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(voce di SopraPensiero)Grazie ai volontari del Progetto Griffo è online (disponibile per il download gratuito) l’ePub La bottega del caffè di Carlo Goldoni.
L’azione della commedia si avvia alle prime luci dell’alba di un mite mattino invernale in Venezia, durante il carnevale, per concludersi quando scende la notte.
Il caffettiere Ridolfo si sta prendendo a cuore la sorte del giovane mercante di stoffe Eugenio, che da qualche tempo frequenta assiduamente la casa da gioco di Pandolfo dove ha subíto molte perdite giocando a carte con Flaminio, un giovane torinese che si spaccia per nobile.
La moglie di Eugenio, Vittoria, cerca invano di far ravvedere il marito. Allo stesso scopo è giunta a Venezia da Torino la moglie di Flaminio, Placida, che, travestita da pellegrina, ignora la nuova identità assunta dal marito, ed è esposta alle insidie intessute da don Marzio.
Quest’ultimo è un nobile napoletano in decadenza, prepotente, ambiguo e chiacchierone, che prova piacere nel frapporre ostacoli al desiderio delle due mogli di ricondurre sulla retta via Eugenio e Flaminio; trova anzi modo di indurli a festeggiare la ritrovata libertà quando pensa di aver allontanato definitivamente le due donne, e unisce ai festeggiamenti la ballerina Lisaura che, ignara del fatto che Flaminio fosse già sposato, sperava di diventare sua moglie per poter cosí abbandonare il paese.
I tranelli di don Marzio e del biscazziere Pandolfo trovano un fiero oppositore nel caffettiere Ridolfo e nel suo garzone Trappola, che aprono gli occhi a Eugenio e a Flaminio: pentiti, i due si ricongiungono alle mogli, mentre Pandolfo è arrestato per truffa dopo un’involontaria rivelazione di don Marzio al capitano dei birri.
Il nobile napoletano viene accusato di essere uno spione e un diffamatore e, abbandonato da tutti, lascia la città.
Sinossi tratta da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/La_bottega_del_caffè_(Goldoni)
Dall’incipit del libro:
Quando composi da prima la presente Commedia, lo feci col Brighella e coll’Arlecchino, ed ebbe, a dir vero, felicissimo incontro per ogni parte. Ciò non ostante, dandola io alle stampe, ho creduto meglio servire il Pubblico, rendendola più universale, cambiando in essa non solamente in toscano i due Personaggi suddetti, ma tre altri ancora, che col dialetto veneziano parlavano.
Corse in Firenze una Commedia con simil titolo e con vari accidenti a questa simili, perché da questa copiati. Un amico mio di talento e di spirito fece prova di sua memoria; ma avendola uno o due volte sole veduta rappresentare in Milano, molte cose da lui inventate dovette per necessità framischiarvi. Donata ho all’amicizia la burla, ed ho lodato l’ingegno; nulladimeno, né voglio arrogarmi il buono che non è mio, né voglio che passi per mia qualche cosa che mi dispiace.
Ho voluto pertanto informare il Pubblico di un simil fatto, perché confrontandosi la mia, che ora io stampo, con quella dell’amico suddetto, sia palese la verità, e ciascheduno profitti della sua porzione di lode, e della sua porzione di biasimo si contenti.
Questa Commedia ha caratteri tanto universali, che in ogni luogo ove fu ella rappresentata, credevasi fatta sul conio degli originali riconosciuti. Il Maldicente fra gli altri trovò il suo prototipo da per tutto, e mi convenne soffrir talora, benché innocente, la taccia d’averlo maliziosamente copiato. No certamente, non son capace di farlo.
I miei caratteri sono umani, sono verisimili, e forse veri, ma io li traggo dalla turba universale degli uomini, e vuole il caso che alcuno in essi si riconosca. Quando ciò accade, non è mia colpa che il carattere tristo a quel vizioso somigli; ma colpa è del vizioso, che dal carattere ch’io dipingo, trovasi per sua sventura attaccato.