Novelle per un anno di Luigi Pirandello
Scrivere un commento su un’opera colossale come questa è praticamente una sconfitta in partenza. Le novelle, se debitamente cintellinate, durano davvero un anno o quasi, e mi hanno fatto compagnia per molti mesi. Un particolare grazie va alla mirabile lettura di Gaetano Marino nel podcast di Quartaradio ed al supporto ebook di Liber Liber, entrambi usufruiti gratuitamente.
Le novelle sono geniali, ovviamente non mi sono piaciute tutte allo stesso modo ma “storie morte” non ce ne sono…tutta la raccolta è a livelli letterari altissimi, sia per la qualità dei concetti espressi sia per lo stile con cui sono esposti.
Man mano che ascoltavo i podcast evidenziavo passaggi e mi appuntavo commenti sull’ebook con l’intenzione di copiarne qui le citazioni, citazioni che non potrò riportare completamente vista la grossa mole e visto che voglio scrivere un commento e non una tesi!
Tra tutte le novelle quella che mi ha colpito forse maggiormente è “In trappola”, forse più di altre perché sviscera in modo spietato il problema della morte, dell’agonia, del fine vita… ma non solo, fa una riflesione terribile sulla vita stessa e su come la morte ne faccia parte già dal momento in cui veniamo alla luce…questa novella da sola è un libro.
CITAZIONEDA In trappola da «Novelle per un anno».
«La vita è il vento, la vita è il mare, la vita è il fuoco; non la terra che si incrosta e assume forma.
Ogni forma è la morte.
Tutto ciò che si toglie dallo stato di fusione e si rapprende, in questo flusso continuo, incandescente e indistinto, è la morte.
Noi tutti siamo esseri presi in trappola, staccati dal flusso che non s’arresta mai, e fissati per la morte.» «Io mi sento preso in questa trappola della morte, che mi ha staccato dal flusso della vita in cui scorrevo senza forma, e mi ha fissato nel tempo, in questo tempo!»
«No, no, non so, non voglio rassegnarmi a dare anch’io lo spettacolo miserando di tutti i vecchi, che finiscono di morir lentamente»
«Questo è mio padre.Da sette anni, sta lí. Non è più niente. Due occhi che piangono; una bocca che mangia. Non parla, non ode, non si muove più. Mangia e piange. Mangia imboccato; piange da solo; senza ragione; o forse perché c’è ancora qualche cosa in lui, un ultimo resto che, pur avendo da settantasei anni principiato a morire, non vuole ancora finire.» «Non ti sembra atroce restar cosí, per un punto solo, ancora preso nella trappola, senza potersi liberare?»
Altro esempio di novella che da sola è un romanzo è “La morte addosso”, conosciuta come “L’uomo dal fiore in bocca”, capolavoro che ho avuto anche la fortuna di vedere a teatro dal vivo recitata da Michele Placido ed in tv recitata da Vittorio Gassmann…
CITAZIONE da La morte addosso da «Novelle per un anno».
«Io le dico che ho bisogno d’attaccarmi con l’immaginazione alla vita altrui, ma cosí, senza piacere, senza punto interessarmene, anzi […] anzi […] per sentirne il fastidio, per giudicarla sciocca e vana, la vita, cosicché veramente non debba importare a nessuno di finirla. E questo è da dimostrare bene, sa? Con prove ed esempii continui a noi stessi, implacabilmente. Perché, caro signore, non sappiamo da che cosa sia fatto, ma c’è, c’è, ce lo sentiamo tutti qua, come un’angoscia nella gola, il gusto della vita, che non si soddisfa mai, che non si può mai soddisfare, perché la vita, nell’atto stesso che la viviamo, è cosí sempre ingorda di sé stessa, che non si lascia assaporare. Il sapore è nel passato, che ci rimane vivo dentro. Il gusto della vita ci viene di là, dai ricordi che ci tengono legati. Ma legati a che cosa? A questa sciocchezza qua […] a queste noje […] a tante stupide illusioni […] insulse occupazioni […] Sí sí.»
Come ho scritto all’inizio è una causa persa recensire queste novelle, qualsiasi cosa potessi aggiungere per magnificarle risulterebbe sempre insulsa al loro cospetto; certe mi hanno colpito per la loro drammaticità , altre per la loro ironia, alcune mi hanno fatto piangere ed arrabbiare, alcune ridacchiare sotto i baffi, una cosa però le accomuna tutte, contengono quella verità universale che cambia di forma ma non di sostanza nel corso dei secoli, in tutte emerge quel seme di genio dell’autore che gli permette di vedere più della gente comune e di saperlo esprimere a parole in modo egregio.
Riporto qui alcune citazioni sparse, conscia che sono riduttive e che l’unica citazione davvero consona sarebbe ricopiare pari pari tutte le novelle per intero. Ovviamente vi invito a leggerle, ascoltarle, masticarle, rileggerle…Queste opere sicuramente non rasserenano ma ci fanno capire la vita.
«io stesso avevo già sperimentato, tutto quel giorno, che non hanno alcun fondamento di realtà quelli che noi chiamiamo i nostri ricordi. Quel povero dottor Palumba credeva di ricordare […] S’era invece composta una bella favola di me! Ma non me n’ero composta una anch’io, per mio conto, ch’era subito svanita, appena rimesso il piede nel mio paesello natale? Gli ero stato un’ora di fronte, e non mi aveva riconosciuto. Ma sfido! Vedeva entro di sé Carlino Bersi, non quale io ero, ma com’egli mi aveva sempre sognato.»(I nostri ricordi da «Novelle per un anno”)
«Da una ventina d’anni il Colacci si alza a ogni fine di seduta per inneggiare alla Scienza, per inneggiare alla luce, mentre i lumi si spengono, e propone la sospensiva su ogni progetto, in vista di nuovi studii e di nuove scoperte. Cosí noi siamo salvi, amico mio! Tu puoi star sicuro che la Scienza, a Milocca, non entrerà mai. Hai una scatola di fiammiferi? Cavala fuori e fatti lume da te.» (Le sorprese della scienza da «Novelle per un anno»)
«Chi vuole, caro signore, che capisca un’acca della sua commedia, tra tutta questa gente qui? Non se ne curi, però. Basterà si sappia che lei l’ha letta nel salotto intellettuale della Venanzi. Ne parleranno i giornali. Il che, al giorno d’oggi, vuol dire tutto.»
« «E che vita è mai quella ch’egli vive? Una continua stomachevole finzione! Non uno sguardo, non un gesto, non una parola, sinceri. Non è più un uomo: è una caricatura ambulante. E bisogna ridursi a quel modo per aver fortuna, oggi?» Sentiva, cosí pensando, un profondo disgusto anche di sé, vestito e pettinato alla moda, e si vergognava d’esser venuto a cercare la lode, la protezione, l’ajuto di quella gente che non gli badava.» (Il sonno del vecchio da «Novelle per un anno»)
«Le bestie non premeditano. Se s’appostano, il loro agguato è parte istintiva e naturale della loro naturalissima caccia, che non le fa né ladre né assassine. La volpe è ladra per il padrone della gallina: ma per sé la volpe non è ladra: ha fame; e quand’ha fame, acchiappa la gallina e se la mangia. E dopo che se l’è mangiata, addio, non ci pensa più.» (La distruzione dell’uomo da «Novelle per un anno».)
« Il male era che non comprendevo che altro è ragionare, altro è vivere. E la metà, o quasi, di quei disgraziati che si tengon chiusi negli ospizii, non sono forse gente che voleva vivere secondo comunemente in astratto si ragiona? Quante prove, quanti esempii potrei qui citare, se ogni savio oggi non riconoscesse tante cose che si fanno nella vita, o che si dicono, e certi usi e certe abitudini esser proprio irragionevoli, dimodoché è matto chi li ragioni.» (Quand’ero matto da «Novelle per un anno»)
««Quell’essenza?» pensò adesso. «Che vuol dire? Quella certa cosa “che è”, innegabilmente, per la quale io, mentre sono vivo, differisco da me quando sarò morto. È chiaro! Ma questa essenza dentro di me è per se stessa o in quanto io sono? Due casi. Se è per sé, e soltanto dentro di me si rende cosciente di se stessa, fuori di me non avrà più coscienza? E che sarà dunque? Qualche cosa che io non sono, che essa medesima non è, finché mi rimane dentro. Andata fuori, sarà quel che sarà […] seppure sarà! Perché c’è l’altro caso: che essa cioè sia in quanto io sono; sicché, dunque, non essendo più io […]»» (L’illustre estinto da«Novelle per un anno»)
«Compresi ch’era la mano d’un malato povero, perché, quantunque accuratamente lavata come l’igiene negli ospedali prescrive, serbava tuttavia nella gialla magrezza un che di sudicio, indetersibile; che non è sudicio propriamente nella mano dei poveri, ma quasi la pàtina della miseria che nessun’acqua mai porterà via.»
“Levava di tanto in tanto sotto le coperte un ginocchio. La mano, dapprima inerte, si alzava con le dita tremolanti e quasi vagava su quel ginocchio levato, in una carezza intorno, che non era certo rivolta al ginocchio.”
«Povera mano, tu cosí gialla, cosí macra, con quel segno d’amore? Eh no! Di morte. Su un letto d’ospedale, non si sposa che in previsione della morte.» (La mano del malato povero da «Novelle per un anno»)
«Arrivò cosí ai sessant’anni.
Allora la tensione, in cui per tanto tempo aveva tenuto lo spirito, d’un tratto si rilasciò.
Marco Picotti si sentí placato. Lo scopo della sua vita era raggiunto.
E ora?
Ora poteva morire. Ah, sí, morire, morire: era stufo, nauseato, stomacato: non chiedeva altro! Che poteva più essere la vita per lui? Senza più quello scopo, senza più quell’impegno – stanchezza, noja, afa.
Si mise a vivere fuori d’ogni regola, a levarsi da letto molto prima del solito, a uscire di sera, a frequentare qualche ritrovo, a mangiare tutti i cibi. Si guastò un poco lo stomaco, si seccò molto, s’indispettí più che mai della vista della gente che seguitava a congratularsi con lui del buono stato della sua salute. L’uggia, la nausea gli crebbero tanto, che un giorno alla fine si convinse che gli restava da fare qualche cosa; non sapeva ancor bene quale; ma certamente qualche cosa, per liberarsi dell’incubo che ancora lo soffocava. Non aveva già vinto? No. Sentiva che ancora non aveva vinto»
«Quando si sparse in paese la notizia del suicidio di Marco Picotti, nessuno dapprima ci volle credere, tanto apparve a tutti in contraddizione col chiuso testardo furore, con cui fino alla vecchiezza s’era tenuto in vita.» (L’uccello impagliato da «Novelle per un anno»)
” Il valore della sua arte nuova, personalissima, s’è imposto, non già perché sia realmente compreso, ma perché l’imbecillità dei ricchi visitatori delle esposizioni d’arte è stata costretta dalla critica a fermarsi davanti alle sue tele. La critica? Via, una parola, la critica! Una parola che non vive, se non nei calzoni d’un critico. » (Candelora da «Novelle per un anno»)