La prima redazione di A Portrait of the Artist as a Young Man risale presumibilmente al 1903; dopo essere stata proposta a una ventina di editori e da questi respinta, pare che Joyce gettasse il manoscritto nel fuoco e solo il pronto intervento della signora Joyce permise di salvare dalla distruzione le pagine da 519 a 902 del manoscritto, acquistato dall’università di Harvard nell’autunno del 1938 e pubblicato per la prima volta dopo la morte dell’autore. Manca quindi tutta la prima parte e le poche pagine finali – Joyce parla di 914 totali in una lettera a Grant Richard del 1906 – di quest’opera che l’autore ebbe a definire “composizione studentesca”.

Spencer nell’introduzione a questo testo (che non possiamo mettere a corredo di questa edizione elettronica poiché la traduzione non è ancora di pubblico dominio) avalla l’ipotesi di distruzione con fuoco, ritenendo poco attendibile che le parti scomparse siano state vendute in sezioni staccate a vari enti americani, come dice invece il segretario di Joyce in una lettera allo stesso Spencer.

La parte superstite di quest’opera narra quindi due anni della vita di Stephen a partire dal suo ingresso all’università e, benché ripudiato dall’autore successivamente, fornisce una luce certamente non trascurabile sul percorso artistico di Joyce e in particolare sul suo avvio letterario.

L’evoluzione della mente di Stephen Dedalus si evolve sullo sfondo dell’Irlanda cattolica alla fine del XIX secolo. Attraverso l’arte e la letteratura egli sente di doversi staccare dai valori e tradizioni che caratterizzano la sua famiglia e la sua terra, che non percepisce come negativi ma certamente opprimenti e frustranti. L’ammirazione per Ibsen, il crescente scetticismo in materia religiosa sono esempi delle tappe dei progressi della sua mente e della sua arte. Già emerge in questo testo la grande capacità di Joyce come descrittore di tipi, in pochi tratti e senza rinunciare alla vena umoristica che contraddistingue l’introduzione di personaggi eccentrici della sua città.

Numerosi i suggestivi messaggi simbolici che si scorgono durante la lettura; ci limitiamo a ricordare la scelta del nome (Stefano, primo martire cristiano; Dedalus, oltre che ideatore del labirinto iniziatore degli studi sul volo).

Attraverso le discussioni con gli amici, il distacco dalla religione e dalla famiglia, il conflitto con il gesuitismo dell’università, vediamo svilupparsi la scelta successiva dell’esilio e la messa in atto della vocazione d’artista.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

…chiunque gli parlava univa una incredulità troppo cortese per la sua aspettativa. Gli ispidi capelli brunastri che portava pettinati all’indietro erano sempre scomposti. Una ragazza avrebbe potuto o no chiamarlo bello: aveva un viso regolare la cui espressione veniva addolcita fino alla bellezza da una piccola bocca femminea. A un primo sguardo i suoi occhi non si notavano: erano piccoli occhi d’un azzurro chiaro che respingevano la confidenza. Il loro sguardo era sereno e diritto, ma con tutto questo il viso era fino a un certo punto il viso d’un debosciato.
Il preside del collegio era un uomo piuttosto solitario che presiedeva le adunanze e le riunioni inaugurali delle società. Suoi luogotenenti visibili erano un decano e un economo. Stefano pensava che l’economo era veramente un uomo tagliato per la sua mansione: grosso e florido con un casco di capelli grigi. Adempieva al suo ufficio con gran diligenza e spesso lo si vedeva troneggiare nel vestibolo del convitto osservando l’andirivieni degli studenti. Teneva molto alla puntualità: chi tardasse una volta o due per qualche minuto, pazienza, batteva le mani e faceva qualche osservazione allegra; ma ciò che lo irritava era che si perdessero anche pochi minuti tutti i giorni il che disturbava il corso delle lezioni.

Scarica gratis: Stefano eroe di James Joyce.