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(voce di SopraPensiero)Stefano Santasilia, assegnista di ricerca e docente a contratto presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria, cultore della materia presso la cattedra di filosofia teoretica (titolare di cattedra prof. Pio Colonnello), visiting researcher presso la Universidad Nacional Autónoma de México (Città del Messico) e l’Instituto de Filosofía del Consejo Superior de Investigación Científica (Madrid).
Simbolo e corpo: cosa lega i due termini che danno il titolo al Suo ultimo libro?
Il legame esistente tra la dimensione corporea e quella simbolica è qualcosa di evidente a partire dalla stessa domanda appena posta. Il semplice fatto che qualsivoglia riflessione elaborata a proposito del corpo, corpo umano in generale e quindi anche corpo proprio – sebbene quest’ultimo apra l’orizzonte di una riflessione estremamente problematica -, implichi l’espressione già mostra l’intrinseco e ineludibile legame tra corpo e simbolo. Il corpo trova voce solo attraverso la simbolizzazione che, per non degenerare in mera elucubrazione, deve sempre rammemorare la sua origine corporea.
Come viene ridisegnato il corpo nell’uomo nella nostra era del post-umano e del virtuale?
Rispondere in maniera, non dico succinta, ma per lo meno sintetica a tale quesito implica obbligatoriamente il tralasciare alcuni lati della questione. Sicuramente nell’epoca del virtuale e del post-umano (anche se poi bisognerebbe chiedersi davvero il senso di tale definizione considerando che continuiamo ad essere uomini e quindi a rendere le nostre epoche più che umane, forse troppo umane) la problematica della corporeità ha subito una valorizzazione ma, come per esempio nel virtuale, allo stesso tempo anche una riduzione. Si tratta di una riduzione alla struttura basilare per la quale un corpo è considerato come costituito solo da impulsi nervosi, oppure della riduzione dell’esperienza ad un solo senso (alla vista nell’ambito del social network). Chiaramente stiamo parlando di generalizzazioni ma proprio queste mostrano il lato oscuro di una valorizzazione che, a mio parere, per essere davvero tale deve mantenere una certa sobrietà critica ricordando come qualsiasi forma di appiattimento su una sola dimensione non possa che essere deleterio.
Nella scorsa intevista del 2011, a proposito del suo precedente volume dal titolo Tra metafisica e storia. L’idea dell’uomo in Eduardo Nicol (Le Càriti), spiegò che la realtà è prima rispetto alla riflessione filosofica (con buona pace di Cartesio). Potremmo dire stavolta che «il corpo è prima dell’idea»)?
Bisogna fare attenzione a tali dichiarazioni, soprattutto quando uno ne è l’autore. L’affermazione per la quale la realtà è prima rispetto alla riflessione filosofica significava e significa, per dirla brevemente, che la riflessione filosofica implica un ripiegamento caratterizzato sempre da un ri-conoscimento che avviene attraverso l’elaborazione/scelta di un paradigma (qui sarebbe il caso di indicare come riferimento fondamentale tutta la riflessione sviluppata da Giorgio Agamben a proposito della teoria delle segnature). Ciò non significa, però, che la realtà mostri chiaramente il suo senso, anzi. La problematica della percezione e della nostra relazione con la realtà, con ciò che definiamo realtà, precede la riflessione filosofica; ecco, sarebbe meglio dire così. Tanto meno penso di poter affermare che tale questione non fosse già chiara anche a Cartesio il cui problema non è affatto il primato della realtà quanto la possibilità della conoscenza, di un determinato tipo di conoscenza. Detto questo e venendo alla domanda posta, per rispondere bisognerebbe innanzitutto comprendere cos’è una idea, di cosa parliamo quando utilizziamo tale vocabolo. Se stiamo alludendo all’idea in generale, qualsiasi idea, beh non sono proprio sicuro che il corpo la preceda, per lo meno il corpo umano, perché non sono sicuro del fatto che un neonato non abbia minime rappresentazioni. Se si tratta dell’idea del corpo, anche qui la situazione non permette stabilire una precedenza se non teorica. Chiaramente non avremmo idea del corpo se non avessimo corpo e, soprattutto, se non vivessimo il corpo, ma una riflessione filosofica relativa al corpo non corrisponde ad una semplice idea del corpo. Per cui se si tratta della riflessione filosofica di sicuro segue la corporeità ma, considerando che il corpo non si esprime se non attraverso la comunicazione – verbale o gestuale che sia – potremmo anche arrivare ad affermare che idea del corpo in generale (come sua percezione cosciente) e corporeità procedono di pari passo. Un esempio di quanto sto dicendo è chiaro nella riflessione a proposito del corpo proprio elaborata da Michel Henry il quale riprende tutto il pensiero di Maine de Biran che, guarda caso, si dichiarava seguace, seppur non proprio ortodosso, di Cartesio.
In quale punto il pensiero di Nicol converge con quello di Ricoeur (per poi divergerne)?
La riflessione di Eduardo Nicol e quella di Paul Ricoeur non convergono in maniera evidente ma, se mi è concessa tale definizione, tangenziale. Si toccano in più punti per poi prendere ognuna la propria strada. Si tratta, chiaramente, della riflessione a proposito del simbolo e, nello specifico, del «potere del simbolo». Il potere dell’espressione che può imprimere alla realtà una metamorfosi del senso – che, però, implica anche una metamorfosi del punto di vista e quindi della forma di conoscenza. Come ho tentato di mostrare nel volumetto, ciò che Ricoeur afferma a proposito del «pensare simbolico» lo si può ritrovare quasi alla stessa maniera espresso nella riflessione elaborata da Nicol a proposito della «metamorfosi del genere» che si realizza nell’espressione poetica.
Quanto è attuale Nicol per la filosofia oggi? Perché dovremmo scegliere proprio lui come nostro interlocutore privilegiato?
Io non penso che Nicol vada scelto come interlocutore privilegiato. Dopo la pubblicazione di Tra metafisica e storia, che voleva essere un’introduzione al pensiero di Nicol che, a mio parere, si risolve in un’antropologia filosofica (o ontologia dell’uomo come, nel suo caso, preferiscono chiamarla alcuni studiosi), mi è sembrato corretto mostrare come questo autore, che ha vissuto e lavorato ai margini della tradizione europea, dovesse essere preso in considerazione in base alla sua capacità di dare possibili risposte a tematiche più che attuali e alla sua capacità di confrontarsi (dove direttamente come con Cassirer, dove indirettamente come con Ricoeur) con maestri indiscussi del pensiero. Allora, per rispondere al primo quesito, la sua attualità risiede nell’aver già preso in considerazione alcuni problemi che continuano ad essere oggetto del dibattito filosofico contemporaneo e nell’aver elaborato proposte sicuramente aporetiche ma che indicano sentieri percorribili e attraverso i quali si intravedono interessanti spiragli critici.