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(voce di SopraPensiero)Saint-John Perse, Lettere a mia madre dalla Cina, traduzione di Luana Salvarani, Introduzione di Alessandro Rivali, Medusa, Milano 2016, pp. 104, € 15,00, ISBN: 978-88-7698-372-6
La casa editrice Medusa ci ha abituato a edizioni scelte e raffinatissime. Nella scelta degli autori, nella cura del testo e anche nella fattura del libro come oggetto. L’ultimo titolo, pubblicato nelle scorse settimane, ne è una conferma esaltante. Luana Salvarani traduce le 27 lettere che il giovane poeta scrive alla madre dalla Cina. Saint-John Perse vi giunse nei primissimi giorni del 1917, in piena Guerra mondiale e vi rimarrà fino al 2 aprile 1921 in qualità di segretario della legazione francese a Pechino. Aveva appena compiuto trent’anni.
Marie-Auguste-René-Alexis Leger (questo il vero nome) era nato nel 1886 a Guadalupa, nelle Antille Francesi, dove l’aristocratica famiglia materna viveva dal 1815; nell’ultimo scorcio del secolo la famiglia subì una grave crisi e dovette lasciare i Caraibi per fare ritorno in Francia.
Durante gli anni universitari ebbe i primi contatti con l’ambiente letterario francese e conobbe Claudel, Gide, Valéry e Rivière, direttore della «Nouvelle Revue Française». Dopo il conseguimento della laurea in Giurisprudenza e il grande successo di Éloges, la prima raccolta di poesie, nel 1912 si trasferì con la famiglia a Parigi. Due anni dopo decise di impegnarsi nella carriera diplomatica e vinse il concorso per entrare al Ministero degli Affari esteri; cominciò a viaggiare di frequente in Spagna, Germania e Inghilterra. Ma la missione in Cina rappresenta, oltre che un momento importante di maturazione umana e intellettuale, il suo reale apprendistato politico.
Dopo l’esperienza cinese la carriera diplomatica di Perse decollò, fino a diventare ambasciatore e, tra il 1933 e il 1940, il segretario generale del Ministero degli Affari esteri, carica che gli permise una certa influenza sulla politica estera francese. Alla Conferenza di Monaco del 1938 si schierò apertamente contro Hitler che pretendeva l’annessione della Cecoslovacchia. Il Fuhrer s’infuriò e non dimenticò: quando, nel giugno 1940 i nazisti entrarono a Parigi (Perse, frattanto, inviso al regime di Vichy, si era autoesiliato negli Stati Uniti), la Gestapo saccheggiò la casa del poeta, distruggendo anche diversi manoscritti inediti.
Gli anni cinesi furono anche l’officina dove Perse compose Anabase (poi pubblicata da Gallimard nel 1924). Lui stesso ne trasfigura la stesura nel tempio taoista abbandonato di Tao-Yu, dove si era concesso un periodo di riposo nell’estate del 1917. Come annota Alessandro Rivali nella bellissima Introduzione a questo volume: «grazie alle lettere «cinesi», possiamo apprendere il cantiere delle liturgie del poeta, le «occasioni» che generarono i suoi eroi misteriosi che tracciano piani di città, consultano àuguri, conquistano e marciano nel deserto. Ma conosciamo anche il suo day by day: le sottili intelaiature diplomatiche, le note su un Paese in fermento mentre in Europa infuria la prima Guerra mondiale, le cose minuscole, che diventano decisive per lo zoom del poeta [ […]]. Le Lettere a mia madre dalla Cina ci restituiscono la sete di contemplazione di Perse, una sete assoluta» (pp. 8-9).
Per la prima volta, pubblicando Anabase, utilizzò lo pseudonimo di Saint-John Perse, anche per tenere separata la sua opera poetica da quella diplomatica. La raccolta, che è considerata uno dei momenti più alti della sua poesia, entusiasmò e grandi poeti si diedero a tradurla: Eliot in inglese, Rilke e Hugo von Hofmannsthal in tedesco. In Italia fu Ungaretti a lavorarvi («È uno dei rari esempi recenti di poesia epica»), dedicandosi per la prima volta a un’opera completa e non a una selezione di testi. «Lavoro con passione ad Anabasi. È stata per me una vera fortuna incontrare questo libro. [ […]] Un mondo nuovo m’è stato spalancato […] Io vi incontro ad ogni passo stupori nuovi. È una consolazione potere consacrarsi ad un tale lavoro».
Eppure Saint-John Perse è sempre stato considerato un poeta difficile, un «poeta per poeti» e per questo da noi pochissimo conosciuto, nonostante il Premio Nobel del 1960 «per il volo sublime e il linguaggio evocativo della sua poesia che in modo visionario riflette gli stati del nostro tempo». La pubblicazione di questo vivacissimo epistolario («vero cinema in parole», scrive Rivali citando Ezra Pound) è arricchito in Appendice da tre missive di quegli stessi anni a Joseph Conrad, a Paul Valéry e a «una signora d’Europa».
Se avrà la diffusione che si merita, potrà davvero riportare la giusta attenzione su un grande poeta che merita di essere conosciuto.