Prete poco, Biografia.
di
Caterina Percoto
tempo di lettura: 13 minuti
Pre-poco, così chiamavasi per dileggio un povero prete che visse cinquanta e più anni nella nostra parrocchia, una creatura che pareva nata per essere il paria della società, tant’era il disprezzo di cui fu colmato tutto il tempo della lunga sua vita. Sono ora due anni ch’egli riposa nel cimitero, e sarebbe difficile trovare il suo tumulo, ch’egli non ha lasciato alcuno che lo bagnasse di lagrime, o che vi spargesse un fiore od una preghiera. Visse non consolato d’amicizia nessuna, nè lasciò eredità di affetti. Ho visitata per caso la piccola cameruccia ch’egli abitava. Chiusa tra quelle quattro mura come in una scatola di pietra visse anni e anni un’anima, e pensava, e i suoi pensieri non sono caduti in nessun’altra anima: simili a ruscello che rientra in sè stesso, simili a favilla che si spegne in grembo alla stessa cenere dove fu accesa, essi sono nati e morti nel cranio di cotest’uomo senza che nessuno li scrutasse. Chi sa quali gioie romite, quai sogni, quai fantasmi ei vide dispiegarsi l’un dopo l’altro sulle brune pareti di questa povera cameretta! Chi sa quai dolori, e quante lacrime furono qui versate!
È una notte freddissima: dalle fessure degli usci e dalle impòste delle finestre s’ode un sibilo acuto: è il vento di dicembre che turbinando percorre la nuda campagna e a grandi ondate viene a rompersi nelle muraglie. Mi sono svegliata, ho acceso il lume e in queste ore di solitudine e di sonno il pensiero mi dipinge la vita di questo povero prete. Nel rammemorarlo e investigarne le azioni e gli affetti, nel rintracciare, per così dire, il solco leggiero ch’egli ha lasciato su questa terra dalla quale scomparve, io provo una specie di piacere. La nostra anima gode nel contemplare le opere del Creatore; e sia che fermiamo lo sguardo sovra gli animali, sulle piante, sulle reliquie del passato, o sovra noi stessi, ci disfavillano da per tutto i raggi della sua sapienza; e colui che ritrasse nel marmo una fanciullina che raccolte sulla spiaggia del mare alcune conchiglie ne appressa una all’udito come in atto di spiarne la tenuissima vita, ci ha dato un’idea giusta di questa secreta compiacenza che emana dall’osservazione. Mentre seduta sul mio letto io sto qui delineando questa specie di bizzarra biografia, è facile che nessuna altr’anima si ricordi di lui. Eppure per più di cinquant’anni fu veduto invariabilmente intervernire alle sacre funzioni. Sempre nello stesso posto, cogli stessi arredi, questa figura singolare era l’ultima fra i ministri della Chiesa, e portava senza mai alterare la sua pacata fisonomia il disprezzo di che veniva continuamente caricato. Quand’io dopo sette anni di assenza ritornava dal collegio, trovai mutato il parroco, altri gli accoliti; le fanciulline mie coetanee, abbandonati i banchi della dottrina, sparse per la chiesa come tanti bei fiori già sbocciati, od altre in lor vece le cui fisonomie non aveva più mai vedute, e mille volti nuovi, e que’ che brillavan per giovinezza già appassiti, ed altri dispersi, e tutta quasi la popolazione cangiata. Solo quest’uomo era rimasto immobile al suo posto. Sette anni volati sul suo capo non avevano fatto che leggermente più pallida la sua faccia, e più bianchi i suoi radi capelli, e un po’ più grigia la sua vecchia sottana. Pareva che il tempo avesse solamente scolorata la forma, del resto come i pilastri dell’altare, come le statue che ne lo adornano, fra tanti rivolgimenti egli era ancora lo stesso. Vestito della còtta più gualcita e più povera, sia che uscisse dalla sacristia portando l’incensiere, o che a piedi dell’altare inginocchiato servisse la Messa, o che dopo la funzione dietro la turba dei preti attraversasse la navata di mezzo, i suoi occhi continuamente avvallati non guardavano che la terra, o, per meglio dire, pareva che immobili a tutti gli oggetti circostanti non avessero più la forza di accorne l’immagine. Anche la sua voce era in disaccordo cogli altri suoni come quella di un sordo per cui tutta la natura è muta. Quando nei vespri della Domenica cantava, al suo solito, l’ultima delle Antifone, le parole rotte, ineguali e in un accento come straniero, parevano il suono di una campana appesa a sterminata altezza a cui un vento furioso rapisce la voce appena creata. Avresti detto che dinanzi alla mente di quell’uomo stava fitta una memoria di altri luoghi, e di altri tempi, e che alle sue orecchie suonavano altre armonie, per cui era impotente a mettersi all’unisono della realtà che lo circondava. Era come l’assetato di Dante che in mezzo ai tormenti dell’inferno vedeva continuo i freschi pratelli e i rivoletti del Casentino. Ma quali esser potevano coteste memorie? Era venuto ad abitar qui fin dalla sua prima giovinezza, nè più mai dopo, che si sappia, uscì di parrocchia. Menava una vita precisamente di chiesa e casa. Un suo zio che gli aveva fatto il patrimonio, e che morì cappellano del villaggio, gli aveva lasciato in eredità alcuni campi e la casuccia dov’era la cameretta in cui dimorava. Nessuno gli prestò mai il minimo servigio. Viveva, come il più austero anacoreta, di erbaggi senza condire, o di qualche frutto, o di patate e di rape ch’egli solo abbrustolava sul suo picciolo caminetto. Nessuno gli vide mai in dosso un abito nuovo. Quelli che portava, erano di sì vecchia data e cotanto smontati di colore, che lo avresti preso per uno di quegli antichi ritratti dei nostri nonni, a cui il tempo ha rosicchiate le tinte. Dormiva su di un saccone di paglia, ed aveva un tal guanciale che meglio una pietra. Quella casuccia dov’egli abitava, è situata quasi dietro la chiesa nel vicolo più deserto e più melanconico del villaggio. Non vede quasi mai sole; e di questa stagione solamente dopo mezzo giorno, quando egli ha superato il culmine della chiesa, le getta una zona di luce che si rompe in angolo dall’ombra del campanile.
Io mi ricordo d’averlo veduto una volta che sedeva leggendo sul breve pianerottolo a cui appoggia la scala esterna di legno, che mette nella sua camera; aveva gli occhiali; scoperta la fronte: pareva che fosse profondamente assorto, non tanto nella lettura, come in qualche grande pensiero ch’ella gli avesse risvegliato; e nella sua faccia pallida, e nelle sue labbra semiaperte ed immobili v’era un senso di tranquillo dolore, come quello d’un uomo che ha ricevuto un gran torto di cui sdegna lagnarsi, o di chi tradito dalla fortuna senta morirsi in cuore una speranza lungamente vagheggiata. Mi par ancora di vedere in cima a quella rozza scaletta quella figura meditabonda, quell’ampio librone e il dolce riverbero del sole che dorava la muraglia. La fantasia me ne dipinge un quadro colla sottoscritta – annos eternos in mente habui.
La quaresima insegnava catechismo ai fanciulli, e anche via per l’anno nelle Domeniche dopo la messa parrocchiale addottrinava i più bamboli, assisteva immancabilmente a tutte le funzioni, eccetto a funerali ed a quelle dov’è annessa limosina; per altro, se moriva un mendico, era questo prete che sulla sua fossa pregava per carità. Non celebrava: e narravano che lo avesse fatto solo otto giorni quando fu consacrato sacerdote, e un’altra volta in un’epoca più tarda per condiscendere al parroco defunto, uomo di rara pietà e santa discrezione che fra noi ha lasciato una memoria ogni giorni più benedetta e più cara; ma poi fu veduto restituire la limosina ai devoti che gli avevano commesso il sacrificio, e quando si lasciò ridurre a nuovamente dir messa, si accostò all’altare tremando, patì tanto, e pianse, ed era così annichilito, che il buon parroco non glie ne parlò più mai, avendo compreso che era pena superiore alle sue forze. Talvolta il Giovedì santo s’accostava alla comunione cogli altri sacerdoti. Più sparuto del solito, egli veniva all’altare in atto così umile e così contrito, che non era possibile guardarlo senza sentirne commozione. Pareva che compreso della sua nullità si tenesse indegno d’appartenere al clero, o che la memoria gli rinfacciasse qualche gran colpa commessa, o che nel suo cuore ci fosse qualche tremenda passione cui non valevano a domare nè gli anni, nè li patimenti, nè la vita orribile a cui si era spontaneamente condannato. Presso il volgo, questo suo non dir messa, e non essere mai progredito d’un passo nella carriera sacerdotale, gli valeva dispregio: aggiungi che la gente giudica spesso dall’esterno anche la capacità morale; ed egli esile e meschino della persona, vestito all’antica, di panni scolorati, con un rancido cappello ch’era sempre lo stesso, senza amici od aderenze di sorta, si era guadagnato il soprannome di Pre-poco, e veniva pubblicamente canzonato, e la sua vita austera si diceva sordida avarizia, e nessuno si faceva scrupolo di deriderlo e recargli molestia. Dopo la morte del parroco suo protettore, questi dispregi crebbero a tale, ch’ei più non comparve in canonica nei giorni d’invito al clero, come soleva per lo innanzi. Forse ch’egli comprese, che la sua età avanzata, il suo silenzio, la sua costante malinconia lo rendevano esoso, e potevano turbare il lieto umore degli altri; e visse più solitario e più ritirato. Vi fu perfino chi negli ultimi suoi anni, quando perduto ogni vigore, infermiccio e cadente strascinavasi a stento alla chiesa, e il tremolante suo capo pareva implorare il riposo del sepolcro, vi fu chi ardì deriderlo in un’oscena canzone, che cantavasi per le vie, e forse ferì le orecchie del vecchio moribondo. Questa fu l’ultima goccia del tremendo suo calice! e allora che disteso sulla paglia del suo miserabile giaciglio chiese di venir consolato da quel Signore ch’è padre anche degli sfortunati, fu visto raccogliere tutte le sue forze per inginocchiarsi a riceverlo, e stese la mano a’ suoi offensori, e pregò pace e perdono a tutti i fratelli; quella pace e quel perdono che a lui gli uomini non concessero. Oh! se quel tale avesse meco visitata la sua cameretta pochi giorni dopo la sua morte, ed avesse letto sulla sua scrivania, tra le pagine d’una vecchia bibbia che appariva in più luoghi logorata, questa nota scritta di suo pugno fin dagli anni suoi giovanili, come rilevasi dalla data 1784!
«Per guarire….
«Alzarmi invariabilmente ogni giorno alle quattro del mattino:
«Recitare l’Uffizio, leggere un capo del Kempis, poi due ore di meditazione, indi in Chiesa ad assistere alla Santa Messa.
«Nei giorni che non si fa dottrina, e il tempo che avanza dalle funzioni sacre occuparmi in qualche lettura divota.
«Dopo pranzo studiare la bibbia, poi di nuovo due ore di meditazione.
«La sera leggere in ginocchio sino alle dieci.
«A mezza notte alzarmi per recitare i salmi e piangere a’ piedi del Crocifisso.»
Oh! se avesse veduto dinanzi al suo oratorio logorato il suolo a forza di starvi inginocchiato, e cangiato il colore del tavolino su cui era piantata la croce dalle tante lacrime versate, e avesse pensato un momento all’anima che visse lì sepolta cinquanta e più anni, e lottò tutto quel tempo contro un pensiero od un affetto che doveva essere più potente della sua volontà…. oh! invece di deriderlo, l’avrebbe facilmente compianto! Negli scaffali della sua libreria v’erano molte opere de’ Santi Padri, v’era la Somma dell’Angelico, le Confessioni di Sant’Agostino, v’era un piccolo libercoletto tutto sdrucito, la Lettera di San Girolamo a Nepoziano. Vidi un libro di conti dove appariva che tutti i suoi risparmi servirono ad estinguere un debito incontrato dallo zio per mantenerlo nel collegio de’ Somaschi a Cividale, e per costituirgli il patrimonio. Pochi giorni prima della sua morte, si parlava in paese di un lascito alla Compagnia di Gesù, per cui diventava probabile che se ne erigesse in Cividale una Casa; e sul suo oratorio era spiegata una copia della famosa bolla di Clemente XIV.
V’era in più luoghi di suo pugno sul muro inciso il nome di Premariaco villaggio del quale egli era oriundo. Ciò mi fece venir l’idea di visitarlo. Partii sull’alba della mattina susseguente. Attraversava le liete prateríe che si stendono all’oriente delle colline di Buttrio, udiva il fremito del Nadisone che le taglia, senza poter vederne le acque, chè l’alveo scende lì assai profondo e le rive gremite di erba dinanzi alla vista si uniscono e fanno tutta una spianata. Il villaggio è ameno per molta verzura, e per le tante selvette di pioppi che fanno argine alle acque. Due passi fuori dell’abitato sta un piccolo ponte eretto su due macigni che si sporgono incontro, e tra cui sepolto come in un abisso, passa mugghiando con grand’impeto tutto il torrente. Ei viene dall’antica Cividale dritto come freccia. Presso Premariaco si frange ad un creto, s’allarga e forma una spezie d’oasi di ghiaja minutissima che fa parer più verdi le macchie dei giunchi silvestri, e dei saliceti onde è cinta; poi fatto un angolo acuto e tutto in sè ristretto, si precipita sotto il ponte e si perde in mille zampilli tra un’immensa congerie di cretaglia ch’egli ha smosso dalle sponde e che per lungo tratto ingombra il suo letto. Que’ grebbani si dispiegano alla vista in forme svariate e bizzarre. Surgono alcuni in piramide, altri pendenti dalle rive paiono pronti a precipitare: ve n’ha di piatti, pensili sull’onda sotto cui s’interna ampio cavo che pare una grotta, altri, piombati nel mezzo, fanno isolette su cui vive ancora qualche annosa pioppa che nella caduta s’è piegata e con parte dei rami lambe la corrente. Uno ve n’è nel bel mezzo che s’erge come campanile ed ha la testa forata, e sulla pigna cresce un virgulto; altri tutti nudi ed irti di punte stanno accavalciati ed infranti, e le acque chiuse nel loro grembo formano pozzi che dal cupo verdastro giudichi profondissimi. I nativi chiamano questo luogo Businot, nome che in friulano indica l’assordante fragore che manda, e i qui nutriti hanno nella loro pronunzia alcun che dell’aspro di cotesto fragore. Pre-poco ne conservò l’accento fino alla morte. Non gli valse a dimenticarlo nè la lunga dimora in Coteggio, nè la vita menata tutta fuori di patria. Quest’uomo che qui ha passato gli anni della sua prima gioventù, che avrà mille volte errato a diporto su coteste rive e custodito il gregge pei pratelli che le inghirlandano, che nella sua oscura cameretta su tutte le pareti ne segnava il nome, facilmente doveva aversele sempre dinanzi. Qui forse egli gustò qualche rapida gioia che gli si volse in lutto dall’ambizione di chi gli strappò di mano la verga per sostituirgli la penna. Guardando dal ponte l’umile casuccia dov’egli nacque, pensai alle speranze tradite de’ suoi poveri genitori. Era figlio unico. – Avranno raggranellato tutti i loro risparmi per unirli a quelli dello zio, e farne un giorno o l’altro un bravo piovano presso cui trarne nell’opulenza gli ultimi loro anni. Donna Tomasa sua madre chi sa quanti bei sogni avrà fatto, quando sel vide la prima volta dinanzi vestito degli abiti clericali! Doveva essere stata un’epoca, nella quale questo povero prete tanto disprezzato brillava per leggiadria e lindura, e forse anche per acutezza d’ingegno. Rivelavano il primo le stesse sdruscite sue vesti non mai rinnovate, poichè faceva d’uopo che fosse assai ricco il suo mobile, se durò quasi sessant’anni; in quanto al secondo, nato contadino fu posto in un collegio rinomato, disse messa giovanissimo, e i libri che leggeva bastano a farci comprendere che la sua mente doveva valere alcun che di più dello zero. Una catastrofe successe in quest’anima che tarpò tutti i suoi voli, e la ridusse ad aspettare la fine senza più fare un passo nella vita.
Vi sono degli uomini che sanno vivere a seconda degli eventi, che cangiano amici ed opinioni colla stessa facilità con cui si cangia di camicia; degli uomini che tengono schiava la fortuna, e che in ogni posto del mondo sanno crearsi un Eden che li circonda di beni; ma ve n’ha anche degli altri il cuore dei quali una volta piagato non guarisce più mai, e per cui un affetto è come un destino. Il mondo li chiama pazzi. Questa parola toglie di più vederne i patimenti, ed è come la pietra che si getta in bocca al sepolcro e che nasconde il cadavere. Forse il mondo ha ragione, ma mi perdonerà, se io li compiango.
Fine.
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TITOLO: Prete poco, Biografia
AUTORE: Caterina Percoto
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Racconti / di Caterina Percoto - Firenze : F. Le Monnier, 1858 - 553 p. ; 19 cm.
SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)