Sono pochissime le opere di Otto von Leitgeb tradotte in italiano: oltre alle Novelle Friulane, già pubblicate in questa biblioteca Manuzio, abbiamo questo racconto che comparve nel 1912 su “Nuova Antologia”. L’autore affronta un tema certamente non nuovo, che è quello del rapporto che ognuno di noi intesse con i propri cari che non ci sono più. In questo caso un anziano professore vedovo vive seguendo una serie di rituali che gli permettono di non interrompere mai il rapporto con la defunta e adorata moglie.

Questi rituali sono visti attraverso l’occhio dapprima neutro di un estraneo che inizialmente non si rende conto del loro significato; questo sguardo diventa sempre più intimo via via che il protagonista narrante diventa amico del professore. Tramite questa amicizia scopre come sia possibile una nuova dimensione nel rapporto tra viventi e defunti. Nell’apprestarsi a conoscere questi aspetti per lui imprevedibili, il narrante oscilla tra incredulità e soprannaturale ma sempre ben distante da quello che potrebbe apparire morboso o macabro. I morti vivono in noi e sembra affermarlo la logica, la psicologia, la genetica. Lasciando che i morti si spengano smorziamo una parte della luce vitale che è in noi, prosciughiamo la consapevolezza del nostro legame con il passato. È così che la ritualità perfettamente consapevole del vedovo assume i connotati di una pienezza di vita, lontanissima da una decadente attrazione che potrebbe apparentemente essere esercitata dalla morte. E questa pienezza trova il suo coronamento, forse prevedibile ma non per questo meno delicato e toccante, nei paragrafi finali della novella.

Una certa affinità di ispirazione la troviamo, tra gli antecedenti di questa novella, ne L’altare dei Morti di Henry James (che possiamo leggere in questa biblioteca Manuzio in appendice a Giro di Vite); dell’idea di James ritroviamo il concetto dell’umanità vivente come esile drappello di persone i cui sentieri si incrociano in un lampo di tempo, prima di andare a raggiungere il grande popolo dei morti; l’effimera luce della quale si gode è solo la premessa per il ricongiungimento eterno. Tra i contemporanei che queste tematiche hanno sfiorato con efficacia e delicatezza mi piace ricordare uno dei più importanti romanzi della seconda metà del novecento italiano, Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi e i suoi dialoghi con il ritratto della moglie morta di tisi.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit della novella:

Come di consueto, sedevo anche in quella sera primaverile nella locanda. Fuori infuriava la tempesta; la pioggia batteva forte contro i vetri e di tanto in tanto si udiva distintamente il gemer dei rami ancor spogli, tormentati dal vento. Ben pochi avventori stavano raccolti nella sala: era una di quelle sere in cui, essendo soli, andiamo volentieri a letto di buon’ora, in cui non è facile cosa agli scapoli vincere l’onda importuna di malinconia che invade l’anima loro.
D’un tratto entrò uno sconosciuto che voleva pranzare, ma nulla vi era di pronto, ormai; ed egli dovette ordinarsi la cena. Ancora ravvolto nel mantello e con le scarpe di gomma ai piedi, il nuovo venuto, un vecchietto, ritto in mezzo alla stanza, s’intratteneva pazientemente col cameriere, riaggiustandosi ad ogni tratto gli occhiali sul naso. Distrattamente, afferrai qualche frase slegata del loro discorso:
«Ma prima porti una porzione di prosciutto per la mia signora… Badi che non sia troppo grasso perchè a lei non piace… Per me una tazza di birra… una limonata calda per la mia signora, molto dolce… e faccia affettare un panino leggermente biscottato, per la mia signora. Mi raccomando la massima cura; non abbiamo fretta».
Non notai nulla di strano in quelle frasi, solo mi colpì la piccola pausa che precedeva sempre le parole «la mia signora», come se l’ignoto personaggio che, sbarazzatosi ora del mantello, camminava in su ed in giù per la sala, volesse dare loro un senso od un valore speciale.

Scarica gratis: Sua moglie di Otto von Leitgeb.