Il quattordicesimo e penultimo volume della estesa Storia degli Italiani di Cantù contiene i capitoli dal CLXXXIX al CXCV. La narrazione storica si conclude qui, ormai contemporanea ai tempi in cui visse Cantù (1804 -1895). Partendo dalla situazione politica intorno alla metà del XIX secolo, minuziosamente esposta nelle varie realtà frammentate della penisola, ma estesa anche di là dei confini italici, l’autore illustra le aspirazioni che nutre la popolazione e le infinite trame che si vanno tessendo.

È in piena ebollizione lo Stato della Chiesa, dove, morto papa Gregorio XVI, sale al soglio pontificio Giovanni Mastai Ferretti con il nome di Pio IX (1846), il quale:

«colse ogni occasione per ripetere che egli era papa cattolico innanzi tutto, padre di tutti i fedeli e non dei soli Italiani, geloso di non menomare gli affidatigli diritti della santa Sede.»

Arriva l’onda irrefrenabile delle insurrezioni in tutta Europa, irrefrenabile ma ovunque soffocata; comincia debolmente a farsi avanti la Casa di Savoja come possibile elemento unificatore. Ma sono ancora tante le questioni e le rivalità in campo, sopratutto per la presenza e l’attenzione costante agli affari italiani da parte delle potenze europee oltre confine. Dopo la repressione però, i moti non sono spenti, vanno invece a rafforzare le ambizioni e i preparativi piemontesi. Si arriva alla spedizione dei Mille e all’annessione di Venezia e Roma. Il lavoro di Cantù chiude con la data del marzo 1877.

Il tomo termina con una Cronologia Italica divisa per dinastie: i Re di Sicilia; i Re del Lazio; i Re di Roma; gli Imperatori romani; i Papi; gli Imperatori e re d’Italia; i Re ostrogoti; gli Esarchi di Ravenna; i Re longobardi; i Duchi del Friuli; i Duchi di Spoleto; i Duchi, poi principi di Benevento; i Conti e duchi di Puglia e Calabria; i Conti e re delle Due Sicilie; i Duchi di Parma e Piacenza; i Marchesi, duchi e granduchi di Toscana; i Duchi di Ferrara, Modena e Reggio; i Dogi di Venezia; i governanti di Genova; i Signori e duchi di Milano, di Mantova e Monferrato, e a chiudere i Savoja.

Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS

Dall’incipit del libro:

Come sempre, i paesi in cui si ristabilì l’armonia fra l’autorità e gli obbedienti furono quelli ove non si lasciò corso alla riazione dopo le rivoluzioni del 1831. Tale fu la Toscana. Ferdinando III granduca dal trilustre esiglio (se esiglio poteva chiamarsi la dimora in paese di sua nazione) non riportava rancori e vendette; vedendo la memoria di suo padre, benedetta in Toscana, non aveva che a seguirne le orme, al che lo inclinava pure la mitissima sua indole. Ritrovava spento il debito antico, sistemata la magistratura, ricco il pubblico dominio; sicchè molti beni poteva effettuare chi avesse saputo innestare le utili novità col sistema leopoldino. Ma crogiolandosi in questo, si tirò via tolleranti e fiacchi, in una mansuetudine senza progresso; riponendo il liberalismo i ministri (di cui era principale il Fossombroni) nell’opporsi ai preti e a Roma, la gente colta nel far epigrammi contro i ministri. Ferdinando aprì nuove strade; fece compiere il catasto sopra la triangolazione eseguita dal professore Inghirami; istituì a Firenze un archivio centrale, l’uffizio dello stato civile, una casa di lavoro, l’istituto della Nunziata per la maternità e a Pistoja un altro, a Pisa un’accademia di belle arti; introdusse i pompieri; migliorò i palazzi e le ville reali.

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