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Il mio compagno di cella faceva tortuosi discorsi in un borbottio che non usciva dalle quattro pareti. Nulla ci avrebbe impedito di altercare magari o, con qualche cautela, di cantare; e, giovane com’ero, io cacciavo ogni tanto sospiri di pena che finivano in un gemito; ma il mio compagno non lo sentii mai altro se non borbottare.
Ora che, a suon di lividi e di rimorsi, ho compreso quanto sia stolto rifiutare la realtà per le fantasticherie e pretendere di ricevere quando non si ha nulla da offrire; ora, Cilia è morta.
Risalivo la strada della collina e gli antichi scenari di verde e di muriccioli, via via che sorgevano alle svolte, mi parevano finti. Tanto tempo ne ero vissuto lontano ripensandoci appena in certi istanti svagati, che la loro attualità materiale mi faceva ora soltanto l’effetto di un simbolo del passato.
Salivo quella scala semibuia in certe sere silenziose, dopo che avevo lasciato sull’angolo la ragazza; e a metà della rampa guardavo da una finestretta che dava sul cielo nudo. Non mi fermavo; facevo una carezza mentale al grande cielo che giungeva fin là dentro, e suonavo alla porta.
Finch’era durata la mezza stagione, nessuno aveva fatto caso di quell’erba piú tenera e piú alta del solito, ma adesso che i crepuscoli si allungavano e la gente usciva per le strade a prendere il fresco, la cosa saltava agli occhi. Il grano sarebbe diventato ancora piú alto e giallo e frusciante, e magari qualche papavero, e un bel giorno il vecchio avrebbe voluto mieterlo e fare i covoni e parlarne nelle strade e nei negozi. Forse avrebbe cercato di venderlo.
Di quel ch’ero allora non resta piú niente: appena uomo, ero ancora un ragazzo. Lo sapevo da un pezzo, ma tutto avvenne alla fine dell’inverno, una sera e un mattino. Stavamo insieme, quasi nascosti, in una stanza che dava su un viale. Silvia mi disse, quella notte, che dovevo andarmene, o andarsene lei – non avevamo piú niente da fare insieme.
Un mattino entrai prima di giorno nel caffè della stazione e, poiché il mio treno non partiva subito, sedetti accanto a due giovanotti circondati da sacchi da viaggio.
Sentii un giorno la cassiera che diceva: – Ecco, sembra un malato: com’è odioso, – e mi voltai tutto stupito. Parlavano proprio del mio collega, che sbucava lentamente dalla scala con una bracciata di libri. Nel momento che mi volsi, emergeva dal pavimento solo il suo capo calvo …