Questa raccolta di novelle, favole e leggende su Roma e scritte in dialetto romanesco fu pubblicata nel 1907 e fu dedicata dall’autore al deputato e scrittore Alfredo Baccelli (1863 – 1955), figlio del più noto Guido Baccelli (1830 – 1916), eminente medico e politico, sette volte ministro della pubblica istruzione, che segnalò Zanazzo per il lavoro alla Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele II di Roma.

L’autore ci tiene a precisare che la dedica non è rivolta al politico, ma al poeta e all’amico Baccelli, verso il quale prova affetto e che pensa possa apprezzare queste piccole storie più di altri: sicuramente gli devono “ annà’ a ffaciòlo”.

Zanazzo già intorno ai vent’anni si appassionò al folclore romano, fondendo studi etnografici e vocazione popolare, e nel 1882 pubblicò una prima raccolta di racconti tradizionali Streghe, stregoni e fattucchieri. Era anche poeta e drammaturgo; nel teatro collaborò anche con Augusto Jandolo. Dopo un periodo di intenso lavoro soprattutto in campo teatrale, Zanazzo tornò al suo interesse sul folclore con due raccolte: Novelle, favole e leggende romanesche e Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma (del 1908, già presente in Liber Liber).

Le storie qui raccolte sono in parte ricordi della fanciullezza, in parte leggende ricevute molti anni dopo dalla voce di “vecchie narratrici”

«che ora, pubblico col solo intento di presentare un saggio delle tradizioni popolari di Roma, una delle città meno esplorate in fatto di letteratura popolare.»

Scrive Zanazzo: è un patrimonio di cultura popolare, tradizioni che ci vennero “fedelmente lasciate dai nostri padri”, che da tanti secoli stanno “confinate nel basso volgo” e che dovremmo tramandare ai nostri figli.

Premesso che la distinzione chiara tra novella e favola ancora non è stata ben definita – forse più legata alla realtà la prima, più storia fantastica la seconda – , neanche Zanazzo le distingue perché nella prima parte del volume raccoglie cinquanta novelle e favole. E ci sono anche molte filastrocche come Ragno e Sarciccia, Purcia e ppidòcchio, C’era ’na vorta… o La Gatta màvola e altre. Altre ricordano novelle più note: Maria de légno comincia con un grossolano tentativo di incesto e poi vira su una rivisitazione di Cenerentola, una delle novelle più conosciute e più antiche; Bellinda e er mostro ha origine in Toscana ed è esattamente la storia narrata poi da Disney; Fósca è una Lady Oscar che parla in romanesco; Er bambaciaro ricorda molto da vicino la terribile novella di Barbablù; e altre ancora che vi lasciamo scoprire.

Attenzione a non trattare male le vecchiette o i vecchietti che s’incontrano nel cammino: quasi sempre sono esseri soprannaturali ben disposti verso chi ha pazienza e li ascolta. Comunque premio certo per le ragazze povere, buone e oneste è sposarsi un re, cioè si fa “er pangrattato”; destino sicuro per le figlie di re è essere offerte a chi supererà le prove più assurde (altrimenti il taglio della testa è assicurato); punizione certa per le malvagie e i “puzzoni” è una bella camicia di pece e via al fuoco sulla pubblica piazza. Quel che è giusto è giusto!

Quasi sempre protagoniste delle storie sono famiglie con tre figli e in genere il minore, quello meno considerato, si rivela il più furbo, il più intelligente e meno affetto da “fresconanzitaggine”; oppure ci sono tre figlie e la minore è la più buona, la più affettuosa verso i genitori, la più modesta. Se una morale la si vuole proprio trovare è quasi sempre che la gentilezza paga.

Alle novelle e favole seguono poco meno di trenta leggende romanesche, legate a papi e personaggi noti (La Papéssa Ggiuvanna, Sisto Quinto, Donna Olimpia, La Bbella Cènci, Micchelangelo e Raffaelle, Er Marchese der Grillo …) oppure a monumenti e luoghi (Er Culiseo, San Giuvanni Latterano, La funtana der Mòro e quell’antra de mezzo a ppiazza Navona, La funtana de piazza Tartaruga, La Ritonna…) ed è tale la foga del racconto di Zanazzo che li vediamo proprio questi personaggi a fare o subire le peggio “ bbojerie” e passeggiamo con i nostri piedi per i luoghi che ci descrive, scoprendone i segreti che solo i veri romani conoscono. Che siano storie vere o false poco importa: sono leggende.

Il dialetto romanesco, che non è forse molto bello o elegante, è sicuramente incisivo, efficace ed era ancora usato alcuni decenni fa anche nelle famiglie nobili. Queste non esistono più e anche il loro dialetto, nella forma parlata più pura, ha finito di esistere.

Passata la difficoltà di ‘entrare’ nel dialetto romanesco, la lettura è veramente godibile, anche per le parole particolari, i modi di dire strampalati, le allusioni continue tra scrittore e lettore.

Così, per non “arimanecce de pietra pomicia” e non far “fieno pe’ ccento cavalli!”, ma “scialà’ e ggodesse” la lettura, si consiglia all’inizio di non leggere “in prescia e in furia” ma “assicurasse” di “capì” parola per parola, “una parola tira l’antra” e poi “se capisce” tutto.

Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS

Dall’incipit del libro:

C’era ’na vorta u’ re che ciaveva ’na fija che nu’ rideva mai. J’aveva fatte fa’ tante feste ner paese, tanti balli, tante cose pe’ potella fa’ sta’ alegra, ma era tutto inutile. ’Na vorta, a’ re je sartò de fa’ frabbicà’ i’ mmezzo a la piazza, davanti ar su’ palazzo, ’na bella funtana che buttava ojo. Quant’ècchete che un giorno, che la fija de’ re stava in finestra a godesse la gente che faceven’a pugni pe’ riempisse le bocce d’ojo, capitò ’na ciospetta co’ ’na mucchia de coccetti de la pupazza, l’empì d’ojo, e doppo avelli empiti se li caricò su la testa e s’incamminò; ma siccomme la strada era tutta panónta, la vecchia nun fece manco un passo che ppùnfete! prese e scivolò, e je se scocciòrno tutti li coccetti che portava. Che vvôi vede’ la fija de’ re! pija e sbotta ’na risata, ’na risata, che ’n antro po’ se sganassava. La vecchia, co’ cquele lune che je faceveno, ner sentì’ quele risate accusì scrocchiarèlle, s’arivortò; e vedenno che era la fija de’ re, je fece tutt’arabbiata:
— Ah ridi?! Che te possi innammorà’ de’ re superbo.
La fija de’ re se levò da la finestra, e da quer giorno in poi je prese ’na smagna pe ’sto re superbo, che nun poteva più sta senza vedello.

Scarica gratis: Novelle, favole e leggende romanesche di Giggi Zanazzo.