Quando il sistema non espelle, ma silenziosamente trattiene: la sospensione operativa come meccanismo di tutela reciproca tra soggetto eccentrico e struttura collettiva
L’intermissus: l’incluso che non incide, il presente che non partecipa
In molte strutture complesse — associazioni legalmente riconosciute, ordini cavallereschi, movimenti ideologici, partiti — si manifesta talvolta una figura difficile da collocare, né esclusa né pienamente integrata: l’intermissus. È il soggetto che, pur mantenendo titoli, ruoli o funzioni nominali, viene gradualmente posto fuori dalla dinamica operativa. Il suo è uno status sospeso, non ufficialmente dichiarato, ma socialmente codificato da una serie di atteggiamenti reciproci.
Il diritto muto: la sospensione senza revoca
Dal punto di vista giuridico, l’intermissus non è decaduto né espulso. Gli statuti, spesso generosi nel riconoscere titoli onorifici o funzioni consultive, permettono all’organizzazione di preservare formalmente l’appartenenza senza dover affrontare il trauma istituzionale dell’esclusione. In assenza di infrazioni gravi o atti ostili, non vi è motivo tecnico per procedere alla rimozione, e ciò consente una soluzione silenziosa ma funzionale: conservare l’immagine, evitare la frattura.
L’etica dell’armonia: né rifiuto né conflitto
L’allontanamento dell’intermissus non avviene per espulsione, ma per evaporazione. La sua partecipazione si riduce spontaneamente: i suoi interventi non sono più considerati determinanti, le sue proposte non trovano risposta, la sua presenza ai consessi viene accolta con cortesia, ma mai sollecitata.
Questo meccanismo non è dettato da cattiveria o esclusione deliberata, bensì da una tacita esigenza di armonia interna. L’organizzazione adotta una posizione di prudente neutralità, lasciando che la persona si collochi, da sé, ai margini.
Contraddizioni in movimento: il profilo dell’intermissus
Chi diventa intermissus spesso manifesta una ricca costellazione di contraddizioni che, pur animate da buona volontà, rendono difficile la sua piena sintonia con il corpo collettivo:
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Si mostra ispirato e visionario, ma fuori scala rispetto al sentire comune.
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Si indispettisce quando incompreso, prendendo posizioni rigide, ma poi cede docilmente, cercando una riconciliazione mansueta.
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Oscilla tra superbia e umiltà, narcisismo e dedizione, autoproclamazione e servizio.
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Si definisce al servizio degli altri, ma propone spesso progetti grandiosi che risuonano solo nella propria mente.
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Si muove in territori ideologicamente ibridi: comunista e nobile, anti-istituzionale ma formalista, portatore di rottura che anela al riconoscimento.
Questa molteplicità di tratti — a tratti caricaturali, a tratti sinceri — disorienta, generando una progressiva perdita di credibilità senza perdita di dignità.
Il patto tacito: tolleranza e contenimento
La posizione dell’intermissus si configura quindi come una soglia silenziosa: né dentro, né fuori. L’organizzazione sceglie di non umiliare, di non mettere alla porta, ma di accogliere in forma passiva, lasciando che l’inefficacia si consumi da sola.
È una forma di compassione istituzionale, ma anche di autodifesa collettiva: evitare lo scontro, non offendere, proteggere la propria integrità lasciando spazio — ma non potere.
Conclusione
La figura dell’intermissus è una risposta sistemica a una disarmonia personale. La sua presenza, pur innocua, risulta ingombrante. Il sistema allora non lo rifiuta, ma lo assorbe in una zona grigia, dove non disturba né contribuisce.
Questa sospensione è più gentile dell’espulsione, ma anche più definitiva, perché non si annuncia, non si motiva, si limita a verificarsi.
È il compromesso implicito tra il bisogno di appartenere e il bisogno, altrui, di respirare.
Una forma di clemenza che si finge rispetto.
Una soluzione funzionale a preservare l’apparenza, salvare l’individuo da se stesso e il gruppo dalla frattura.
Una presenza onorata, che non disturba: né carne né pesce, ma silenziosamente tollerata.