Signora Ava, pubblicato nel 1942, oltre a consolidare la fama di narratore di Jovine, rappresenta un segno di rinascita del romanzo italiano. L’ambiente del Molise, terra natale dell’autore, al tempo dei Borboni è descritto con ironia e nostalgia, comicità e commozione.

Ma in ogni frangente emerge quella potente sensazione di abbandono che pervade quella civiltà antica e quella gente oppressa, tagliata fuori dal rapido avanzare del progresso ottocentesco. Progresso che non riesce a farsi strada nella fatale rassegnazione permeata da antiche superstizioni.

Certamente nel racconto di Jovine hanno spazio i personaggi un po’ bizzarri che provengono probabilmente dai racconti del padre, e questi personaggi sono gli interpreti della realtà storica sempre densa di aspetti magici e di sortilegi. E altrettanto certamente quei racconti paterni sono serviti all’autore per comprendere il linguaggio del contadino, la sua storia, la sua oppressione.

La prima parte del romanzo narra la quotidiana vita del paese, con i suoi riti immutabili, i rapporti sociali cristallizzati, strutture e gerarchie che appaiono sempre perpetue nel tempo. Anche le figure anticonformiste, il Colonnello che ha interiorizzato amore per la cultura e gli studi, e don Matteo che pur povero e ignorante è alla ricerca di una giustizia irraggiungibile, non riescono a staccarsi da quell’atmosfera di amarezza e comicità che fa da sfondo a ogni episodio della vita paesana. Forse nei più giovani, Pietro Veleno, servitore, e Antonietta, fanciulla della borghesia che studia in città presso le monache, si possono scorgere le energie che servono per il cambiamento.

E in questa società apparentemente immutabile giunge, nella seconda parte del romanzo, l’impresa dei Mille guidati da “Gariobaldo” che appare ogni giorno diverso, angelo o demonio, secondo come tira il vento. E via via che le camicie rosse avanzano si organizza nel bosco la banda partigiana del Sergentello. L’aspirazione a una vita più dignitosa, o anche semplicemente più umana per i contadini, viene mortificata dalla capacità dei possidenti di accogliere il re nuovo come l’antico.

E il romanzo si chiude col disperato tentativo di un gruppo di persone che cerca di fuggire verso il confine del regno pontificio traditi dai notabili del paese.

Nel 1975 Antonio Calenda ha curato la trasposizione cinematografica in uno sceneggiato televisivo in tre puntate, con Amedeo Nazari nei panni del “Colonnello”, sceneggiato che può essere visto qui: https://www.youtube.com/watch?v=GPX8MqihRvg.

Recente una riedizione di Donzelli prefata da Goffredo Fofi.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Don Matteo Tridone si schermiva dal sole per guardare la siepe che aveva di fronte. Con gli orecchi tesi seguiva il vario cinguettare dei passeri tra i rami dei fichi e i rovi della fratta. Quelli caduti nella rete avevano uno scoppio improvviso di note rabbiose, poi un pigolio lungo e dolente. Gli altri, volando sulle piante, affondavano il becco nelle ferite dei fichi che pendevano flaccidi dai rami con la lagrima mielata nella punta; poi, sazi, accorrevano al richiamo della siepe.
Don Matteo era seduto su una panca all’ombra di un olmo carico di bacche e di foglie. Davanti aveva una breve porca di terra disseminata di piante gialle di pomodori che avevano ancora alcuni frutti troppo maturi alla base e verdi alle punte. Ai lati, rosai spogli e cespi di gerani disseccati. Tutta la vegetazione moriva nel sole pallido di fine ottobre e nel silenzio della campagna umida. C’erano state la settimana avanti grandi piogge dapprima calde e irruenti dominate dallo scirocco che veniva dalla piana di Puglia, poi lente ed uguali con fresco sentore d’inverno.
Don Matteo di tanto in tanto dava un’occhiata distratta al breviario che aveva aperto sul ginocchio destro. Un Oremus rosso colpito da un raggio rifulgeva con una consistenza metallica, le altre parole erano annegate nell’ombra.

Scarica gratis: Signora Ava di Francesco Jovine.