Grazie ai volontari del Progetto Griffo è online (disponibile per il download gratuito) l’ePub Clelia, il governo dei preti di Giuseppe Garibaldi.

Clelia, o il governo dei preti è un romanzo anticlericale del 1870 di Giuseppe Garibaldi, nel quale l’autore racconta le tormentate vicende di un’immaginaria popolana romana, Clelia, di cui il cardinale Procopio si invaghisce follemente. Il racconto, ambientato nella Roma papalina, stigmatizza il radicato oscurantismo, il despotismo e il comportamento libertino di certi prelati.

Garibaldi era a corto di denaro quando decise di cimentarsi per la prima volta con il genere del romanzo. Per questo nell’inverno 1866-67 iniziò la stesura del libro. Il testo fu completato nel 1868 e sottoposto al giudizio dell’intima amica e scrittrice Marie Espérance von Schwartz, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Elpis Melena.

Il giudizio della donna fu estremamente negativo: trovò il libro così brutto da recarsi a Caprera per dissuadere l’autore dalla pubblicazione. Il Generale rispose di essere a piena coscienza del fatto di non essere un romanziere e ammise di averlo scritto solo per guadagnare del denaro. Garibaldi valutò comunque l’ipotesi e tenne la questione in sospeso, ma due anni più tardi decise di dare il testo alle stampe.

Il titolo doveva essere in origine Clelia, o il governo dei preti (oppure Clelia, ovvero il governo dei preti), ma fu in seguito mutato in Clelia. Il governo del monaco, e stampato con questo titolo nella prima edizione italiana e nelle prime edizioni inglesi.

Note biografiche tratte e riassunte da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Il_governo_dei_preti

Dall’incipit del libro:

"Clelia, il governo dei preti" di Giuseppe GaribaldiCome era bella la perla del Trastevere!
Le treccie brune, foltissime; e gli occhi! il loro lampo colpiva come folgore chi ardiva affissarla. A sedici anni il suo portamento era maestoso come quello di una matrona antica. Oh! Raffaello in Clelia avrebbe trovato tutte le grazie dell’ideale sua fanciulla colla virile robustezza dell’omonima eroina che si precipita nel Tevere per fuggire dal Campo di Porsenna. Oh sì! era pur bella Clelia! E chi poteva contemplarla senza sentirsi ardere nell’anima la viva fiamma che usciva dalle sue luci? Ma le Eminenze? Codeste serpi della città santa, i cui cagnotti con ogni più vile arte di corruzione cercavan pascolo alle libidini dei padroni, non sapevan forse che tale tesoro viveva nel recinto di Roma? Lo sapevano. E una fra l’altre agognava da qualche tempo a far sua quella bellezza che discendeva dai Vecchi Quiriti. «Va Gianni, (diceva un giorno il cardinale Procopio, factotum e favorito di Sua Santità) vanne e m’acquista quella gemma a qualunque costo. Io non posso più vivere se la Clelia non è mia. Essa sola può alleviare le mie noie e bearmi la stupida esistenza che trascino al fianco di quel vecchio imbecille».

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