L’uomo di fuoco è un romanzo di avventura di Emilio Salgari, pubblicato nel 1904. Il racconto è ambientato in Brasile, all’epoca dei primi insediamenti europei sulle coste dell’America meridionale; la storia, che l’Autore definisce “veridica”, si svolge infatti a partire dal 1535. In effetti il nucleo fondamentale della vicenda è basato proprio su un personaggio realmente esistito, Diego Alvaro Correa di Viana (Diego Alvaro nel romanzo), che fa naufragio nei pressi della baia di Reconcavo, dove poi sorgerà la città di Bahia, e che ebbe un ruolo importante nella prima colonizzazione del Brasile.
Alvaro fa naufragio, ed è l’unico sopravvissuto, insieme al mozzo Garcia. Il resto della ciurma viene catturato e divorato da una tribù di cannibali. Nel consueto stile di Salgari, i protagonisti passano da un’avventura all’altra, consentendo all’autore di descrivere minuziosamente la flora e la fauna del Brasile. Con qualche inciampo, come quando definisce “anfibi” (forse in senso lato e non zoologico) i caimani. In altri romanzi, Salgari aveva già definito “pesci” i delfini (come per altro farà più tardi Hemingway in Il vecchio e il mare). Si sente anche l’eco di Robinson Crusoe nelle prime pagine, in cui i naufraghi, oltre a scappare dalle tribù antropofaghe, devono anche garantirsi la sopravvivenza. Un terzo personaggio, Diaz Cartego, viene incontrato dai protagonisti nella foresta, e si unisce loro. È un marinaio spagnolo naufragato anni prima ed adottato come stregone dalla tribù Tupinambi. Con il suo aiuto, Diego e Garcia riescono a salvarsi da una tribù che li aveva catturati per divorarli, e Diego finisce per diventare a sua volta stregone della tribù di Diaz, che muore nella battaglia. Il titolo del romanzo è la traduzione (secondo Salgari) dell’appellativo “Caramurà!” dato a Diego dai nativi, quando utilizzò per la prima volta l’archibugio, ancora sconosciuto in Brasile.
Sinossi a cura di Claudio Paganelli
Dall’incipit del libro:
‒ Terra dinanzi a noi! Scogliere a babordo! ‒
A quel grido, lanciato con voce tuonante da un gabbiere, che era salito fino alla coffa, nonostante le spaventevoli scosse che subiva la caravella, i volti dei marinai si erano fatti pallidi.
Una costa, in quel momento, fra quelle onde formidabili che incalzavano e sbattevano in tutti i sensi la piccola nave, invece della salvezza, rappresentava più che un pericolo, anzi una morte sicura.
Nessuna speranza di sfuggire ad una triste sorte rimaneva a quei disgraziati. Anche se le onde li avessero risparmiati, la terra contro cui li trascinava la tempesta era più da sfuggirsi che da cercarsi, perchè sotto i suoi immensi boschi vivevano ancora i formidabili antropofagi, che già tanti equipaggi avevano massacrati e poi divorati.
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