In un articolo del 13 febbraio 1964, pubblicato su la “Gazzetta del Mezzogiorno”, Domenico Di Palo scrisse:

«Alla luce di un atto di fede nella parola (gli uomini devono comunicare tra loro le testimonianze della propria coscienza oltre che della civiltà in cui vivono) ecco quindi il problema di una personale vicenda, il fatto privato, il desiderio di conforto e la paura della solitudine, e l’acerba locuzione d’amore, ora per la donna straniera, donde traspare il desiderio di evasione, ora per la contadina, come volontà di fissarsi, di rifugiarsi nello squallore; e il paesaggio lucano, nella sua lirica bellezza, e quindi la rievocazione dei fatti del paese, con i suoi costumi, le sue vicende, i suoi frammenti di canto popolare che si allargano nella memoria di un momento di vita, di una partecipazione di esperienze, di avventure dei sensi».

Credo che sia difficile tratteggiare meglio, in poche righe, il senso di “umanità sofferta” che traspare costantemente da questi racconti di Scotellaro.

Scritti tutti nel decennio 1940-1950 e agli inizi degli anni ’50, questi racconti hanno spesso l’aspetto di incompiuti e la loro storia di pubblicazioni e rivisitazioni evidenzia come l’autore stesse ancora lavorando e rivedendo la propria prosa; infatti confrontando diverse versioni di alcuni di essi non si può non notare come differiscano non solo per variazioni lessicali ma per interi brani di testo aggiunti o sostituiti. Scotellaro ne intendeva preparare la raccolta in volume che non avrebbe fatto in tempo a vedere a causa della sua precoce scomparsa.

Carlo Levi nel 1974 raccolse nove di questi racconti attribuendo al volume il titolo del primo e più ampio Uno si distrae al bivio – che in questa edizione Mondadori compare con il titolo Ramorra. I «bivi» rappresentano le innumerevoli alternative possibili di vita, di azione, di scrittura; le scelte che si presentano come necessarie e che consentono oggi di analizzare la figura dell’autore, la cui formazione ideologica è attraversata da turbamenti e da un groviglio di sentimenti che testimoniano del suo travagliato passaggio dall’adolescenza all’età matura. Non solo l’opera propria e le proprie scelte, ma anche il contemporaneo mutare del mondo portano al camminare obbligato con le proprie gambe. Scotellaro aveva 19 anni quando scriveva Ramorra, e “al bivio” si diramano le strade da evitare o da seguire e sta a simboleggiare l’adolescenza, il breve momento che precede ogni decisione, sia essa accettazione o rifiuto. Dice Ramorra:

«Numerose strade mi chiamano. Io resto al bivio ostinato a non mettermi per nessuna di quelle strade, se il ciclo della mia gioventù prima non si conclude e non resta documentato, glorificato.»

E poco più avanti, incontrando un vecchio:

«Dite buon uomo – chiese – sempre ritornando dove posso arrivare? E quegli senza scomporsi: E dimmi, figlio mio, sempre andando avanti io dove vado a finire?».

Scotellaro ci conduce a percorrere i sentieri intricati che attraversano la giungla delle infinite possibilità che sono dentro di noi, indicando gli archetipi di una tumultuosa giovinezza. Le gambe si muoveranno da sole al termine del ciclo della gioventù costellato di simboli ancestrali ai quali si adattano e partecipano tutte le immagini del racconto. E in ogni simbolo ravvisiamo concreti i fatti reali: le vicende che appaiono come simboliche sono in realtà già tutte avvenute e persino sogni e immaginazioni si coagulano in una realtà nella quale traspare la profonda amarezza della vita e della condizione contadina.

In questi racconti possiamo quindi identificare la prefigurazione di tutto quello che è stato in seguito Rocco Scotellaro: quello che ha pensato e scritto, la sua azione di sindaco, di studioso, di poeta. Se guardiamo oggi alla breve esistenza dell’autore come a un tutto unico, inscindibile e inseparabile, e ne vediamo il valore innovativo, creativo e rivoluzionario, non possiamo tuttavia non renderci conto del punto di partenza, che questi racconti indicano con efficacia, di un percorso impervio ma entusiasmante e che potrebbe essere adesso di stimolo, per chi quella strada deve oggi iniziare a percorrere, a non distrarsi per poter al meglio scoprire, creare, esprimere la nuova realtà nella quale svolgere la propria esistenza.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Tutti d’accordo: per le tre di mattino sarebbero arrivati sotto casa il compare Giuseppe, sua moglie, con l’asina. Essi, che dovevano a quell’ora levarsi per arrivare per tempo in una contrada presso la stazione, si offrirono ad accompagnare me e mia madre che si scendeva alla stazione per farci prendere il treno.
Caricarono i nostri bagagli sull’asina. Ma pure a quell’ora un altro compare mette a disposizione due ragazzi suoi e due muli perché ci scortassero. I ragazzi, Ninuccio aveva 18 anni e Paolo un po’ meno, tardavano a svegliarsi. Ninuccio soprattutto che avrebbe anche lui preso il treno per andare la prima volta in città. Giuseppe, il compare, era impaziente. Alle quattro, massimo, bisognava avviarsi per fare in tempo, alle sette, a prendere il treno: «Mentre» si affannava a dire, «la corriera parte alle sei meno poco, noi dovremo arrivare prima, prendendo scorciatoie una dopo l’altra».
Finalmente Paolo scese da casa nella stalla a prendere i muli, poi scese Ninuccio, tardo con le mani sugli occhi.
Ci avviammo. Il padre di Ninuccio e di Paolo, dietro il nostro corteo, raccomandava il muletto a Paolo, gridando forte di non montarlo, di non metterlo a galoppo. Svoltammo senza guardare nessuno le finestre tappate di ombra calda che si sarebbero aperte dopo molta strada.

Scarica gratis: Racconti di Rocco Scotellaro.