Grazie ai volontari del Progetto Griffo è online (disponibile per il download gratuito) l’ePub Storia di una capinera di Giovanni Verga.
Tra i racconti di violenza della Sicilia post- unitaria, quello di Maria è indice di una società arretrata, povera e tradizionalista. La giovane Maria è una ragazza di tredici anni che, alla morte prematura della madre, viene votata alla vita monacale per volere della matrigna. Il padre infatti rimasto vedovo si unisce ad una donna spietata che, per favorire la figlia avuta da un precedente matrimonio, relega Maria ad una vita monacale. Far entrare Maria in convento, infatti, avrebbe permesso alla sorellastra di godere dell’intera ricchezza del patrigno.
La giovane novizia ama la sua famiglia, fino a quando non realizza la violenza che questa sta esercitando su di lei, ovvero non poter godere della sua vita a proprio piacimento e in ogni suo aspetto.
La rivelazione arriva quando, a causa di un’epidemia di colera scoppiata nel 1854 a Catania, la badessa ordina alle famiglie delle novizie di allontanarle dal convento e di riportarle a casa. Fuori dalla vita monacale, Maria assapora le emozioni di un mondo diverso da quello fino ad allora conosciuto. Infatti il convento era il suo unico punto di riferimento e da li derivavano tutte le sue esperienze. Si meraviglia delle cose più semplici e soprattutto scopre l’amore.
La gioia e la serenità, provati in quel breve periodo, si trasformano però in angoscia e ossessione quando Maria è richiamata dalla badessa. Combattono dentro di lei sentimenti contrastanti: l’amore per il giovane Nino e il voto promesso alla Chiesa, un padre sempre tanto amato che adesso però l’ha abbandonata. La sua colpa è quella di aver conosciuto ciò che fino a quel momento non le era stato permesso di saper e di ritrovarsi poi senza via d’uscita.
Il peso di tali turbamenti grava a tal punto sulla fragile psiche della novizia da farla precipitare nella pazzia, che è il modo più romantico che Verga ha per volgere la storia.
Sinossi a cura di Daniela Pescetelli.
Dall’incipit del libro:
Avevo visto una capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia ci guardava con occhio spaventato; si rifuggiva in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell’azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime. Ma non osava ribellarsi, non osava tentare il rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera. Eppure i suoi custodi, le volevano bene, cari bambini che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili. La povera capinera cercava rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva; non voleva rimproverarli neanche col suo dolore, poiché tentava di beccare tristamente quel miglio e quelle miche di pane; ma non poteva inghiottirle. Dopo due giorni chinò la testa sotto l’ala e l’indomani fu trovata stecchita nella sua prigione.
Era morta, povera capinera! Eppure il suo scodellino era pieno. Era morta perché in quel corpicino c’era qualche cosa che non si nutriva soltanto di miglio, e che soffriva qualche cosa oltre la fame e la sete.
Allorché la madre dei due bimbi, innocenti e spietati carnefici del povero uccelletto, mi narrò la storia di un’infelice di cui le mura del chiostro avevano imprigionato il corpo, e la superstizione e l’amore avevano torturato lo spirito: una di quelle intime storie, che passano inosservate tutti i giorni, storia di un cuore tenero, timido, che aveva amato e pianto e pregato senza osare di far scorgere le sue lagrime o di far sentire la sua preghiera, che infine si era chiuso nel suo dolore ed era morto; io pensai alla povera capinera che guardava il cielo attraverso le gretole della sua prigione, che non cantava, che beccava tristamente il suo miglio, che aveva piegato la testolina sotto l’ala ed era morta.
Ecco perché l’ho intitolata: Storia di una capinera.
Scarica gratis l’ePub: Storia di una capinera di Giovanni Verga.