A cosa dovrebbe servire il senso critico? Dovrebbe servire a pensare con la nostra testa, a non essere succubi dei condizionamenti dei mass media, a fare consumo critico,  a rispettare gli altri e l’ambiente, a essere indipendenti intellettualmente, a non essere schiacciati dal conformismo.  Però  “per chi non è abituato pensare è sconsigliato“, come cantava Guccini anni fa. La scuola italiana, così nozionista, dà forse gli strumenti per pensare in proprio? Bisogna essere dei soldatini disciplinati, degli scolaretti pedanti,  che fanno la lezione e studiano i programmi ministeriali. Non si può discostarsi, perché si viene puniti. Non si può deragliare. Eppure anni fa venne dato un tema alla maturità in cui bisognava trattare della discussione come momento di crescita culturale collettiva! Ma oggi a che serve pensare? La mia povera nonna con la sua saggezza popolare ripeteva: “un pensiero non paga un debito”. E poi ci sono così tanti opinionisti alla televisione che esprimono pensieri su tutto e su tutti! Insomma c’è già chi pensa per noi. Le università, un tempo più aperte al dialogo, sono diventate solo degli esamifici. C’è molta competizione tra gli studenti. I più bravi invece di aiutare i loro compagni non condividono le loro conoscenze.  Soffriamo tutti di infantilismo cronico. Ci hanno tarpato le ali sul nascere. Teoricamente tutti possono dire la loro, ma non fa testo. Si è persa la polis. A tutto ciò si aggiunga il fatto che pensare questo nostro mondo, sempre più complesso, è diventato sempre più difficile: ci vuole troppa cultura e intelligenza! Così finiamo tutti nel gran brodo della cultura di massa, nel Masscult, nel mainstream. Se uno cerca di innalzarsi un poco al massimo diventa Midcult. Il problema principale è che siamo tutti tarati psicologicamente e culturalmente. Un altro problema è che non ci sono più grandi maestri di pensiero d’un tempo; i grandi intellettuali oggi non vengono ascoltati e al loro posto ci sono gli influencer, gli imbonitori, gli showman e le showgirl, i giornalisti prezzolati e con tessera di partito, i politici populisti. Il senso critico dovrebbe fornire nuove chiavi di lettura,  dovrebbe dare nuove visioni del mondo. Cosa fare? Ci vorrebbe una deprogrammazione del popolo italiano. I terapeuti, i filosofi, i poeti, gli intellettuali dovrebbero dire che il re è nudo, dovrebbero rivelare le dinamiche del potere, dovrebbero mostrare la futilità degli status symbol, dei modelli di vita occidentali. Dovrebbero con furia iconoclasta scagliarsi contro i vitelli d’oro, contro il consumismo, l’edonismo, il materialismo,  il nichilismo. Ma forse è chiedere troppo perché proprio queste sono le strutture portanti dell’intero nostro sistema capitalistico. Questo nostro sistema di vita per non entrare in crisi presuppone una determinata concezione della vita, che non va assolutamente messa in discussione. Non ci si può così ribellare ai dettami imposti dallo show business, ai miti che propina. Gli italiani vogliono un bel lavoro, una bella casa, una bella macchina,  un bell’aspetto con cui essere presentabili e vivere bene. Vogliono anche divertirsi e viaggiare. Se non volessero una bella casa, le agenzie immobiliari, le imprese edili, gli architetti, gli ingegneri, i geometri sarebbero in crisi. Se non volessero una bella macchina, sarebbero in crisi le concessionarie. Se non volessero un bell’aspetto le ditte di cosmetici, le estetiste e le palestre, sarebbero in crisi. Se i genitori non volessero un bel lavoro per i figli, non pagherebbero le tasse universitarie e molti professori sarebbero disoccupati. Se gli italiani non volessero viaggiare, le agenzie di viaggi, gli alberghi, l’intero turismo collasserebbero. Se gli italiani non volessero divertirsi, fallirebbero discoteche, pub, locali, bar, ristoranti,  pizzerie, etc etc. Migliaia e migliaia di posti di lavoro verrebbero persi. Il grande filosofo Emanuele Severino scriveva che chi critica la cultura occidentale è come un quadro alla parete, che si lamenta del chiodo che lo sorregge. Tutti siamo intrisi della cultura occidentale,  dalla testa ai piedi. Le vie di fuga sono altamente improbabili, quasi improponibili. Lo stesso dicasi per il sistema, di cui, volenti o nolenti, tutti in un modo o nell’altro facciamo parte. Gli intellettuali in teoria dovrebbero demitizzare i falsi idoli, rivelare la loro pochezza. Un tempo Umberto Eco in poche pagine spiegò la fenomenologia di Mike Bongiorno, che pianse per la critica ricevuta, ma disse ai suoi collaboratori di imparare bene quelle pagine perché quello era il segreto del suo successo. Oggi non è più possibile: gli Umberto Eco odierni verrebbero definiti degli hater, verrebbero considerati degli invidiosi e magari riceverebbero delle querele temerarie. Quanta umiltà c’era invece in Mike  Bongiorno, che sapeva accettare le critiche! Forse un altro problema è che oggi non ci sono più nuovi Eco e nuovi Mike Bongiorno, ma abbiamo molti guitti improvvisati,  presuntuosi e strapagati! Non solo ma gli intellettuali oggi sono tutti ricattabili. Inoltre a cosa servirebbe criticare e mettere in discussione il sistema? All’atto pratico a niente. Il coraggio e l’onestà intellettuale non verrebbero ripagati. Quotidianamente il libero pensatore verrebbe malvisto, criticato negativamente,  si creerebbe antipatie e inimicizie. L’autonomia di pensiero porta all’isolamento, alla solitudine, alle incomprensioni,  all’ostracismo. Non verrebbero valutate le ragioni, la logica, le argomentazioni.  Tutto oggi dipende dall’autorità. E chi ha l’autorità oggi? Chi ha visibilità mediatica, successo nazionalpopolare, potere economico, politico, massmediatico. E poi a cosa servirebbe? Forse sarebbe nocivo al sistema. Aveva ragione Pasolini quando in un’intervista alla Rai diceva che la civiltà dei consumi è riuscita ad assoggettarci, a snaturarci più di quello che aveva fatto il fascismo. Tutto comunque procede per inerzia e le modifiche,  le migliorie, i correttivi non vengono apportati. Insomma siamo punto e a capo.