo viaggio. Ora i due coniugi si trovavano un po‘ squilibrati…