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Il castello, nel quale il mio domestico s'era deciso di penetrare a viva forza, anziché permettermi, deplorevolmente ferito come io era, di passare una notte all'aria aperta, era una di quelle costruzioni, indecifrabile miscuglio di grandezza e di melanconia, che hanno per sì lungo tempo innalzate le loro rocche eccelse in mezzo agli Apennini, tanto nella realtà quanto nell'immaginazione di mistress Radcliffe.
Mi trovavo a Parigi nel 18... Dopo una serata scura e tempestosa d'autunno, stavo godendo, in compagnia del mio amico Dupin, la duplice voluttà della meditazione e d'una buona pipa di schiuma, nella sua piccola biblioteca o gabinetto di studio, nel sobborgo Saint-Germain, in via Dunot, n. 33 terzo piano. Era più d'un'ora che stavamo là, conservando un profondo silenzio.
Non ho gran che da dire del mio paese e della mia famiglia. I cattivi trattamenti e l'accumularsi degli anni m'hanno fatto estraneo all'uno e all'altra.
Eravamo giunti alla vetta più alta del monte. Il mio vecchio compagno soprastette alquanto, così per ripigliare fiato e rinfrancare gli spiriti a parlare.
Ero sfinito, affranto, stremato da quella lunga agonia, e quando finalmente mi slegarono, e mi fu permesso di sedermi, sentii che i sensi m'abbandonavano. La sentenza, – la terribile sentenza di morte, – fu l'ultima frase distintamente accentuata che venne a cadermi negli orecchi.
Si; è vero! – son nervosissimo, spaventevolmente nervoso – e lo sono stato sempre; ma perchè volete pretendere ch'io sia pazzo?
Avevo sopportato del mio meglio le mille ingiustizie di Fortunato; ma quando poi arrivò all'insulto, giurai di vendicarmi.
Molti sono i nostri mali; – la miseria in questa breve vita è grande e di ogni forma. Questa dominando il vasto nostro orizzonte, a guisa dell'arcobaleno, mostra i suoi colori distinti e svariatissimi, che tuttavia sono tra loro intimamente uniti e fusi.
Molti anni or sono mi legai di stretta amicizia con un tale William Legrand. Egli apparteneva a un’antica famiglia ugonotta e una volta era stato ricco; ma una serie di disgrazie l’aveva ridotto in miseria. Per sfuggirne la mortificazione, decise di abbandonare New Orleans, città dei suoi avi, e si trasferí nell’isola di Sullivan, presso Charleston, nella Carolina meridionale.