Dopo varie riedizioni del primo volume di Racconti storici, che era stato pubblicato la prima volta nel 1832, nel 1839 esce un’altra raccolta di Bazzoni a cura dello stesso editore Manini. Scrive Bazzoni:

«Tratto dal desìo di investigare le trapassate età, io stesso rimestava le patrie vicende, e mi provai a dare colla penna forma e vita, dirò, all’impressione che da quell’eco di potentissimi eventi mi derivava, non m’annodando al rigore de’ fatti, chè troppo agevole riesce il rilevarli nelle pagine stesse della storia.»

Mentre la zona dell’indagine è anche qui l’Italia settentrionale, l’arco temporale è ben più vasto, visto che il primo racconto Milano nell’anno 305 dell’era si sofferma sul particolare momento storico nel quale due imperatori romani dismettevano contemporaneamente la porpora: Diocleziano a Nicomedia e Massimiano a Milano, dove questi aveva spostato la sede dell’impero d’occidente. A succedere a Massimiano sarebbe arrivato dalle Gallie Costanzo Cloro. Questo racconto è occasione per descrivere un paese ricco di foreste e laghi, poi prosciugati dall’uomo, di popolazioni diverse, “più distinte e numerose quelle d’origine gallica ed etrusca”, nel quale l’idioma più usato era il latino, sebbene dai milanesi parlato con un accento particolare. I cristiani erano ancora perseguitati ma a succedere a Costanzo sarebbe arrivato Costantino il Grande, “ fondatore dell’impero d’oriente in Bisanzio, il figlio di sant’Elena”.

Il secondo racconto, Un episodio dell’assedio del Barbarossa, sposta l’azione all’anno 1158, quando “Milano, la più forte, la più prepotente città d’Italia di quel secolo, vedevasi circondata da folte schiere nimiche”. La difesa della città, alla quale partecipavano tutti i cittadini, era organizzata per parrocchie ed ogni gruppo cercava di fare assalti improvvisi alle truppe assedianti. Questa storia narra di uno di questi assalti: qui l’autore descrive straordinari tipi umani e i sentimenti di grande determinazione e di coesione che legano i milanesi contro il nemico comune.

Il racconto I Guelfi dell’Imagna o il Castello di Clanezzo narra un altro episodio della rivalità tra ghibellini e guelfi a partire dal finire del XIII secolo tra le valli d’Imagna e l’antica Valle Brembilla, in un’area a nord di Bergamo. Al di là delle infinite sanguinose dispute tra valligiani di opposta fazione, emergono dalle pagine le vestigia di splendidi e misteriosi castelli, rocche e arditi ponti (ancora presente oggi è il bellissimo Ponte di Attone) immersi in una natura selvaggia, ricca di foreste e di dirupi. Ma la cosa più notevole e dolorosa, scrive Bazzoni, è che:

«tutti quegli armati che si trovavano a fronte erano d’un medesimo suolo, parlavano un linguaggio, un dialetto stesso, e molti ve ne avevano nelle linee opposte congiunti dai sacri vincoli del sangue, poichè la sorella dell’uno era dell’altro o la sposa, o la cognata o la madre. Ma nulla valeva il potere di sì santi legami a petto di quella fera cecità dei partiti, che tramutava i fratelli in nemici, e le terre italiane in tanti campi di guerra.»

Edemondo ed Adelasia o la torre di Gombito racconta una storia d’amore tra giovani delle due opposte fazioni, con ambientazione nella guelfa Bergamo e la ghibellina Martinengo all’inizio del XIV secolo.

In La biscia amorosa : danza milanese (anno 1580) si racconta di un duello per via dell’onore di una fanciulla tra un giovane milanese e un tracotante figlio di un marchese spagnolo, di quelli che in quel periodo signoreggiavano a Milano. Avendo vinto Carlo V la battaglia di Pavia nel 1525 e con il trattato di Barcellona del 1529, era stato reinsediato a capo del ducato di Milano Francesco II Sforza, ma alla sua morte, senza eredi, nel 1535 Milano e il suo territorio furono assegnati al figlio di Carlo V, Filippo II di Spagna.

Il racconto Campo di battaglia sul Duomo di Milano ricorda un evento di battaglia tra i ghibellini della città e le truppe di stanza in parte spagnole e in parte “alemanne”. Siamo nel 1526 e tutto parte dai tetti del Duomo.

Chiude il volume un racconto diverso. In Avventure in un viaggio per la Valdoppia (dal vero) Bazzani descrive una sua escursione a piedi, ispirato da tante letture giovanili avventurose. Il progetto è di “valicare i monti che dividono la Val d’Aosta dalla Val Sesia, e discendere a Varallo da dove la strada per Romagnano e Borgomanero mette capo ad Arona.” È proprio superando l’ultimo tratto della Valdoppia (oggi Valdobbia) per arrivare in Valsesia che l’autore fa una scoperta.

Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS

Dall’incipit del libro:

Elmetti d’argento, lucenti loriche, clamidi purpuree, candide vesti sacerdotali, aste d’oro recanti le insegne e le aquile romane, bighe sonore, cavalli scalpitanti del lento procedere impazienti, clangore di trombe, teste coronate di verdi serti, onda di popolo ammirante, festoso; tale era il magnifico spettacolo che si presentava nell’ampia via dell’antica Milano, che dal palazzo degl’Imperatori1, correndo presso l’Ippodromo o Circo2, dirigevasi al tempio di Giove3.
Il cielo era sereno, fulgidissimo il sole che irradiava la moltitudine stipata nella via, e quella che ghermiva la sommità e le aperture delle case, de’ palagi, e i peristilii de’ templi, recatasi spettatrice del sontuoso trapassare di tanto corteo. Era quel dì il primo di maggio segnato nelle tavole della storia a caratteri cubitali, poichè in tal giorno due augusti, due imperatori romani dimettevano la porpora, spogliandosi volonterosi della potestà più sovrana fra quante siano state strette da mano d’uomo, per rientrare nel nulla della vita privata. E questi due imperatori erano Diocleziano che in Nicomedia cedeva la parte orientale dell’impero al Cesare Galerio, e Massimiano Erculeo che in Milano ne cedeva la parte occidentale al Cesare Costanzo Cloro.

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