Nel minuzioso, paziente e amoroso lavoro di rivelazione e ricostruzione della storia di Genova che Pescio già da anni perseguiva, affinando sempre più la competenza di storico abbinata alla genialità di scrittore, si inserisce questo Settecento Genovese. La forza di questo testo risiede nella singolare evidenza con la quale Pescio riesce a porre sullo sfondo di ciò che narra le finezze e le particolarità facendole tuttavia risaltare nella loro realtà più vera. Pescio si rivela quindi scrittore di grande cultura e tuttavia di grande genialità, sapendo abbinare due qualità che spesso sono antitetiche. E la rievocazione storica diventa quindi arte e poesia, proprio perché spesso la vita è appunto arte e poesia. E Pescio ci insegna anche a guardare con un benevolo occhio ironico alle abitudini settecentesche; notevole la descrizione dei banchetti per l’insediamento dei dogi (che secondo l’usanza restavano in pratica prigionieri per due anni durante il mantenimento della loro carica, non potendo uscire se non per gravissimi motivi dalla sede del loro mandato) dove il popolo è ammesso ad assistere alle luculliane mangiate dei loro governanti.
Nel secolo dei cicisbei molti furono i personaggi notevoli che ebbero a risiedere temporaneamente o più a lungo a Genova; Pescio prende in considerazione le loro reazioni di fronte alle spigolosità ma anche all’accoglienza generosa di Genova. Tra tutti quelli descritti spicca la figura di Casanova. Ci sono poi le visite dei regnanti, e in ogni caso Pescio rintuzza con garbo e ironia le parole talvolta pungenti con le quali i visitatori descrivono poi gli aspetti caratteristici della città che sono apparsi, per così dire, meno coinvolgenti e accattivanti.
Molto belle le descrizioni delle sfide al gioco del “pallone” all’Acquasola (storico parco cittadino del quale Pescio spiega anche l’origine); per “pallone” si intende qui parlare dell’antico “pallone elastico” (balon) giocato tuttora nelle zone dell’entroterra ligure e del basso Piemonte, celebrato da scrittori come Pavese e Fenoglio, e che a Genova era ancora in vigore fino agli anni ’60 del secolo scorso, quando si giocava nel vecchio sferisterio oggi abbattuto e non più esistente. Nonostante la perizia degli sfidanti milanesi (impiegavano due giorni di viaggio per venire a giocare a Genova) e l’iniziale sconfitta, i genovesi facevano alla fine valere il loro valore di fronte a un appassionato pubblico nel quale spiccavano i reali di Napoli che avevano voluto assistere, e scommettere, all’attesa partita, dopo aver trascorso la mattinata al Santuario della Madonna del Monte. Scommettono entrambi ma vince solo la regina che ha puntato sul competitore migliore e meglio abituato al familiare terreno di gioco…
Il capitolo che chiude il libro è dedicato al poeta genovese per eccellenza, Steva De Franchi, traduttore in lingua genovese delle commedie di Molière, e raffinatissimo testimone dell’epoca settecentesca, come lo furono, dice giustamente Pescio, Foglietta nel ’500, Gian Giacomo Cavalli nel seicento, Piaggio e Bacigalupo (le poesie e le commedie di quest’ultimo si possono leggere in questa stessa biblioteca Manuzio) rispettivamente nella prima e nella seconda metà dell’800.
Da ricordare che quest’opera storica di Pescio ha un suo proseguimento nel successivo Giorni e figure dove è messa nella giusta luce la partecipazione del popolo ligure alla storia risorgimentale. Ma dove anche viene messa in luce l’evoluzione della donna settecentesca, che già appariva in questo Settecento genovese bella, fragile, ardente di un inesauribile fuoco di passione. Ora la donna, nella sua semplice figura di madre, sposa, sorella, al primo destarsi del risorgimento porta il suo contributo di esaltazione ed entusiasmo che si contrappone alla fredda logica maschile, quella esemplificata in Cavour.
Come Settecento genovese si chiude con Steva De Franchi, Giorni e figure si apre invece con il capitolo su Martin Piaggio, quasi a voler seguire un filo logico “letterario” per poter introdurre al meglio gli argomenti storici. Speriamo di poter aggiungere presto in questa biblioteca anche l’edizione digitale di questo ideale seguito del testo ora presentato.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
«Un’epoca di grazia e di sontuosità, di conoscenza e di indifferenza, di malizie e di bontà, di riso scomposto e di vive lacrime ardenti. L’epoca singolare che più ci appare desiderosa «de bruler jusqu’au lumignon sa chandelle en public», e a cui si mescola – or a Napoli, or a Venezia, or a Roma, or dapertutto – il cavalier viniziano Giacomo Casanova, il quale mirabilmente le appartiene, poichè è filosofo cinico ed è poeta, poichè parla il francese e tradisce le donne, ed è sentimentale ed è spietato, e giuoca al faraone e comenta Plutarco…»
Perchè in sè veramente, riassume «la non pigra vita del suo secolo», anzi l’avviva e l’agita tutta, in tutti gli aspetti; perchè, come il suo tempo, ha sperimentato «tutte le sue pericolose qualità», «poi che egli è bell’uomo ed è noto per la sua fuga dalle prigioni e per le sue cabale», proprio come il settecento è esteticamente seducentissimo, e si prepara la tremenda fuga dai Piombi spirituali, ancor ferriati dal medio evo, ancor piombati dal pregiudizio e dal privilegio, e porta i cabalisti all’enciclopedia e ai crogiuoli e concilia gli alchimisti con Lavoisier e seduce gli ideologhi a costruir realtà e l’alchimista a fabbricar porcellane.
Scarica gratis: Settecento genovese di Amedeo Pescio.