(voce di SopraPensiero)

L’immensa fama del Don Chisciotte ha indotto a lasciare in ombra queste Novelle, che sarebbero invece bastate a rendere grande il nome del Cervantes, il quale crea in esse un nuovo tipo di forma d’arte d’insolita e straordinaria bellezza, un nuovo mondo poetico. «Un vero tesoro di diletto e d’insegnamento» scriveva il Goethe.

Composte, pare, fra la prima (1605) e la seconda parte del Don Chisciotte (1615), rappresentano il passaggio del Cervantes verso un’opera serena, perfetta, equilibrata; appartengono al medesimo lavoro d’intelletto del suo capolavoro. Rivelano la stessa felice semplicità nel narrare, la diretta e originale osservazione della vita, il finissimo senso realistico. Nonostante siano state da alcuni avvicinate al Boccaccio, il colorito, la fisionomia del contenuto delle novelle cervantine resta essenzialmente spagnolo, nazionale. Ed è fine l’arguzia con cui l’autore satireggia i costumi spagnoli del suo tempo.

Molto accurata ed efficace la traduzione che Alfredo Giannini fa di queste Novelle, superando le difficoltà poste dalla lingua, insidiosamente simile, in apparenza, alla nostra.

Sinossi a cura di Catia Righi

Dall’incipit del libro:

Nella locanda del Mulinello, che è al confine della gran bella pianura di Alcudia sulla strada che dalla Castiglia va in Andalusia, un ardente giorno d’estate si trovarono, per caso, due ragazzotti tra i quattordici e i quindici anni al massimo, non piú di diciassette né l’uno né l’altro; tutti e due di bello aspetto, ma nelle vesti molto sdruciti, sbrindellati e logori. Cappa, neppur per idea; i calzoni di tela e le calze di ciccia. C’erano però, in compenso, le scarpe: di sparto quelle dell’uno, rifinite dal portarle; traforate quelle dell’altro, senza suola; cosí che lo impacciavano piú che lo calzassero. L’uno aveva in capo una berretta verde da cacciatore, l’altro un cappello senza nastro, basso di forma e a falde larghe. Sulla spalla, l’uno portava una camicia di color camoscio, insaldata e tutta insaccata in una manica, a tracolla; l’altro camminava disimpacciato, senza bisacce; quantunque dal petto sporgesse un gran fagotto che, come si vide poi, era un collare di quelli che chiamano «alla vallona» inamidato ma di grasso, trapunto e ragnato che pareva tutto filacce. C’era involto e serbato un mazzo di carte da gioco, di figura ovale; giacché, con l’uso, gli angoli si erano sgualciti, ma, perché durassero di piú, erano stati ritagliati ed erano state lasciate in quella forma.

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