Lourdes è il volume d’apertura del ciclo Les trois villes, pubblicato nel 1894, a cui poi seguiranno Roma (1896) e Parigi (1897), trilogia che lo scrittore francese Émile Zola dedicò all’analisi del ruolo della religione nella società moderna.
Il libro racconta il viaggio di un giovane sacerdote, Pierre Froment, tormentato da continui dubbi sulla fede, che da Parigi si reca a Lourdes, affascinato dai racconti di miracolose guarigioni e dalla figura di Bernadette, la pastorella che attraverso le apparizioni della Vergine diede inizio al suo culto nella cittadina pirenaica. Il viaggio, che dura cinque giorni, sarà caratterizzato da drammi ma anche singolari guarigioni, specie quella della sua amica d’infanzia Maria, ma non permetterà al sacerdote di recuperare la fede.
Il volume è il risultato di due viaggi che lo scrittore compì a Lourdes nel 1891-92, dove, con un taccuino e una penna sempre in mano, annotò tutto ciò che andava osservando, e alla fine dei pellegrinaggi rimase profondamente scettico sulla natura di ciò che vide, concludendo di «non credere ai miracoli, ma piuttosto al bisogno degli uomini di credervi», ritenendo che la scomparsa di malattie fosse da attribuire a fattori nervosi, di autosuggestione, sulla base delle teorie sostenute da Jean-Martin Charcot sull’isterismo.
Sinossi a cura di Roberto Del Grosso
Dall’incipit del libro:
Mentre nel treno già in moto, i pellegrini e gli infermi, stipati sui duri sedili del vagone di terza, finivano l’Ave Maris Stella, intuonata nell’uscire dalla stazione di Orleans, Maria, rizzandosi a metà dal suo giaciglio di dolori, in una febbre d’impazienza, scorse le fortificazioni.
— Ah! le fortificazioni! ‒ gridò con voce lieta, non ostante le sue sofferenze. ‒ Siamo fuori di Parigi, siamo partiti finalmente!
Davanti a lei, suo padre, il signor di Guersaint, sorrise della sua gioia; mentre l’abate Pietro Froment che la guardava con tenerezza paterna, si lasciò sfuggire una osservazione, nella sua pietà inquieta:
— Ne abbiamo sino a domattina: non saremo a Lourdes che alle tre e quaranta. Più di ventidue ore di viaggio!
Erano le cinque e mezza, il sole sorgeva allora allora, sfolgorante, nella limpidità di una splendida mattina.
Era un venerdì, il 19 di agosto.
Ma già all’orizzonte, alcune nuvolette bigie annunziavano una giornata terribile per quell’afa che precede i temporali.
Ed i raggi obliqui scivolavano nei riparti del vagone, diffondendovi un oscillante polverio d’oro.
Maria, ripiombata nella sua ansia, mormorò:
— Sì, ventidue ore. Dio mio! Quanto tempo ancora!
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