Lord Jim fu pubblicato per la prima volta su “Blackwoods Magazine” tra l’ottobre 1899 e il novembre 1900 con il titolo Lord Jim : a Sketch; nel 1900 fu anche pubblicato in volume. Nel romanzo le vicende di Jim sono rievocate da un personaggio di comodo, Marlow che era già apparso in Cuore di Tenebra. Nel 1917 Conrad scrisse una premessa a questo romanzo che è poi quasi sempre stata pubblicata come premessa nelle successive edizioni del romanzo. Non compare in questa traduzione italiana di Alfredo Pitta e la traduciamo quindi qui perché possa essere letta come opportuna introduzione:
«Quando questo romanzo è apparso per la prima volta in volume, si è diffusa l’idea che mi ero lasciato trascinare dal racconto. Alcuni critici e recensori hanno sostenuto che la narrazione che inizia come un racconto era sfuggita al controllo dello scrittore. Un paio hanno scoperto prove interne di questo fatto, che sembrano averli divertiti. Hanno sottolineato che la forma narrativa non è genuina. Sostenevano che non ci si può attendere che nessun uomo parli per tutto quel tempo e che altri uomini ascoltino così a lungo. Non era, dicevano, molto credibile. Dopo averci pensato per qualcosa come sedici anni, non ne sono così sicuro. È risaputo che gli uomini, sia ai tropici che nelle zone temperate, sono soliti star seduti per metà della notte a “raccontarsi storie”. Questo, è appunto il racconto di un viaggiatore, ma con interruzioni che consentono di prender fiato; e per quanto riguarda la resistenza degli ascoltatori, si deve convenire che la storia era interessante. È questa l’ipotesi preliminare indispensabile. Se non avessi creduto che fosse interessante non avrei mai potuto iniziare a scriverla. Per quanto riguarda la mera possibilità fisica, sappiamo tutti che alcuni discorsi in Parlamento hanno richiesto per essere pronunciati un tempo più vicino alle sei ore che non alle tre; mentre tutta quella parte del libro che è la narrazione di Marlow può essere letta ad alta voce, direi, in meno di tre ore. Inoltre, anche se ho rigorosamente tenuto fuori dal racconto tutti i dettagli insignificanti, possiamo presumere che quella sera ci sia stato un rinfresco, un bicchiere di acqua minerale di qualche tipo per agevolare il narratore. Ma, seriamente, la verità è che il mio primo pensiero è stato per un racconto riguardante solo l’episodio della nave dei pellegrini; niente di più. E quella era un progetto legittimo. Dopo aver scritto alcune pagine, tuttavia, per qualche motivo non ero soddisfatto e le ho messe da parte per un po’. Non le tirai fuori dal cassetto fin quando l’ormai defunto signor William Blackwood non mi suggerì di fare di nuovo qualcosa per la sua rivista. Fu solo allora che compresi che l’episodio della nave pellegrina era un buon punto di partenza per un racconto con trama aperta e con licenza di divagare; che si trattava anche di un evento che poteva plausibilmente caratterizzare nel complesso il “sentimento dell’esistenza” in un personaggio dal carattere semplice e sensibile. Ma tutti questi stati d’animo preliminari e questi moti dello spirito mi erano piuttosto oscuri a quel tempo, e non mi appaiono più chiari adesso che sono trascorsi tanti anni. Le poche pagine che avevo messo da parte non erano prive di importanza nella scelta del soggetto. Ma il tutto è stato riscritto con molta attenzione. Riprendendo questo lavoro ero consapevole che sarebbe stato un libro lungo, anche se non prevedevo che si sarebbe sviluppato per tredici numeri di “Maga”. A volte mi è stato chiesto se questo non fosse il mio libro che mi piaceva di più. Sono un grande nemico del favoritismo nella vita pubblica, nella vita privata e anche nel delicato rapporto di un autore con le sue opere. Per principio non avrò favoriti; ma non mi spingo a sentirmi addolorato e infastidito dalla preferenza che alcune persone danno al mio Lord Jim. Non dirò nemmeno che “non capisco…” No! Ma una volta ho avuto occasione di essere perplesso e sorpreso. Un mio amico di ritorno dall’Italia aveva parlato con una signora del posto a cui il libro non piaceva. Mi dispiacque, naturalmente, ma ciò che mi sorprese fu il motivo del suo giudizio negativo. “Sai,” disse, “è tutto così morboso.” Questa affermazione mi fornì l’occasione per un’ora di preoccupata meditazione. Alla fine giunsi alla conclusione che, tenuto conto del fatto che l’argomento stesso era certamente estraneo alla normale sensibilità femminile, la signora non poteva essere italiana. Mi domando persino se fosse europea. In ogni caso, nessun temperamento latino avrebbe percepito qualcosa di morboso nella pungente percezione dell’onore perduto. Una tale consapevolezza può essere sbagliata, o può essere giusta, o può essere condannata come non sincera; e, forse, il mio Jim non è un tipo troppo comune. Ma posso tranquillamente assicurare i miei lettori che non è la fredda proiezione di una stortura intellettuale. Non è nemmeno una figura del nebbioso Nord. Una mattina di sole, nei pressi di una strada orientale, vidi passare la sua figura – affascinante – significativa – sotto l’incombenza di una nuvola – perfettamente silenziosa. Che è come dovrebbe essere. Spettava a me, con tutta la simpatia di cui ero capace, cercare parole adatte al suo significato. Era uno di noi.»
J.C. – Giugno 1917.
Jim, conosciuto sempre con il suo solo nome di battesimo, è un giovane marinaio che svolge la professione di commesso marittimo in vari porti di mari orientali e cambia spesso residenza non appena subodora che qualcosa del suo passato possa essere trapelato. Era stato infatti coinvolto in un singolare episodio di navigazione durante il quale – lui “secondo” su una nave che trasportava pellegrini musulmani – un probabile urto con un relitto in un momento di bonaccia aveva causato danni alla nave che potevano far presagire un rapido affondamento. Jim viene convinto ad abbandonare la nave dal capitano, un mediocre avventuriero di origine tedesca, e dalla sua degna ciurma. Questo attimo di debolezza, che per tutta la vita Jim si affannerà a spiegare che non fu mancanza di coraggio, non fu seguito però dal disastro immaginato dai fuggitivi e la nave in avaria venne poi tratta in salvo. L’immensa vergogna impedisce a Jim persino di difendersi al processo che lo degraderà in maniera conveniente.
La sua attività di commesso marittimo lo conduce infine in un lontano villaggio malese dove diviene una figura quasi leggendaria. Da qui prende il nome datogli dagli aborigeni di Tuan Jim (appunto Lord Jim in inglese). Bellissime e significative della personalità di Conrad le vicende legate all’amore per una fanciulla figlia di una meticcia che Jim sottrae alle violenze e alle umiliazioni di un padre meschino e violento. Tutta la vicenda di Jim ruota attorno alla necessità e all’impulso irresistibile che si può provare per ricostruirsi una vita, per giungere a una riabilitazione e a una redenzione. Ma la fatalità, nuovamente legata a una leggerezza, può sempre presentarsi inesorabilmente ad ogni momento.
Scrive Emilio Cecchi che dal fondo slavo di Conrad nasce «una dolorosa curiosità interiore che lo volge a studiare i casi di coscienza più complessi» e ne consegue che nelle sue opere la «morale, intesa come pittura dell’uomo interno, si mangia e consuma il romanzo d’avventura». Il paradigma conradiano è che tutti cadiamo in fallo, l’innocenza è impossibile. Questo trova il suo apice in questo romanzo nel dialogo, che si svolge da una sponda all’altra di un piccolo fiumiciattolo fangoso, tra Jim e l’avventuriero Brown, uno dei personaggi più spregevoli nati dalla penna di Conrad. In questo dialogo Brown trova l’abilità da “politico” per convincere Jim che le loro storie hanno valore morale equivalente: su questa sporca terra il più pulito ha la rogna. E Jim viene ancora assalito dai suoi demoni e dai suoi rimorsi. Pensando a Brown difficilmente riesco a separare le immagini evocate nel romanzo dalla interpretazione, secondo me memorabile, di James Mason – nello stesso film, diretto nel 1965 da Richard Brooks, il ruolo di Jim è interpretato da Peter o’Toole – che riesce a restituirci benissimo le emozioni già suscitate dalla lettura del romanzo, in base alle quali comprendiamo le ragioni per le quali Jim non avrebbe mai potuto sentirsi assolto, non avrebbe mai potuto attribuire le proprie responsabilità (ed attenuarle) a fattori esterni, condizionamenti sociali, ambiente, e mai avrebbe potuto smettere di interrogarsi senza sosta su quello che in ogni situazione costituisce la sottile separazione del bene dal male. Ritroviamo in Jim un tipo di individuo – e di individualismo – che è forse oggi non più troppo attuale, considerando che sempre più spesso mi sembra che il concetto di autonomia e libertà si trovi ad essere svincolato da quello di responsabilità individuale, e più che mai da un severo esame di coscienza. Ma forse è proprio in questo richiamo a un tentativo di rinsaldare la nostra coscienza morale, in un ambiente troppo spesso disponibile ad indossare vergognose maschere, che riscopriamo oggi la forza e l’attualità di Conrad.
La traduzione che presentiamo in questo e-book è quella di Alfredo Pitta del 1938; è sostanzialmente integrale, con poche e piuttosto insignificanti omissioni. Quelle che sono parse di maggior rilievo le abbiamo segnalate in nota. Stilisticamente è senza dubbio superata ma non per questo meno leggibile e scorrevole. Tra le moderne traduzioni di questo romanzo va ricordata almeno quella del ligure Ettore Capriolo.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Era alto all’incirca un metro e ottanta. Di poderosa struttura fisica, procedeva un pochino incurvato, la testa lievemente protesa, e sogguardando da sotto in su, dando così l’impressione che stesse per slanciarsi contro un avversario. La voce era fonda e possente, i modi denotavano una ostinata sicurezza che tuttavia nulla aveva di aggressivo. Pulitissimo nei vestiti, era di un candore immacolato dai piedi alla testa. Quella sua figura era molto nota nei vari porti orientali in cui si guadagnava la vita come commesso di quei magazzini speciali in cui si vende tutto ciò che può occorrere a una nave e all’equipaggio di essa; e commesso addetto specialmente alle offerte di merci alle navi in arrivo.
Un simile genere di lavoro, che non richiede esami o diplomi, ma molta abilità in teoria come in pratica, consiste nell’affrettarsi verso una nave in arrivo sorpassando i colleghi concorrenti, salirvi, salutare affettuosamente il capitano come se fosse un vecchio amico, obbligarlo ad accettare il biglietto della ditta; e poi, la prima volta che egli scende a terra, rimorchiarlo, con fermezza ma senza ostentazione, in una bottega piena di tutto ciò che può essere mangiato o bevuto a bordo e di quanto può occorrere alla nave. Là il negoziante riceve il capitano come un fratello, e lo conduce in un fresco salottino in cui comode poltrone, bottiglie di liquori, sigari, ammolliscono il cuore del vecchio marinaio, indurito da tre mesi di navigazione senza scalo. Comincia così una conoscenza che è poi mantenuta viva dalle quotidiane visite del commesso, il quale si mostra fedele come un vecchio amico, attento come un figlio, paziente come Giobbe, devoto come una donna.
Scarica gratis: Lord Jim di Joseph Conrad.