Sarra
di
Grazia Deledda
tempo di lettura: 10 minuti
La prima domenica dopo Pasqua ricorreva la festa di San Costantino, nei salti di Bottuda.
I salti di Bottuda sono campagne assai distanti dal paese omonimo, e per arrivare alla chiesetta intorno a cui si fa la festa campestre, bisogna attraversare una valle, un bosco, una pianura. Ma i Bottudesi amano assai il loro San Costantino, e per tutto l’inverno sognano di attraversare il bosco, la valle e la pianura, pur di festeggiare il Santo ballando, cantando, bevendo acquavite e vino bianco fino a mezzogiorno, e liquore d’anice e vino rosso fino all’ora del ritorno.
Ed è giusto che essi si divertano finalmente. Hanno lavorato tutto l’inverno crudo, dissodando e seminando la terra selvatica, guardando le greggie assiderate e magre: ora le pecore hanno la lana lunga, il grano verdeggia sui ciglioni, le macchie sono fiorite, il cielo è azzurro. Bisogna ringraziare San Costantino delle buone promesse della terra e del gregge, e bere e ballare e cantare in suo onore.
Anche Sarra Nota 1 Fioreddu sognava la festa, le danze, i mercanti di stoffe colorate e di gioielli falsi, ma non osava neppure esprimere il suo desiderio.
In casa sua la maltrattavano perché non voleva sposare un pastore che possedeva cento pecore, cavalli, terre, e un cane famoso in tutti i paesi vicini.
— Cosa me ne faccio delle sue pecore e del suo cane, che possa mangiar le viscere del suo padrone! — diceva Sarra. — Mattia sembra egli stesso un cane peloso, col suo naso grosso e gli occhi rossi. Eppoi egli ha venti anni più di me, è grasso e basso. Io non lo voglio, mi fa schifo; meglio morire.
Essa era alta, fina, un po’ curva, ma molto bella e bianca in viso; inoltre aveva gli occhi azzurri, una rarità per il paese. Era civettuola, voleva sposare un giovine roseo, non peloso, alto e sottile, la cui cintura ricamata potesse cingere la vita d’una donna.
Il padre e i fratelli – uomini rozzi e ubbriaconi – s’erano fissati in mente che ella dovesse sposare Mattia, il pastore ricco, e la maltrattavano crudelmente.
Ella non poteva aprir bocca che subito non si sentisse minacciata di venir trascinata pei capelli: intorno a sé non vedeva che visi inferociti, occhi verdi d’ira, e non udiva che parole vituperose. Bastava che comparisse lei perché tutti i suoi parenti prendessero l’aspetto di cani arrabbiati.
Ma lei restava dura. Diceva:
— Maltrattatemi pure, strappatemi i capelli, fatemi a pezzetti: l’ultimo pezzetto dirà no, no, no.
Fin dai primi d’aprile sentì che il padre e i fratelli con le loro fidanzate dovevano andar alla festa di San Costantino. Facevano già tanti progetti.
— Porteremo questo, porteremo quest’altro; mangeremo sotto l’albero a destra della chiesa, canteremo su quest’argomento, compreremo questo, compreremo quest’altro.
Sarra ascoltava con gli occhi spalancati, arrossiva d’invidia, si rodeva, spesso di notte piangeva amaramente. Ah, mai fino ad allora aveva sentita tutta la sua disgrazia. Non poter andare alla festa mentre ci andavano anche i mendicanti; non poter esprimere il suo desiderio, non poter neppure parlare!
Tutto ciò accresceva il suo odio e la sua ripugnanza per Mattia. Ella piangeva di rabbia, quando pensava a lui stringeva i pugni, sputava, lo ingiuriava continuamente fra di sé. E se lo vedeva gli voltava le spalle e impallidiva d’odio.
Intanto giunse la Pasqua, passò; cominciarono i preparativi per la festa.
Si fecero le focacce dolci ed il pane, fu portato l’agnello dall’ovile, si comprarono le arancie, il vino, il nasco Nota 2, s’estrasse il primo miele. Sarra rodevasi di desiderio e di rancore: sapeva che Mattia non sarebbe andato a San Costantino e ciò accresceva la sua voglia.
La notte precedente la festa, la ragazza dormì poco e pianse: poi sognò che anch’ella era andata alla festa e che ballava con un giovine alto e bello; e svegliandosi provò uno stringimento al cuore.
S’alzò che era ancor notte: nella cucina stavano disposte in fila le bisacce colme, pronte le briglie, i freni, gli sproni ripuliti. Nel cortiletto i cavalli ruminavano: e nel silenzio dell’aria tiepida risuonava di tanto in tanto il rumore metallico delle loro zampate sul lastrico umido di rugiada.
Sarra guardò, ascoltò, accese il fuoco, mise a bollire il caffè e ricominciò a lagrimare.
Il padre che dormiva su una stuoia, si svegliò e sbadigliò; poi chiese con voce assonnata e rude.
— Che cosa hai? Perché piangi?
Sarra si sentì intenerire, ma nello stesso tempo ebbe paura, scoppiò a pianger forte e non rispose.
Il padre s’alzo e curvandosi su una bisaccia la sollevò come per provarne il peso.
— Che il diavolo ti tolga le scarpe, — diceva intanto a Sarra, — tu vorresti venire alla festa di San Costantino?
Ella continuò a singhiozzare, col viso nascosto nel grembiale. Il padre le si rivolse minaccioso:
— Rispondi a tuo padre. Vuoi o non vuoi venire alla festa?
— Sì — ella rispose con un filo di voce.
— Sì! — disse il padre contraffacendola. — Ebbene, che il diavolo ti porti, va, cambiati il fazzoletto e le scarpe.
Sarra andò via rapidamente.
Allora anche i fratelli si alzarono, rotolarono le stuoie, rizzandole lungo la parete, e si guardarono fra loro.
— Ella viene — dissero a bassa voce.
E sulle prime parvero contenti, ma tosto ripresero la loro solita aria di malcontento.
— Ah, — diceva il padre, parlando fra sé, mentre sceglieva la briglia del suo cavallo, — non ci sarebbe stato bisogno di ciò.
Sarra riapparve subito, rossa, un po’ ansante, con gli occhi ancora gonfi ma lucenti di gioia. S’era cambiata in un attimo; aveva una camicia bianchissima, le scarpe nuove, il corsetto guarnito di trine d’oro, e in testa un gran fazzoletto frangiato, di damasco violaceo.
Quando le cavalcature furon pronte ella sedette in groppa alla cavalla grigia montata da suo padre. E via per la valle, il bosco, la pianura, nel purissimo e odoroso mattino di aprile.
Durante il viaggio nessuno dei parenti di Sarra, e neppure le sue future cognate, le rivolsero la parola: ma ella non se ne curava. Rideva e chiacchierava con gli altri paesani che andavano alla festa, ed era felice in modo inesprimibile.
La rugiada brillava sui grani: nelle macchie cantavano gli uccelli; l’aria era satura di profumi; i più bei giovani di Bottuda si recavano alla festa, voltandosi per guardare Sarra il cui volto, nel fazzoletto di damasco violaceo, pareva una rosa di macchia.
Ella rideva e parlava in alto per farsi udire dai giovanotti, guardandoli col suo azzurro sguardo apparentemente ingenuo, pieno di vita e di gioia.
— Noi balleremo assieme — dicevano gli occhi dei giovani e quelli di Sarra. — Chi sa come ci divertiremo.
Ed infatti ella si divertì follemente tutta la giornata: trovò le sue amiche, ballò, civettò, fu corteggiata a più non posso.
Il padre ed i fratelli bevevano acquavite e vino giallo, anice e vino rosso, giocavano alle carte ed al bersaglio e non badavano a lei.
Ella fece tutto ciò che le parve e piacque senza mai ricordarsi di Mattia e delle persecuzioni sofferte; comprò anellini con pietre gialle e verdi, ricevette qualche regalo galante e nascose tutto entro il seno.
Verso l’ora della partenza ella era stanca di ballare, i piedi le bruciavano, le mascelle le facevano male dal gran ridere, e si sventolava sul viso infuocato i lembi del fazzoletto violaceo, ma vedeva con dispiacere avvicinarsi il momento di partire.
Il sole tramontava, il cielo accendevasi di oro all’orizzonte, l’ombra della chiesetta allungavasi sull’erba calpestata; un gran silenzio scendeva già sulla pianura. Il sogno era finito.
A poco a poco la gente se ne andò: gli uomini erano quasi tutti ubbriachi, le donne melanconiche. I Fioreddu furono fra gli ultimi a partire, e il padre si attardò più di tutti. Era anch’egli ubbriaco, ma fingeva di esserlo più di quanto veramente lo era. Barcollava, chiudeva gli occhi, balbettava. A cavallo dondolava di qua e di là dalla sella, e Sarra doveva quasi sostenerlo perché non cadesse. La cavalla andava lentamente, e si lasciò sopraggiungere e sorpassare anche dai carri dei mercanti e dai mendicanti che facevano la strada a piedi. A poco a poco zio Fioreddu e la figliuola rimasero ultimi e soli nel sentiero all’entrata del bosco. Le ombre cadevano: attraverso i rami immobili nella quiete del crepuscolo il cielo impallidiva. Il roteare dei carri, i passi dei cavalli, le voci, i canti morivano in lontananza.
Zio Fioreddu continuava a dondolare in sella e pareva dormisse. Sarra fu colta da grave tristezza. Il suo volto si fece bianco bianco, gli occhi così facili al riso ed al pianto si velarono.
Ella aveva paura di trovarsi così nel bosco sola con quell’uomo ubbriaco, e non osava svegliarlo e dirgli di viaggiare più sollecitamente.
Per quanto poteva batteva il piede sul ventre della cavalla, ma la bestia scuoteva la coda, rizzava le orecchie e continuava a camminare lentamente. Era sazia, la cavalla, sazia di erba e di fronde; non le importava quindi, come quando zio Fioreddu tornava dal lavoro, di trottare rapidamente verso la mangiatoia.
Sarra cominciò a incollerirsi e inquietarsi. La notte cadeva, i rumori dei carri e le voci dei viandanti s’erano spenti; zio Fioreddu continuava a dormire.
— San Costantino mio, — diceva Sarra fra sé, — cosa è questo? Aiutateci voi, altrimenti arriveremo domani mattina.
Ad un tratto ella provò un grande spavento, le parve veder Mattia dietro un albero, nell’ultimo barlume del crepuscolo.
— È il demonio — pensò: ma tosto diede un grido acutissimo e si strinse alla vita di suo padre, perché realmente Mattia balzò in avanti e fermò la cavalla.
Era armato di fucile, di pistola, di leppa (coltello) e pareva un brigante: dopo di lui vennero correndo altri due uomini che Sarra riconobbe benissimo. Eran due servi di Mattia.
La fanciulla capì immediatamente che volevano rapirla, e si mise a urlare, avvinchiandosi a suo padre e chiamando soccorso. Zio Fioreddu parve destarsi.
— Cosa c’è? — chiese con voce rauca ed assonnata. — Cosa vuoi, Mattia?
— Smontate — disse costui. — Lasciatemi vostra figlia e la vostra cavalla e tornate a piedi, al paese. Vi riporterò tutto in buono stato.
Zio Fioreddu si mise a ridere e disse:
— Eh, eh, tu scherzi. Vuoi andare alla festa, ora, tu? Sei matto? Noi torniamo ora, dalla festa.
— Si vede bene! — disse Mattia. — Quanti calici avete bevuto? Basta, smontate con le buone, altrimenti vi farò smontare con le cattive.
— No! No! — urlava Sarra. — Non lasciatemi, babbo mio. Farò tutto ciò che vorrete, ma ora non lasciatemi.
Tutto fu inutile. Invano le sue grida risuonarono nel bosco: mezzo morta ella si trovò, dopo aver dato parecchi pugni, graffi e pedate, in balìa del suo rapitore.
Zio Fioreddu, che rideva e parlava insensatamente, fu lasciato nel bosco, e Sarra fu condotta all’ovile del rapitore.
Là c’era la sorella di Mattia, una brutta donna nera dalle labbra grosse, che cercò confortare la fanciulla.
— Non temere, colomba mia, — le disse, — nessuno ti torcerà un capello: domani mattina Mattia, ti ricondurrà a casa tua, ed anche la cavalla ricondurrà. E subito vi sposerete, colomba mia, non temere.
— No, non lo credere, labbra di cavallo — disse Sarra con disprezzo. — Voi siete tante bestie feroci, ma io non sposerò tuo fratello.
— Cosa vuoi, sorella cara? — disse l’altra stendendo una stuoia accanto al fuoco. — Chi vuoi che ti sposi, ora? Dopo questo fatto chi vuoi che ti sposi? Coricati, sta tranquilla, ché con mio fratello tu starai come una regina. Cosa vuoi di più? Coricati, Sarrina mia. Domani mattina faremo il caffè, dopo torneremo tutti assieme al paese, e domani mattina stesso Mattia ti farà il dono di sposo: otto anelli con pietre, una medaglia d’argento, le scarpe ricamate, il fazzoletto color di garofano.
La donna continuò ad enumerare i doni dello sposo, ma Sarra le volse le spalle e si accoccolò in un angolo della capanna.
Ah, ella lo vedeva bene. Tutti erano d’accordo in quest’orrenda commedia, compresi i suoi fratelli ed il padre. Che cosa le restava a fare contro quelle bestie feroci, com’ella le chiamava.
— Cosa farò io? — pensava, singhiozzando. — Io andrò dagli uomini della giustizia e denunzierò queste bestie feroci? E poi? Li condanneranno, ma nessuno più mi sposerà dopo che sono stata rapita. Tutti crederanno che io abbia passato la notte con quel cane di Mattia, e nessuno più mi guarderà.
In questi pensieri ella pianse a lungo e disperò; a poco a poco si calmò, e verso l’alba cominciò ad assopirsi. Allora nel dormiveglia, una strana e selvaggia dolcezza le scese nel cuore.
— Quelle bestie feroci! — pensava vagamente. — Esse mi hanno ammazzata; ma toccherà poi a me. Ah, fratelli cari, voi credete che profitterete del benestare di Mattia? Sarò io la padrona; vi discaccerò come cani rognosi. E tu, Mattia, credi che avrai una moglie fedele? Io ti sposerò, ma tu ti sbagli, bestia feroce…
Così si addormentò.
Fine.
nota 1 – Alessandra
[Torna]
nota 2 – Vino bianco sardo, dolcissimo e forte.
[Torna]
Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamo realizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione integrale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, video e tanto altro: https://www.liberliber.it/.
Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri. Fai una donazione: https://www.liberliber.it/online/aiuta/.
QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Sarra
AUTORE: Deledda, Grazie
NOTE: si ringrazia la Ilisso Edizioni / Via Guerrazzi / 08100 Nuoro - Italia / Tel. +39 (784) 33033 / Fax +39 (784) 3
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
TRATTO DA: La regina delle tenebre / Grazia Deledda ; Fa parte di: Novelle (2) / Grazia Deledda ; a cura di Giovanna Cerina . - Nuoro : Ilisso, \ 1996. - 421 p. ; 18 cm.
SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)