Il romanzo, edito in varie puntate tra il 1787 e il 1789 sulla rivista “Thalia”, da subito – ancor prima di aver ricevuto l’ultima mano dal suo autore – ebbe un enorme successo e fu ristampato più volte. Contribuì certamente alla favorevolissima accoglienza del pubblico, oltre alla fama del suo autore, letterato, filosofo, medico e storico, la presenza nell’opera di temi come la negromanzia, lo spiritismo, le cospirazioni. L’illuminismo era fondato sul predominio del razionalismo, tuttavia permaneva un “lato oscuro”. L’occulto era stato relegato nel regno dell’assurdo, ma l’avvento del romanticismo aveva liberato il fascino per il misterioso. Schiller era indubbiamente scettico come dimostra l’atteggiamento che egli tenne nei confronti del mesmerismo e dei metodi di terapia elettromagnetica. Egli spiegò nel suo trattato Del sublime (Über das Erhabene, 1801) i pericoli per l’immaginazione che può nascondere l’oscurità ed ecco perché, sostiene, la superstizione colloca tutte le apparizioni spettrali nella notte, nel buio. Tuttavia, a dispetto dell’autore, tale è stato il successo dell’opera che essa viene considerata un caposaldo della letteratura horror romantica o gotica, entrando a pieno titolo nel filone aperto nel 1764 da Il castello di Otranto (The Castle of Otranto) dello scrittore inglese Horace Walpole e proseguito con le opere di Clara Reeve, Ann Radcliff, Mary Shelley, E.T.A. Hoffmann e poi nel tempo Edgar Allan Poe e moltə altrə.
Ne Il visionario, ossiano Memorie del Conte di *** (Der Geisterseher, Aus den Memoiren des Grafen von O**) è raccontata l’oscura macchinazione ordita ai danni del Principe von ***, erede al trono di Curlandia – presumibilmente da identificarsi con le intricate vicende di successione nel ducato del Württemberg ‒, da parte di una società segreta che vuole convertire il principe protestante al cattolicesimo, assicurarandogli la corona nel suo paese per espandere anche lì la propria influenza.
L’opera si presenta come la narrazione della vicenda fatta da un amico del Principe, il Conte di ***, nella prima parte come racconto di vicende alle quali egli ha partecipato in prima persona, nella seconda parte come epistolario tra un fedele del Principe, Barone di F***, e il Conte stesso. La narrazione in prima persona per garantire l’autenticità degli eventi è un espediente che è stato successivamente spesso utilizzato nei racconti di fantasmi, come quelli di Edgar Allan Poe, Howard Phillips Lovecraft ed altri. L’uso invece della forma di epistolario, anche questa usata da moltissimi scrittori, aiuta a costruire una narrazione intermittente, a volte confusa, in cui la voce dei personaggi di primo piano è sempre mediata. Questo non fa che accrescere la suspense e moltiplicare l’immaginazione di lettrici e lettori.
La storia è ambientata a Venezia, nell’anno 17** in tempo di Carnevale. Il trentacinquenne Principe, è, in linea dinastica, il terzo erede al trono di Curlandia. Egli non è particolarmente interessato a questa successione, ma certo il pensiero insieme degli onori e delle responsabilità legate ad essa è il filo rosso che percorre carsicamente tutta la vicenda. Egli desidera rimanere incognito, assorto in un suo mondo fantastico, gode di uno scarso appannaggio ed è circondato da una minima e fidata corte. All’inizio dell’opera è descritto con un carattere sul quale regna “una profonda serietà ed una entusiastica melanconia”. Lo straordinario ossimoro anticipa lo svolgersi dell’opera nella quale sempre più si evidenzia il conflitto interno tra passione e moralità, inclinazione e dovere e dove gli ideali illuministi del Principe diventano una critica alla religione:
«Le cose di religione erangli sempre sembrate come un castello incantato, nel quale non s’inoltrano i passi senza ribrezzo e ripugnanza, e che si fa molto meglio passandovi oltre con rispettosa rassegnazione, senza esporsi al pericolo di smarrirsi tra’ suoi labirinti.»
Una gita sul Brenta diventa l’occasione per allestire una pericolosa congiura ai danni del Principe, ma la sua fede nella verità resta salda, e rimprovera il Conte di ***:
«Un tal uomo, che forse non ha mai detto una verità per amor di essa, merita egli fede allorché fa testimonianza contro l’umana ragione, e l’ordine eterno di natura? […] Voi dunque avete meno ripugnanza a credere il prodigioso che l’insolito e il ricercato?»
L’inganno viene smascherato.
Ma evidentemente la cospirazione, con tutto il suo corredo di maghi e tuoni e fumi e sangue, ha sortito un effetto nell’animo del Principe, che viene progressivamente trascinato in un abisso di timori e ossessioni. Da quel momento si svegliano in lui un’inclinazione a cercare un senso più alto nella vita, che sembra trovare nella religione cattolica, e “una mania di dubitare” di tutto e di tutti. La ragione ed il cuore restano bloccati, mentre il suo cervello si riempie di idee confuse. Al tempo in cui Schiller scrive, era diffusa l’idea di società segrete di Gesuiti, Rosacroce, Massoni, sospettate di usare insidie ed intrighi per persuadere gli eredi al trono a convertirsi alla Chiesa cattolica, come sembra appunto fosse accaduto nel ducato di Württemberg. Il Principe, ammesso alla compagnia del Bucentauro, società segreta dedita alla “piú sfrenata licenza sí di opinioni che di costumi”, viene da questa influenzato e comincia a concepire un’opinione di sé esagerata; i suoi modi gentili e rispettosi nei confronti degli amici e della sua piccola corte si trasformano in una condotta spesso brusca e imperiosa.
Nel testo, alla Lettera IV, è inserita un’ampia digressione filosofica. La conversazione, come un dialogo platonico nel quale il Barone di F*** fornisce solo degli spunti, fu notevolmente accorciata nella seconda e terza edizione del libro; ed anche nella traduzione italiana che qui si presenta, il testo è ridotto, rendendone la comprensione più difficoltosa. Nel dialogo il Principe / Schiller dichiara la forza del presente a fronte di un passato che è “un’immensa mole di sasso” ed un futuro che nulla offre:
«Ciò che mi ha preceduto, e ciò che mi seguirà io li considero come due impenetrabili e tenebrosi veli pendenti ad ambi gli estremi dell’umana vita, e che niuno de’ mortali ha sinora potuto squarciare.
[…] Un profondo silenzio regna al di là di questo velo; nessuno di que’ che sono iti al di là ha giammai fatto udire la sua voce al di qua; tutto quel che si è udito fu un eco profondo della dimanda, come se si fosse chiamato alcuno in una grotta.
[…] Voi mi dimandate della mia vita passata. Io vi dico che solamente da oggi in avanti sento, e sentir voglio l’esser mio.»
Resta solo ciò che l’individuo ha tratto da se stesso ed ha attribuito alla supposta sua Divinità e, come legge, alla natura. Resta la lotta tra dovere e inclinazione. Questa era una questione fondamentale dell’etica che il filosofo Immanuel Kant, influente guida di Schiller in quel periodo, stava elaborando nelle sue opere Fondazione della metafisica dei costumi (Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, 1785) e Critica della ragion pratica (Kritik der praktischen Vernunft, 1788).
La storia prosegue: il Principe, recandosi ad ammirare le Nozze di Cana di Paolo Veronese, conservate in un chiostro nell’Isola di S. Giorgio, si innamora di una sconosciuta. Questa infatuazione assorbe tutta la sua più completa attenzione, mentre la sua situazione economica è sempre più disperata e dalla corte di Curlandia giunge una missiva nella quale egli è bruscamente accusato di condurre una vita dissoluta, di ascoltare veggenti e di avere relazioni sospette con ecclesiastici cattolici ed è addirittura tacciato di apostasia.
Intorno alla figura principale del Principe, peraltro figura vivissima anche nei suoi tratti d’inesperienza, immaturità e insicurezza, che lo possono condurre ad essere facile preda di raggiri, ruotano vari personaggi molto ben delineati. Per prima cosa ricordiamo il Conte di *** e il Barone di F***, ai quali si deve la testimonianza della storia, dalle parole e dalle lettere dei quali traspare una specchiata moralità arricchita da una profonda lealtà ed un sincero affetto nei confronti del Principe. Fortunato l’uomo che può contare su amicizie simili! Oltre queste due figure, il mondo è animato da comprimari di dubbia fiducia: il Marchese di Civitella, il servitore Bindello e la bellissima dama Greca, che forse greca non è. E infine i personaggi più pericolosi: il Siciliano e l’Armeno, il ciarlatano e il mago, nei quali alcuni hanno letto i tratti di Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro.
A partire dall’edizione del 1798, Schiller ha rivisto il testo ed il concetto generale dell’opera. La prima parte fu composta nell’estate del 1786: l’autore risiedeva a Dresda ed era in contatto di amicizia con il giurista Christian Gottfried Körner e il diplomatico e letterato Ludwig Ferdinand Huber. Fu proprio quest’ultimo a svelare a Schiller le meraviglie di Venezia. Per comporre Il visionario, lo scrittore interruppe la stesura del Don Carlos. Dopo il trasferimento a Weimar, nel 1787, l’interesse a concludere Il visionario sembrò del tutto scemato nell’autore, sentì che il suo personaggio stava perdendo le sue buone disposizioni d’animo e non si sentiva in grado di aiutarlo a redimersi. Non avrebbe voluto proseguire il ‘frammento’, come spesso è definito questo testo. Ma la fortuna ottenuta tra lettrici e lettori lo stimolò ad andare avanti, inserendo anche le pagine di maggior interesse filosofico che abbiamo citato. Vista la fama dell’opera, in certo qual modo rimasta incompleta, già dalla fine del XVIII secolo furono fatti molti tentativi per proseguire la storia. Nessun altro romanzo tedesco ha suscitato mai tanta ansia di sequel.
L’ambientazione a Venezia è da sottolineare. Si tratta di una scelta significativa, con la connotazione della città lagunare come luogo tetro, oscuro e corrotto, culla di intrighi, d’amore, di lussuria, di morte. Questa denotazione si troverà ancora in tante altre opere, non ultima la novella La morte a Venezia (Der Tod in Venedig, 1912) dello scrittore tedesco Thomas Mann. Peraltro molte delle opere gotiche la cui atmosfera è permeata di mistero sono ambientate in Italia. Tra queste il citato Il castello di Otranto (The Castle of Otranto, 1764) di Horace Walpole e L’italiano, o il confessionale dei penitenti neri (The Italian, or The Confessional of the Black Penitents, 1797) di Ann Radcliffe. E non possiamo non ricordare il legame forte con l’Italia ne La tempesta (The Tempest, 1610-1611) di Shakespeare, dove tutta la vicenda è satura di elementi misteriosi e magici.
La traduzione, che qui presentiamo, si deve alla penna di Giovanni Berchet (1783-1851), studioso di classici italiani e latini ma anche di antichi poemi celtici e scandinavi, traduttore appassionato dei canti di Thomas Gray e de Il vicario di Wakefield (The Vicar of Wakefield, 1761-1762, pubblicato nel 1766) dello scrittore irlandese Oliver Goldsmith, una delle opere più lette tra XVIII e XIX secolo. L’espressione linguistica, naturalmente, è piuttosto antiquata e presenta strutture grammaticali ed effetti retorici ormai abbandonati. Ma forse proprio per questo avvicina maggiormente lettrici e lettori all’atmosfera notturna dell’opera di Schiller. Il visionario merita assolutamente di essere letto e consigliamo anche di navigare tra le pagine di Liber Liber, alla caccia di alcuni dei testi citati in questa presentazione. Buona lettura.
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS
Dall’incipit del libro:
Io intraprendo la narrazione di avventure che a molti parranno incredibili, e della maggior parte delle quali sono stato io stesso testimonio oculare. A que’ pochi che hanno contezza di un certo avvenimento politico, serviranno questi fogli, se pur vedranno la luce durante la loro vita, di opportuno schiarimento al medesimo; ed anche, senza servire a tal uopo, potranno riuscire interessanti a chiunque come supplemento alla storia de’ raggiri e degli errori dello spirito umano.
Sorprenderà l’arditezza del piano che la malvagità è capace di progettare ed eseguire; sorprenderà la singolarità de’ mezzi ch’ella sa adoperare onde conseguirne l’intento. La piú pura ed esatta verità sarà scorta alla mia penna; poiché quando questi fogli saranno pubblicati io piú non esisterò, e nulla avrò a perdere o a guadagnare pel racconto che con essi mi accingo ad esporre. Nell’anno 17**, di ritorno da un mio viaggio fatto nella Curlandia, trovandomi in tempo di carnevale a Venezia, mi recai a fare una visita al Principe di ***, che colà soggiornava. Noi ci eravamo già prima conosciuti essendo entrambi al servigio militare dell’…, ed ora rinnovammo quindi una conoscenza che la pace interrotta avea.
Scarica gratis: Il visionario, ossiano Memorie del Conte di *** di Friedrich Schiller.