La coscienza è oggetto di studio per la psicologia, l’etica, la teologia, la medicina, la filosofia, la politica, la letteratura. Ad esempio a livello morale si usa dire “la voce della coscienza”, che in fondo è la nostra parte più intima e con cui tutti dobbiamo fare i conti. Si usa anche dire “rimorso di coscienza” quando si ha un senso di colpa perché abbiamo compiuto una cattiva azione. La coscienza riguarda anche la teologia perché esiste in noi anche il numinoso, ovvero il sentimento del sacro. In letteratura esiste il flusso di coscienza. Basta leggere la Woolf, H.James, W.Faulkner, Joyce. Gli scrittori inseguivano i loro pensieri senza punteggiatura. La loro scrittura registrava i dati psicologici, la loro interiorità; descriveva la loro mente che vagava da una idea all’altra. Allora la mente non era ancora considerata esclusivamente un insieme di processi fisico-chimici. Naturalmente da allora è innegabile che siano stati fatti dei passi in avanti perché non si parla più di spirito e sappiamo che privati del sistema limbico non sapremmo più provare emozioni.

Secondo la psicologia la coscienza è innanzitutto autoconsapevolezza. È allo stesso tempo consapevolezza del vissuto e responsabilità delle proprie azioni. Per Jaspers è “la vita psichica di un dato momento”. È autoriconoscimento, memoria di sé, percezione di sé, conoscenza di sé, senso di sé; recentemente i neuroscienziati hanno parlato di sé autobiografico, ovvero conoscenza del proprio passato e presente. Coscienza significa accorgersi anche degli stimoli esterni. Coscienza è attenzione. È consapevolezza della propria identità. È organizzazione psichica di attenzione, memoria, linguaggio, desideri, intenzioni, emozioni, valori, stati mentali. Secondo il cognitivismo è anche metacognizione, ovvero conoscenza delle proprie operazioni mentali. Tutto ciò risulta in parte labile e ineffabile. A tal riguardo dobbiamo ricordarci che il Sé è sempre sfuggente ed elusivo. Ma non è solo questo il problema.

Secondo gli scienziati un’ulteriore complicazione deriva dal fatto che la coscienza è difficile da analizzare perché è un processo e non un oggetto come gli altri. Molte cose che sappiamo della coscienza le sappiamo grazie all’introspezione. La coscienza è un mistero. È dal 1879 che la psicologia studia ufficialmente la mente. Infatti in quell’anno Wundt aprì nell’università di Lipsia un laboratorio per studiare sensazioni, percezioni, associazioni mentali. Nonostante ciò gli psicologi non riescono ancora a mettersi d’accordo a proposito. La questione è tra le più complesse. Sono innumerevoli gli aspetti problematici della coscienza.

Per la medicina essa è l’attività delle facoltà mentali superiori. Ma cosa riesce a dare unità e coerenza a essa? È possibile una teoria della coscienza valida senza avvalersi della soggettività? Attualmente molti neuroscienziati sono riduzionisti e alcuni ritengono che sia possibile creare una mente artificiale dotata di coscienza. Per loro la coscienza è l’analisi dei correlati neurofisiologici. È lo studio del funzionamento del cervello tramite le tecniche di imaging, le ricerche sugli animali, lo studio delle lesioni cerebrali. Alcuni riduzionisti e alcuni studiosi dell’intelligenza artificiale ritengono che il cervello umano possa essere equiparato a un computer. La mente umana a differenza del computer non è solo sintassi, è anche semantica, senso, significato. Solo gli uomini possono comprendere. I computer invece non possono, come mette in luce l’esperimento mentale della stanza cinese di Searle. Non solo ma delle macchine per quanto complesse non potranno mai avere la plasticità neurale degli esseri umani. Altro aspetto rilevante è che non esistono solo sinapsi elettriche nell’uomo ma anche sinapsi chimiche, che determinano gli umori grazie ai neurotrasmettitori. I computer molto probabilmente non potranno mai sapere cosa è un umore, uno stato d’animo. Inoltre per Vittorino Andreoli la psiche umana è la risultante di tre fattori: l’eredità, l’esperienza, l’ambiente. Questi tre fattori probabilmente non caratterizzeranno mai un computer. Ma passiamo oltre. Esistono inoltre diversi stati di coscienza come la veglia, il sonno, gli stati alterati dall’assunzione di droghe o alcool, l’ipnosi, la trance, la meditazione, l’estasi mistica. Nessuno sa con certezza che cosa accade in questi casi. Cosa accade poi esattamente in casi come le percezioni extrasensoriali? Nessuno ancora lo sa con certezza. Un tempo Freud contrapponeva l’attività conscia all’inconscio. La coscienza allora era esclusivamente l’io. Ma ha senso forse oggi questa distinzione così limitativa? Per Husserl ciò che contraddistingueva la coscienza era l’intenzionalità. Ma cosa fa in modo che prestiamo attenzione a degli stimoli piuttosto che ad altri? Nessuno ancora una volta può dirlo con certezza. Sappiamo solo che la nostra mente processa, rielabora e codifica una miriade di stimoli interni ed esterni. Ma ciò che conta è solo quel che resta nella mente. Il resto non deve essere considerato importante. Il resto non conta. Gli altri stimoli persi, che non sono stati presi in considerazione, vuol dire che non contavano nulla. Per quanto riguarda la relazione tra coscienza e corpo ci sono due estremi: da un lato il corpo mio proprio, ovvero io sono il corpo e di conseguenza la percezione di esso e della realtà è tutto di Maurice Merleau-Ponty e dall’altro lato l’esperimento mentale del cervello in una vasca da bagno del filosofo Putnam. Per Daniel Kahneman “what you see, is all there is”, che tradotto significa “tutto quello che vedi, è tutto ciò che c’è”. Sappiamo che c’è una selezione. Sappiamo che c’è un filtro. Conta però solo il risultato finale: la gestalt globale. In definitiva ne sappiamo ancora ben poco allo stato attuale delle conoscenze. Gli studiosi devono essere sintetici e avvalersi dell’indagine empirica. Scusate il gioco di parole ma è il caso di dire che non si è ancora preso totalmente coscienza della coscienza. Forse la mente umana resterà un enigma insolubile.

 

2/ Quando facevo l’università e studiavo gli esami di Fondamenti anatomo-fisiologici e Psicologia Fisiologica mi toccava studiare un tomo, che si intitolava “Principi di neuroscienze” di Kandel e dei suoi collaboratori.  A volte mi chiedevo dove fosse localizzato il pensiero umano, da dove nascesse. Si sapeva già allora che l’area del piacere era costituita dal nucleo accumbens e dall’area tegmentale ventrale, che esisteva una corteccia visiva, che esisteva una corteccia motoria, che l’ippocampo fosse fondamentale per memorizzare. Ma mi chiedevo dove nascesse il pensiero e non trovavo risposte.  Secondo i cognitivisti la mente era come un computer, un elaboratore di informazioni, e io mi chiedevo chi l’avesse programmata. L’ipotesi più plausibile è che il pensiero non sia localizzabile ma sia generato dall’intera mente. Ho letto recentemente un articolo scientifico della prof. Maria Pia Viggiano,  secondo cui le attività cerebrali, i processi chimico-fisici del cervello determinano ogni “presa di decisione”, ogni nostra intenzione.  Tutto ciò è scientificamente provato. Non a caso la prof. Viggiano cita gli studi di Benjamin Libet. Gli  esperimenti di Benjamin Libet ci lasciano perplessi e allibiti. Da essi  scopriamo che gli esseri umani agiscono in base a dei processi che li portano a decidere 500 millesimi di secondo più tardi dell’attivazione neurale che predispone alla decisione stessa. Però allo stesso tempo Libet ha scoperto che noi stessi possiamo inibire l’azione. Questo lascia spazio a molti dubbi interpretativi.  Qualcun altro studioso ci ricorda naturalmente che i pensieri a loro volta causano altre reazioni chimiche nel cervello. Cosa è che precede il pensiero? La coscienza o l’inconscio?  I ricercatori toscani Massimo Cincotta e Fabio Giovannelli scrivono in un articolo scientifico che “il nostro agire è frutto dei processi inconsci”. Mi viene in mente la volontà di Schopenhauer, ovvero quella forza cieca e irrazionale, che domina il cosmo. Forse è quella che governa la nostra mente. Secondo  alcuni studiosi il pensiero nasce da stimoli esterni. Anche se siamo al buio e in silenzio a fare meditazione in una stanza i pensieri scaturirebbero allora da uno stato di deprivazione sensoriale momentanea. Insomma il pensiero non nasce dal nulla.  È il classico circuito… sensazione, percezione,  pensiero. Ma in fondo percezione, pianificazione, esecuzione sono dovute all’intera attività del nostro cervello. Il pensiero può nascere dalla esperienza oppure dalla riflessione. Molti pensieri sono frammentari, raggiungono appena la soglia di coscienza, sono effimeri, sfuggono irreprensibili dopo qualche istante, vengono subito dimenticati: fa parte della natura umana. Spesso i nostri pensieri sono già stati pensati da altri. Vygotskij trattò del nostro linguaggio interiore, dimostrando che quel monologo ininterrotto, quel discorrere tra sé e sé sarebbe risultato incomprensibile agli altri. Così scriveva in “Pensiero e linguaggio” (1990:363; 365): «La prima e la più importante caratteristica del discorso interno è la sua particolarissima sintassi. […] questa particolarità si manifesta nella frammentarietà apparente, nella discontinuità, nell’abbreviazione del discorso interno rispetto a quello esterno. [C’è] una tendenza assolutamente originale all’abbreviazione della frase e della proposizione, nel senso che conserva il predicato e le parti della proposizione che gli sono legate a spese dell’omissione del soggetto e delle parole che gli sono legate.”  È molto difficile avere dei pensieri originali. Forse esiste il mondo delle idee platoniche che è lo stesso per tutti gli uomini e non possiamo che “pescare” in quel mare magnum. Poi ci sono diversi pensieri che scaturiscono da ruminazione oppure da schemi prefissati. Non tutti i pensieri sono validi. Ci sono anche le ossessioni, le idee fisse, che sono disfunzionali per ognuno. Ad ogni modo la nostra mente di solito vaga, va di palo in frasca. Virginia Woolf, Faulkner,  Joyce ci hanno mostrato come vaga la mente di ognuno col flusso di coscienza. Il grande poeta Auden ha descritto in modo magistrale sia la condizione esistenziale che lo stato mentale ricorrente dell’uomo contemporaneo, condensando tutto in poche parole: “I suoi pensieri vagavano dal sesso a Dio senza punteggiatura”. Ma siamo così sicuri che sia la mente a generare i pensieri oppure Qualcosa o Qualcuno più grande? Per Aristotele Dio era “pensiero di pensiero”. Oppure riusciremo a pensare quando ci accordiamo con “l’anima del mondo” descritta da Platone. E se i nostri pensieri fossero governati più dal Caso che da una causalità con il mondo esterno? Tom Wolfe in “La bestia umana” sostiene: “Dato che la coscienza e il pensiero sono prodotti interamente fisici del tuo cervello e del sistema nervoso, e dato che il tuo cervello arriva alla nascita con un imprinting completo, che cosa ti fa pensare di avere un libero arbitrio? Da dove dovrebbe venire? Quale “fantasma”, quale “mente”, quale “io”, quale “anima”, quale qualsiasi cosa che non si faccia immediatamente catturare da quelle sprezzanti virgolette dovrebbe traboccare spumeggiante dal calice del cervello per offrirtelo?”. Forse il libero arbitrio è solo una illusione, forse è tutto predeterminato. Mi ricorda Cioran che in “Sillogismi dell’amarezza” scrive che un mezzo matto gli aveva detto: “Quando mi faccio la barba, chi mi impedisce di tagliarmi la gola, se non Dio?”. A quei tempi i rasoi erano molto affilati e perciò pericolosi. Vasco Rossi, lettore di testi filosofici, riprende pari pari questo interrogativo di Cioran e in una  canzone scrive: “Tra farmi la barba e uccidermi che differenza c’è?”. Quelli che Freud definiva Eros e Thanatos non sono anche essi, se esistono, delle idee che generano altre idee? Ma l’impulso vitale o il desiderio di morte, che siano istinti o meno, da cosa derivano? Mi dico a volte che anche il nostro ambiente non dipende da noi e probabilmente siamo ben poca cosa perché niente dipende da noi. Forse il libero arbitrio è necessario perché è necessaria l’illusione del controllo. Forse la circolarità è infinita.  Forse è tutto  un regresso all’infinito delle cause e non si riesce a rintracciare, identificare la causa prima. Forse i nostri pensieri dipendono dal trauma della nascita, così come ogni nostra nevrosi, come descritto da Otto Rank. Forse è in quel caos di luce e rumore che nascono i primi pensieri del neonato.  E se tutto fosse causato da eventi precedenti la nostra vita fetale? Dopo anni di riflessione e letture sono punto e a capo, in una situazione di stallo. Questa grande problematica dell’origine del pensiero non trova risposte certe. Questa è la domanda delle domande per un razionalista e ha come conseguenza la presa di coscienza di una certa irrazionalità della vita umana e del mondo. La nostra razionalità è molto limitata, addirittura è probabile che sia una falsa certezza. Ma ciò non ci deve far aggiungere irrazionalismi gratuiti a già tanta irrazionalità.  Non ci sono certezze assolute ma solo ipotesi più o meno plausibili. Siamo nel campo delle ipotesi. Il pensiero umano ha molte implicazioni filosofiche e psicologiche. Forse non si possono studiare i cervelli umani con il cervello e i pensieri umani con i nostri stessi pensieri: forse ci imbattiamo di fronte a un eterno Uroboro. Forse brancoliamo nel buio e per comodità postuliamo la libertà e di conseguenza la responsabilità delle nostre azioni. Se il futuro fosse già scritto, se tutto dipendesse dal destino allora che senso avrebbe la giustizia umana? Forse è fuori luogo fare dei parallelismi con il mondo della microfisica e ritenere che l’uomo è indeterminato come una particella subatomica.  Forse le particelle subatomiche sono indeterminate per i limiti intrinseci degli strumenti fisici attuali e lo sono solo adesso, allo stato attuale delle conoscenze. Forse tutto dipende dal caos o da Dio, anche se io fatico spesso a vedere una intelligenza superiore in tante atrocità umane e fatico spesso ad intuire armonie prestabilite. 

 

3/ La psichiatria e la psicologia cercano di prevedere il comportamento umano, ma esso spesso è connotato da imprevedibilità anche nelle cosiddette persone normali: figuriamoci in quelle con gravi disturbi psichici! Non solo ma la linea di confine tra normalità e follia è davvero incerta e molto labile. La pericolosità sociale di un soggetto non è dicotomica per uno psichiatra, che dovrebbe esprimersi solo in modo probabilistico. È sempre difficile stabilire per uno specialista se un soggetto disturbato passerà all’acting out e diventerà un serial killer. È difficile dire perché un uomo uccide. Per istinto? Per passione? Per volontà di potenza? Per interesse economico? Per aggressività? Perché non ha saputo reprimere l’impulso? Per mancanza di valori? Per bisogno? Per raptus? Per follia? Per piacere? Per coazione a ripetere, se aveva già ucciso? Perché in stato di alterazione psicofisica? Possono essere molte le spiegazioni. Possono essere molti i moventi. Eppure molti esperti ostentano sicurezza e sentenziano con leggerezza quando vanno in televisione a discutere di un assassino. Con faciloneria spesso si mostrano innocentisti o colpevolisti. Eppure dovrebbero essere più guardinghi e responsabili! Allo stesso modo è difficile prevedere come reagirà una persona di fronte a un evento traumatico come uno scippo, una rapina, uno stupro, un incidente stradale. Talvolta anche le vittime secondarie (ovvero familiari, soccorritori, testimoni) possono risultare traumatizzate dall’evento. Le strategie per reagire ad eventi stressanti sono svariate. Ci sono diversi tipi di coping. Inoltre di fronte a un trauma psicologico c’è chi sperimenta l’immobilità tonica (o paralisi da paura) e chi invece la dissociazione. Non tutti coloro a cui viene diagnosticata una psicosi, una nevrosi, un disturbo di umore, un disturbo di personalità o un disturbo del comportamento alimentare reagiscono allo stesso modo. Ci sono delle differenze individuali. Ci sono pazienti che reagiscono in modo ottimale al trattamento (farmaci e psicoterapia) e altri che hanno maggiori problemi. Il comportamento umano può dipendere da diversi fattori. Gli psichiatri spesso ritengono di controllare il comportamento dei pazienti grazie agli psicofarmaci. Molto probabilmente semplificano per essere più pragmatici. Comunque A. Koestler aveva previsto tutto quando aveva scritto “Il fantasma dentro la macchina”. La neuropsichiatria sta diventando una nuova forma di controllo sociale, anche se è alquanto imperfetta ancora. Non sappiamo se in futuro le pillole ci renderanno tutti stabili psichicamente e felici oppure no. Può anche darsi che tutti ci accontenteremo di un benessere indotto e artificiale. Gli esperti però spesso  non mettono in conto l’assurdo, l’imponderabile, l’aleatorio. In una parola sola il caso, che secondo alcuni domina il mondo. Per loro filosofie come l’esistenzialismo non sono altro che irrazionalismo. Oggi come oggi gli psichiatri non sono più umanisti e hanno tutti una formazione scientifica. Alcuni scienziati hanno cercato anche di creare un algoritmo in grado di prevedere il comportamento. Ma per creare un sistema di previsione accurato ci vorrebbe l’immissione di una enorme mole di dati. Non solo ma ci sono alcuni fattori aleatori interni e altri esterni. Le incognite sono troppe. Non esistono al momento modelli predittivi che possono prevedere il comportamento del più ordinario e regolare degli uomini. Nessuno dovrebbe mai sapere cosa aspettarsi dagli altri. Al momento gli esseri umani sono imprevedibili. Lo dimostrano tutti i crimini senza colpevole. La letteratura moderna insegna pur qualcosa. Debenedetti scrisse che nei grandi romanzi del Novecento era comparso il personaggio particella, che non si sapeva in quale direzione andasse. Nessuno lo poteva stabilire. Il personaggio particella era anarchico, incerto e incalcolabile. Secondo il grande critico era finita la scienza meccanicistica contraddistinta da un rapporto di causa ed effetto e con essa era finito anche il personaggio uomo in letteratura. Era finito il positivismo. Nessuna scienza poteva più essere considerata esatta. Il comportamento caotico e insensato dei personaggi dei nuovi romanzi poteva essere spiegato solo dal principio di indeterminazione di Heisenberg. Gli psichiatri insomma parlano di pattern comportamentali e cercano di studiare la ripetitività delle azioni. Ma senza scomodare di nuovo Debenedetti come la mettiamo ad esempio con l’atto gratuito del Lafcadio di Gide, di “Delitto e castigo” di Dostoevskij e de “Lo straniero” di Camus ? Tutto può essere. Tutto può accadere non solo in letteratura ma anche nella realtà. Gli esperti molto spesso sono impeccabili a spiegare ex post, ma lasciano a desiderare ex ante. Gli insegnamenti della letteratura restano lettera morta.

 

4/ UNA COSCIENZA MEDIATICA:

Rousseau rimpiangeva lo stato di natura. I soprusi e la proprietà privata erano le cause della disuguaglianza tra gli uomini. Successivamente Marx aveva analizzato i rapporti di produzione, descritto l’alienazione, il pluslavoro e il plusvalore. Per Marx la disuguaglianza era determinata dalla divisione sociale del lavoro. L’analisi socio-economica di Marx per alcuni versi (non per tutti) è valida ancora oggi se si pensa al fatto che anche nella nostra società il valore di scambio predomina sul valore d’uso e che ancora oggi esiste il “feticismo delle merci” (anche se viene occultato e non si può intuire di primo acchito, giungendo a dire che le legna nella società industriale contava più dei contadini come ai tempi del filosofo). Durkheim dimostrò che la società industriale difettava di coesione sociale, di “solidarietà meccanica” e che per questo motivo aumentavano a dismisura “i suicidi anomici”. Freud è stato invece illuminante nello spiegare certi meccanismi psicologici con cui il cittadino si rapporta al potere. Mi riferisco ai meccanismi di divinizzazione e/o uccisione del padre. Quando l’essere umano diviene adulto il capo può assumere le veci del padre e di conseguenza il complesso edipico può spiegare certe dinamiche sociali insite nelle dittature. Ma per spiegare accuratamente le società post-industriali occorre ricordare il sociologo Mills, che descrive il conformismo e la mancanza di autonomia dei “colletti bianchi” e gli intrallazzi dell’ “élite del potere”, vera e propria oligarchia di lobby finanziarie ed economiche. In sociologia ci sono stati studiosi che hanno dato più enfasi alla società piuttosto che all’individuo ed altri che invece hanno sostenuto l’individualismo. Alcuni pensatori marxisti hanno spesso scritto e dichiarato che se la classe operaia non aveva coscienza di classe allora erano gli intellettuali che dovevano fornirle la coscienza di classe. Nel frattempo però – come fu evidenziato dalla scuola di Francoforte – la cultura si trasformava radicalmente. L’umanesimo si lasciava sopraffare dall’industria culturale e dalla cultura di massa. Anche la stessa cultura diventava merce deperibile. Il best seller aveva la meglio sul talento e sulla qualità. Avveniva di conseguenza la mercificazione dell’intellettuale. Successivamente la stessa industria culturale è stata sovrastata dai mass media e dalla civiltà (?) dell’immagine. McLuhan non a caso ha coniato l’espressione “villaggio globale” e ha anche scritto che “il medium è il messaggio”, volendo dire che le nuove strutture comunicative possono influenzare più dei contenuti. Per lo stesso studioso perché le menti non vengano obnubilate occorre una “ecologia dei media”. Ma forse tutto ciò non è sufficiente. L’ecologia dei media indotta da organi di controllo non è sufficiente senza una coscienza mediatica da parte della popolazione. L’ecologia dei media non può essere solo un processo top-down, ma deve essere anche bottom-up. Oggi non si tratta soltanto di coscienza di classe. Molto probabilmente lo stesso concetto di classe sociale è anacronistico. Si può al massimo parlare di ceto. Attualmente la vita di un cittadino è determinata da mezzi di produzione, rapporti interpersonali, società, psiche, sistema legislativo e nuovi mass media. Ed i mass media hanno un ruolo cruciale nel decretare l’acquiescenza e l’impegno della società civile. Qualsiasi tipo di rivoluzione o cambiamento radicale può avvenire solo se c’è una vera coscienza mediatica, un’attivazione di senso critico e di autonomia di giudizio da parte di chi recepisce passivamente gli stimoli dei nuovi media.