Paura
di
Luigi Capuana
tempo di lettura: 7 minuti
Invano il babbo diceva a Masino:
— Non bisogna aver paura di niente!
Masino aveva paura di tutto, specialmente quando trovavasi solo in qualche stanza dov’era entrato credendo che vi fosse qualcuno. Vedendosi là solo solo, senza nessuna ragione cominciava a urlare pestando i piedi, coi pugni su gli occhi, tremante come una foglia:
— Sciocco, perchè urli? Che è stato?
— Niente, — egli piagnucolava. — Ero solo!
— E avevi paura, al solito! Ma di che? Chi ti poteva far male qui? Le seggiole, la poltrona, i tavolini? Chi? Parla!
— Mi era parso…
— Che cosa?
Non gli era parso niente, ma oramai aveva preso quell’aire, quell’abitudine di montarsi la testa con la fantasia d’un pericolo ignoto, appena vedeva che non c’era lì pronto nessuno che potesse difenderlo; e si metteva a tremare e a urlare.
Zina, sua sorella e minore di anni di lui, invece era coraggiosa, quasi audace per la sua età e si faceva beffe di Masino e gli dava del poltrone, come aveva inteso chiamarlo al babbo. Quando Masino era cattivo con lei, ella lo minacciava:
— Bada! Ti faccio una paura!
E gliela faceva quasi subito; e Masino ci cascava sempre, quantunque anticipatamente avvertito.
Da qualche tempo in qua, egli sentiva vergogna di questa sua debolezza, di questa sua inferiorità fin a una fanciulla minore di anni di lui; ma non riusciva a reagire contro la prima impressione. Ed era inutile che il babbo si sforzasse a fargli capire quanto male poteva produrgli quella viltà indegna di un ragazzo, d’un uomo, come lo adulava il babbo per correggerlo.
— Non bisogna aver paura di niente; anche quando uno si trova di fronte a un pericolo certo. La paura turba la mente, impedisce di ragionare. Se un cane ti corre incontro per morderti e tu hai paura, che fai? Chiudi gli occhi, rimani lì impalato, e il cane ti piomba addosso e ti morde fortemente. Se la paura non ti avesse turbato, avresti pensato al modo di evitarlo, di difenderti, e non saresti stato morso. Capisci? Quella stanza è al buio, bisogna traversarla. Tu sei certo che lì non c’è nessuno, che i mobili e l’aria non possono farti male: di che cosa hai paura dunque?
— Di nulla… Ma… ho paura! — confessava Masino ingenuamente.
Allora il babbo pensò di guarirlo procurandogli a posta delle paure, e facendogli, dopo, osservar da vicino gli oggetti che lo avevano impaurito.
Erano in campagna per la villeggiatura. Verso sera lo prendeva per una mano e lo conduceva a traverso i campi. Di tratto in tratto, come si faceva più buio, il babbo sentiva che Masino gli stringeva la mano più forte e gli si teneva attaccato ai panni, o faceva un movimento quasi per accostarsi.
Al lume di luna, i tronchi degli alberi, i massi prendevano aspetti strani.
— Guarda lì; quel tronco non pare un animale? Avviciniamoci. Dov’è più l’animale, il mostro? E tu hai avuto paura, quantunque io sia con te. I tronchi, che male possono farti?
Masino taceva. Aveva avuto davvero paura di quel sembiante di animale, di mostro che pareva li attendesse al passaggio; e quasi non sapeva persuadersi che la figura vista da lontano fosse proprio quella stessa che ora vedeva da vicino.
E il babbo lo trascinava avanti pel silenzio della campagna.
— Guarda lì.
Dal tremito della mano del ragazzo, egli aveva indovinato.
A pochi passi da loro, sembrava vi fosse una persona accoccolata in atteggiamento minaccioso.
Si vedeva la faccia, gli occhi, il naso, i vestiti, il bianco della camicia… ed era un sasso che al lume di luna, per uno scherzo di luce e di ombra, assumeva sembianze umane, atteggiamento umano.
Masino spalancava gli occhi e seguiva, un po’ riluttante, il babbo che lo costringeva ad avvicinarsi colà.
— Capisci? È un sasso. Vedi che cosa è il naso? Questa piccola sporgenza; questi, son gli occhi, due buchi pieni d’ombra. Se tu fossi stato solo, avresti gridato; saresti forse scappato via; davanti a chi? Davanti a un sasso inerte! Bella figura avresti fatto!
Masino taceva, meravigliato che quel sasso, visto a distanza, potesse prendere così preciso aspetto di uomo accoccolato, che vuol nascondersi.
Il babbo gli faceva ripetere la prova.
— Capisci? Ora tu sai che quello è il sasso che hai visto da vicino; eppure, da qui, torna a sembrare un uomo col naso, con gli occhi e ogni cosa. Ma è sempre quel sasso. Capisci?
E gli raccontava che una volta, da giovane, era stato illuso anche lui da uno di quegli scherzi di luce e d’ombra.
Aspettava, davanti una chiesuola, un amico che era salito a fare un’imbasciata nella casa vicina. C’era un plenilunio meraviglioso; l’ombra della chiesetta si proiettava fino a metà del largo; e lì di faccia, le casupole erano inondate di luce quasi come in pieno giorno. Una di quelle casupole aveva una scala esterna. Aspettando l’amico, egli vedeva su per la scala una donna fermatasi a guardare, con un piede poggiato per salire, e con in testa un fagotto di panni sorretto da un braccio. L’amico tardava, e la donna non si muoveva; pareva incantata dalla curiosità. All’ultimo, seccato di quell’insistenza, egli aveva rivolto la parola a colei: — Che sta a guardare? — La donna non si mosse e non rispose. — Che sta a guardare, dico? Vada pei fatti suoi. — La donna non si mosse e non rispose. Indispettito, si accostò, minacciandola con la mazza … Era il muro! Una strana combinazione di sassi, di mattoni, di gesso screpolato producevano, a poca distanza, la completa illusione di quella figura femminile. C’era da strabiliare. E non era stata un’illusione dei suoi occhi soltanto. Quando l’amico ritornò, egli, additandogli il muro, gli disse: Guarda! E anche colui vedeva la donna, sul muro inondato dal lume di luna. E stettero lì più di mezz’ora, avvicinandosi, scostandosi, meravigliati che un miscuglio di sassi d’ogni colore, di mattoni e di gesso screpolato potesse produrre quel meraviglioso effetto pittorico. Se non si fossero accostati, sarebbero rimasti nell’illusione di avere visto proprio una donna fermatasi a mezza scala, per curiosità, a guardare.
Dopo un mese di passeggiate di questa natura, Masino si sentiva scosso, convinto della propria sciocchezza, ma… C’era un gran ma. Alla prova, quando il babbo non era con lui, la paura tornava ad afferrarlo. Ora però ci ragionava un po’ sopra, ma aveva paura egualmente.
Occorse un caso straordinario e che gli effetti della irragionevole paura fossero gravi, perchè egli vincesse completamente quella sua debolezza.
E il caso fu questo.
Una sera di ottobre, la famiglia era radunata in salotto. La mamma lavorava con l’uncinetto, il babbo leggeva il giornale. Masino e Zina si divertivano a guardare le incisioni del Don Chisciotte, del Dorè, comprato dal babbo la mattina.
Tutt’a un tratto, il babbo disse a Masino:
— Apri l’imposta del balcone, fa troppo caldo qui.
E Masino corse ad aprire e si affacciò per guardare nella via.
Un urlo di spavento! E il ragazzo si precipitava nella stanza, pallido come un cadavere, convulso. Per un pezzetto non ci fu verso di cavargli di bocca una parola. Poi cominciò a balbettare:
— Un mostro!… Un gigante!… È apparso ed è sparito!
— Ma che mostro? Che gigante? Sciocco, vieni a vedere!
Questa volta Masino resisteva e urlava tanto, che il babbo volle prima affacciarsi per capire di che cosa si trattasse.
E per poco non ebbe paura anche lui.
A pochi passi un’ombra grigia, grande, gigantesca gli si era rizzata davanti. Ma il babbo capì subito.
C’era una nebbia fitta; affacciandosi al balcone, il lume dal tavolino proiettava l’ombra della persona su la nebbia, ingrandendone smisuratamente le proporzioni. Pareva proprio di avere dinanzi un gigante.
Il babbo rise e chiamò Zina e la moglie perchè osservassero anche loro il bizzarro fenomeno. Zina si divertiva, batteva le mani, faceva delle mosse con la testa e con le braccia per vederle ripetute dall’ombra, e chiamava Masino.
— Vieni a vedere! Com’è bello!
Masino allora si lasciò trascinare dal babbo al balcone, dopo che ebbe ben spiegata l’apparizione gigantesca, e si divertì anche lui a far mosse con la testa e con le braccia.
Ma il colpo della paura aveva già prodotto il suo cattivo effetto. Masino si ammalò gravemente. Quando fu guarito dalla malattia, era però anche guarito dal vigliacco sentimento della paura. E quando gli capitava, ripeteva alla sua volta ai compagni:
— Non bisogna aver paura di niente.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Paura
AUTORE: Capuana, Luigi
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Il drago e Cinque altre novelle pei
fanciulli / Luigi Capuana. - 2. ed. - Torino : G. B.
Paravia, 1907. - 95 p. ; 20 cm.
SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)